Come preannunciato, sono ripresi i viaggi
collettivi dal Centro America verso gli Stati Uniti. Già da tempo circolavano
in rete notizie secondo cui gruppi di hondureños si stavano organizzando per
intraprendere insieme il viaggio verso nord e così è stato: nella notte di
lunedì è partita una nuova carovana migrante da San Pedro Sula in Honduras,
città tristemente famosa per il suo altissimo tasso di violenza e da cui a metà
ottobre era partita la prima di queste carovane pubbliche.
Si sono ritrovati in circa 700 persone, uomini, donne ma
anche molti bambini, con sé pochi effetti personali ma molta determinazione.
Secondo i media locali nel momento in cui scriviamo, sarebbero già riusciti ad
entrare in Guatemala, non senza aver subito pressioni e intimidazioni dalle
forze dell’ordine. Il gruppo pare si sia ingrossato strada facendo e non è da
escludere che anche molti cittadini guatemaltechi decidano di unirsi a loro.
Nella giornata di mercoledì un altro gruppo di circa 200 persone è invece
partito dalla capitale di El Salvador, San Salvador, con l’obiettivo di
ricongiungersi allo spezzone partito nei giorni precedenti.
La ripresa delle carovane è ricominciata come previsto e
nonostante la dura opposizione incontrata lassù alla frontiera nord con gli
odiati e al tempo stesso desiderati Stati Uniti. Previsto, perché nonostante i
molti proclami restano invariati i motivi che spingono tante persone a lasciare
il proprio paese e a intraprendere questo lungo e pericoloso viaggio: violenza
e miseria. Pochi giorni fa il presidente fasullo del Honduras, Juan Orlando
Hernandez, ha dichiarato che il suo paese non è più il paese più violento del
mondo: nei primi 13 giorni del 2019 in Honduras sei massacri hanno provocato 23
morti. Il tutto mentre proprio lo stesso Hernandez ha fatto arrestare i
presunti organizzatori di queste carovane e ha fatto rafforzare i controlli
alle frontiere per cercare di impedire l’esodo e soprattutto per compiacere
Trump e cedere ai suoi ricatti.
I viaggi collettivi verso nord sono ripartiti nonostante
all’arrivo a Tijuana delle carovane partite sul finire dell’anno scorso le cose
non siano andate come speravano i migranti. L’opposizione statunitense è stata
reale, in particolare verso l’azione collettiva del 25 novembre quando almeno
500 migranti hanno provato a forzare il confine ma sono stati respinti con
proiettili di gomma e gas lacrimogeni, lanciati dai soldati statunitensi in
territorio messicano. Nel prossimo futuro le cose certamente non cambieranno ma
è anche vero che vari giornalisti indipendenti hanno documentato che il flusso
di migranti verso gli Stati Uniti non si è interrotto del tutto e che esiste,
per chi è fortunato o più intraprendente la possibilità di chiedere asilo negli
States.
Il problema principale per chi decide di provarci infatti non è tanto la frontiera con gli Stati Uniti ma piuttosto il lungo e pericoloso viaggio attraverso il Messico. Le precedenti carovane si muovevano in un territorio governato da uno dei presidenti peggiori dal punto di vista delle morti violente e dei desaparecidos durante il proprio mandato. Un territorio, come abbiamo avuto modo di vedere con le precedenti carovane irto di pericoli, tanto che, nonostante il viaggio collettivo sono stati registrati comunque alcuni omicidi (inerenti alle persone delle carovane) e la denuncia della scomparsa di un pullman con a bordo una cinquantina di migranti.
A onor del vero il clima in cui si muove l’attuale carovana sembra profondamente diverso. Sempre nella giornata di mercoledì il nuovo presidente Andrés Manuel López Obrador ha dichiarato che saranno rispettati i diritti umani dei migranti e ha ordinato alle autorità messicane di dare appoggio e protezione ai migranti che entreranno nel paese. L’obiettivo è quello di mettere ordine e controllare gli arrivi creando un registro degli ingressi e concedendo un permesso di soggiorno umanitario per quanti decidano fermarsi in Messico. Allo stesso tempo però, AMLO ha dichiarato che i governi centro americani devono fare lo sforzo di fornire valide opzioni alle persone che intendono migrare, come tra l’altro stabilito dall’accordo denominato “Plan de Desarrollo Integral” adottato nel dicembre scorso dai governi di Messico, Guatemala, El Salvador e Honduras per favorire il il rientro nei paesi d’origine dei migranti.
Come già anticipato da molti analisti, il fenomeno migratorio americano non è nato l'ottobre scorso ma ha origini ben più remote nel tempo ed è presumibile che farà ancora parlare per molto tempo perché, è utile ribadirlo, i ripari a cui sono corsi gli stati interessati dal fenomeno non hanno in nessun modo affrontato le cause che portano a emigrare (violenza, miseria, il capitalismo estrattivo in ultima analisi), ma hanno cercato solo di reprimere i sintomi, di fatto creando un motivo in più per continuare a provarci.