Il Kairòs della Moltitudine Brasiliana

Intervista a Giuseppe Cocco, professore dell'Universidade Federal do Rio de Janeiro

29 / 8 / 2013

Intervista video a cura di Domenico Mucignat

Giuseppe Cocco, professore all'Universidade Federal do Rio de Janeiro, da quando sono scoppiate le mobilitazioni moltitudinarie in Brasile, e soprattutto a Rio, ha spesso preso parola sulla genealogia e sullo stato dei movimenti brasiliani.

Cocco indica come matrice della mobilitazione a Rio la convergenza tra varie situazioni di micro-conflitto e di vertenze particolari, che attraverso la contestazione maggioritaria all'aumento dei prezzi dei trasporti sono deflagrate. Dalle prime date lanciate in piazza a cui hanno partecipato qualche centinaio di persone, si è visto in pochi giorni all'incirca tre milioni di persone riprendersi le strade della metropoli carioca, rivendicando la democrazia dal basso sui territori contro le grandi opere o i grandi eventi e opponendosi alla repressione e al controllo militare della polizia, soprattutto nelle periferie e nella gestione delle piazze.

La composizione sociale che ha prodotto e si è innervata in questo processo è stata in larga parte giovanile; una generazione del lavoro metropolitano contemporaneo figlia sicuramente della “parte migliore” del lulismo, ossia della mobilità che è riuscita a creare dei nuovi soggetti all'interno della città, non immediatamente obbedienti bensì potenzialmente rivoltosi grazie allo sviluppo delle loro capacità. Se da una parte Lula e Dilma hanno infatti portato avanti un progetto neoliberale di estensione della ricchezza e di emergenza di un ceto medio – in linea con lo sviluppo del capitalismo cognitivo -, dall'altra le forme di vita su cui ha investito questo progetto ne hanno subito rilevato l'insufficienza, facendone saltare le contraddizioni. Giovani lavoratori, precari, abitanti delle favelas sono insorti attorno alla contraddizione tra crescita economica e disuguaglianza sociale: la ricchezza non socialmente accessibile, i servizi e gli istituti che noi conosciamo come welfare state mai diventati universali sono tutti nodi che in modo dirompente hanno fatto imporre questa nuova composizione sociale per le piazze di tante città del Brasile. Il regime discorsivo della classe media, che tenta di omologare le forme di vita e i consumi economici all'apparato valoriale capitalistico, si è incrinato nel momento in cui questi giovani poveri non si sono riconosciuti in essi e hanno iniziato a rivendicare un'alternativa possibile rispetto allo stato di cose esistenti, costituendosi in una moltitudine tumultuosa che ha fatto della rottura e della moltiplicazione delle lotte i suoi leitmotiv.

L'ondata destituente nei confronti di un ceto politico e di un modello biopolitico egemonico, ha sedimentato pratiche di un potere costituente interno ad alcuni conflitti sparsi sul territorio che ha dato alcune vittorie secondo veri e proprio “decreti della plebe”, per così dire autonormativi (come l'abolizione dell'aumento delle tasse, la rioccupazione del Museo degli Indios metropolitani vicino allo stadio di Maracana). La sedimentazione delle lotte ha anche lasciato una spinta all'organizzazione in modelli di istituzionalità permanenti e autonome, come possono essere le continue assemblee e i momenti di decisione collettiva delle esperienze di OcupaCamara e OcupaCabral.

In questo momento, per quanto ci siano eventi continui di manifestazioni, il movimento è in una fase di riflusso rispetto ai mesi di giungo-luglio. Durante questo periodo, le varie forme organizzative nate dalle mobilitazioni stanno sperimentando le loro capacità di sfidare il potere costituito e di ampliare l'orizzonte delle loro rivendicazioni [come dimostra il corteo #ForaCabral, ndr]. Sicuramente, il tradizionale comportamento aggressivo della polizia militare brasiliana, con tutte le sue dinamiche di ritorsione e aggressione personale, combinato all'intellettualismo di sinistra vicino al PT sono fattori direttamente contrapposti alla produzione di discorso dei movimenti. La comunità intellettuale sembra non riuscire a comprendere le dinamiche di rottura radicale e le contraddizioni del lulismo, andando quindi a criminalizzare l'azione diretta e il protagonismo dei giovani con la ben nota costruzione della figura antinomica dei “violenti”. Paradossale, in questo senso, le dichiarazioni di una famosa storica della filosofia spinozista appartenente agli ambienti della sinistra radicale che ha additato come “fascisti” i giovani protagonisti delle rivolte di piazza durante una conferenza all'Accademia Militare di Rio.

Il corteo del 7 settembre, dislocato sul territorio federale, contro la parata militare nel giorno dell'indipendenza brasiliana, è di sicuro un momento per vedere fino a che punto questa costellazione di esperienze politiche è riuscita a soggettivare la sua composizione e se riuscirà ad aprire un' altra fase delle lotte. Un dato che ci consegnano questi mesi di movimenti sociali è però certo: il kairòs – il suo tempo discontinuo qui e ora - della moltitudine scesa nelle piazze è riuscita, dopo molti anni, a scuotere e a rompere la linea continua del determinismo governamentale, imponendo le sue linee di faglia e riaprendo la diffusione del conflitto sociale.

Di seguito l'intervista a Giuseppe Cocco, che approfondisce alcuni dei punti dei suoi contributi