Ya Basta: Brasil Em Movimento

Diritto di occupazione

Diario della settima giornata di carovana.

2 / 9 / 2013

Jandira - L’altare è un tavolo di plastica bianco. Le sedie dei fedeli sono quelle che si trovano nei bar delle stazioni. La chiesa, un magazzino dal soffitto basso. L’affresco, un coloratissimo murales che ritrae dei bambini che giocano su un campo di grano. Padre Giancarlo, brasiliano di Padova, sta celebrando la messa in puro stile “teologia della liberazione” per una mezza dozzina di credenti. Lo aspettiamo fuori ed intanto ne approfittiamo per fare un giro per la Comuna.

Siamo nella favela di Jandira. Una città con poco più di centomila abitanti che, pur con un suo municipio autonomo, fa parte della Grande San Paolo. Qui non ci sono grattacieli. A valle si trovano le case della città, collegate alla capitale dall’onnipresente servizio di metropolitana. La favela si inerpica sulle colline a ridosso del complesso urbano. E’ una zona di frontiera tra l’urbanizzazione selvaggia e la foresta, tropicale sì ma non selvaggia.

La Comuna di Jandira è riconoscibilissima dalle bandiere dei Sem Terra, rosso fuoco con al centro dei contadini che alzano al cielo il machete. Ma è riconoscibile anche dalla forma delle case, tutte monofamiliari a due piani, tutte uguali nelle dimensioni ma diverse nella forma, sistemate in modo da formare delle piazzette tra loro. Mi richiamano subito alla mente le case popolari realizzate dell’architetto Scarpa a Burano, non fosse che qui non hanno ancora i soldi per sistemare gli intonaci e i mattoni rimangono a vista.

“Le abbiamo fatte noi” mi racconta Erika, una corposa e battagliera signora  che mi puntualizza anche che lei è l’unica della Comuna a non tifare per il Corinthias e che di conseguenza non condivide tutta l’agitazione che si respirava attorno per la vicina partita col Flamenco. Partita, tra parentesi, vinta dal Corinthias per 4 a zero e con due gol dell’ex milanista Pato.

Erika che non ha impegni con la torcida, ci offre un caffè e ci racconta la storia della Comuna nata da 250 famiglie che avevano occupate un’area appartenente alle ferrovie dello Stato. Nel 2005 sono state sgomberate con un indennizzo da miseria di 1200 reais a famiglia (pressappoco 400 euro). Grazie a don Giancarlo, che qui tutti chiamano Gianchi, che li ha messi in contatto con i Sem Terra decidono di mettere i soldi in comune e di cercarsi un’altra terra da occupare. La trovano a Jandira, in quest’area che apparteneva ai salesiani. Entrano e ci piazzano le tende, quindi scrivono una lettera al presidente Lula informandolo dell’occupazione e chiedendogli aiuto economico. “Lula ci ha risposto un mese dopo - continua Erika - informandoci che era riuscito a far stanziare un milione e mezzo di reais per l’acquisto di questa area e per le prime spese. Per i Sem Terra la nostra occupazione è stata un punto di svolta perché prima avevano appoggiato solo occupazioni contadine e non urbane. Fatto sta che ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cominciato a costruire in mutirão”. Termine che indica un lavoro in comune. Tutti aiutavano a costruire la casa di tutti, secondo un disegno condiviso da tutti. Le case, dicevamo sono uguali nelle dimensioni - 75 metri quadri in due piani, più un terrazzino - ma diverse nella forma. “Ognuno poteva scegliere tra cinque tipi di case, a seconda delle sue esigenze familiari. Lavoravamo la domenica e il sabato. Tutti insieme. All’inizio non sapevamo neppure come si facesse la malta. Ora abbiamo imparato tutti il mestiere di muratori”. E pure di architetti, aggiungo io. E senza aver fatto lo Iuav. O forse, proprio per questo!

Cattiverie a parte. Le case della Comuna di Jandira, sarà che sono abituato agli standard abitativi della mia laguna, sono davvero piacevoli. Mancano di intonaco e di infrastrutture, questo è vero. Le strade sono a dir poco disastrate, l’acqua viene da dei tubi esterni che pescano chissà dove, le condotte delle acque reflue sono desaparecidas, gli impianti elettrici toglierebbero il sonno  per sempre ad un tecnico della 626.

“Noi in tre anni abbiamo tirato su tutte le case - racconta Gianchi che ci ha raggiunto dopo aver sparso le sue benedizioni - la municipalità in dieci anni non è riuscita a far niente. Eppure i soldi erano stati stanziati. L’amministrazione comunale dice che ha dato i soldi alla ditta per i lavori, la ditta che non li ha ricevuto. E chissà dove sono finiti, questi soldi. Intanto noi stiamo così”.

Gianchi è uno di quelli che pensano che di occupazioni a questo mondo non ce ne sono mai abbastanza. Così ci infila tutti su due macchine scassate e ci accompagna a vederne altre due, dall’altra parte della collina. Sono occupazioni recentissime. Due giorni di vita appena. Commovente! “L’altra settimana eravamo su un altro campo. Poi sono arrivati 500 poliziotti con manganelli, lacrimogeni e pure un elicottero. Ci hanno mandato via a botte  senza curarsi di dove avrebbero dormito i bambini quella sera”.

Siamo in mezzo ai campi. Sulla sommità di una collina che offre allo sguardo un panorama da mozzare il fiato. Le case di Jandira in basso immerse nel verde e sullo sfondo lo skyline degli enormi grattacieli di San Paolo. “Abbiamo scelto questo terreno perché appartiene ad un criminale che è indebitato sino al collo con il municipio di Jandira - mi spiega un occupante - E anche perché si gode di una bella vista!”

Sotto le bandiere dei Sem Terra che si gonfiano al vento dei tropici, donne, uomini e bambini lavorano per costruire le prime capanne. “Adesso attendiamo una risposta da parte del Governo. Ancora la polizia o qualche politico in cerca di voti per trattare - mi  dice Gianchi - . Nel primo caso, occuperemo da qualche altra parte perché questa gente deve pur aver e un tetto e una terra. Nel secondo staremo a vedere”.

Arriva il momento di tornare in città. A San Paolo c’è la partita del Corinthias e metà carovana non vuole perdere un avvenimento di tale rilevanza culturale.

Gianchi ci saluta uno per uno, abbracciandoci. “Bene ragazzi. Grazie per essere venuti alla Comuna di Jandira. Raccontate a tutti quello che avete visto e, se avete problemi in Italia, tornate qua che tiriamo su una baracca anche per voi”.