Venezia80 - “Io Capitano”, poesia e orrore

Sostenuto da un'interpretazione straordinaria dell'esordiente Seydou Sarr, l'ultimo film di Matteo Garrone trasforma la lotta di un adolescente senegalese per raggiungere l'Europa in una traversata coraggiosa.

16 / 9 / 2023

Matteo Garrone è uno di quei registi la cui arte non può essere incanalata in un genere unico. Gomorra e Dogman sposano un realismo gangsteristico, prova la commedia satirica in Reality e anche il fantasy un po’ barocco in Tale of Tales. Quest’anno porta invece a Venezia un film molto tradizionale, raccontando un dramma di grande attualità. 

“Io Capitano” di Garrone parla di sogni, quelli di chi decide di imbarcarsi o mettersi in cammino alla volta dell’Europa. Se le immagini dell'arrivo dei migranti che vediamo ogni giorno al telegiornale ci mostrano uomini, donne e bambini vengono associate troppo facilmente a etichette stereotipate, lo schiaffo che invece arriva dritto in faccia è che le persone a volte migrano non per miserie, guerre e carestie.

C’è chi coltiva sogni, chi vuole cambiare vita, chi aspira a qualcosa che crede migliore. Ma c'è qualcosa che - attraverso i nostri occhi ancora tristemente colonialisti - li trasforma a prescindere in persone senza nome, senza identità, la cui storia rimane avvolta nella leggenda, nell'esagerazione o, troppo spesso, nell'ignoranza. 

“Io Capitano” va all'origine del viaggio, a ciò che lo ha motivato, nonché a tutti gli orrori e gli ostacoli che si sono dovuti superare per arrivare dove desiderato. Raccontare tutto questo è un obiettivo ambizioso, e Garrone mostra i veri retroscena, mostrando il processo punitivo della migrazione illegale dal punto di vista di due adolescenti senegalesi, Seydou (Seydou Starr) e Moussa (Moustapha Fall).

Seydou vive a Dakar con la madre vedova e le sorelline. Sono poveri, ma felici e vivono stretti sotto il tetto di una casa minuscola e sgangherata. La madre pensa che Seydou abbia giocato a calcio tutto il giorno, ma il sedicenne ha segretamente accettato un lavoro giornaliero come operaio, pagato in contanti. Suo cugino Moussa funge da tesoriere e seppellisce il denaro accumulato nella sabbia, tirandolo fuori di tanto in tanto per contarlo e ricontarlo.

Il denaro rappresenta il loro sogno: viaggiare in Europa e diventare famose pop star. Seydou ha paura, ma Moussa insiste che vadano avanti con il piano: anche se hanno sentito varie storie ma non possono credere che l’Europa sia fredda e che i senzatetto dormano per strada. Diventeranno delle star, “I bianchi ci chiederanno l’autografo”.

Così, i due ragazzi partono nel cuore della notte per un lungo e angusto viaggio in autobus verso Agadez, in Niger, prima tappa di un viaggio che li porterà attraverso il deserto del Sahara fino a Tripoli e da lì in Italia.

Se proviamo a calcolare il viaggio su google maps verrà fuori che dal Senegal fino alla capitale libica sono “solo” quattro giorni di auto. Quello che invece mostra Garrone è che la distanza che i ragazzi intendono percorrere è semplicemente folle. È anche incredibilmente pericolosa: i cadaveri disseminano il deserto e la mafia libica li intercetta portandoli in una prigione in disuso, Seydou e Moussa vengono separati e si ritroveranno tempo dopo.

Il cast di “Io Capitano” è eccelso, il film è autentico in ogni fase del suo audace viaggio, circondato da neo-attori che hanno vissuto in prima persona l'infamia di quella traversata del deserto, quelle interminabili ore, senza riparo dal sole o dalle intemperie, con il rischio di essere catturati e messi in stato di schiavitù nei centri di detenzione libici. I suoi protagonisti lo portano sullo schermo con sincerità e spontaneità.

L'immigrazione è uno dei temi più caldi e delicati sul tavolo delle discussioni odierne. Si può facilmente banalizzare, fraintendere o peggio ancora distorcere ciò che la riguarda. Garrone consapevole di non avere il diritto di raccontare una storia che non è la sua e che, come la maggior parte degli italiani e degli europei, vive principalmente attraverso le immagini proposte dai media, è riuscito però ad andare oltre i cliché e compiere le ricerche necessarie per far emergere la verità di ciò che accade.

Anche se ormai è diventato un termine generico, l'espressione "crisi dei flussi migratori" non può non lasciare l'amaro in bocca, in quanto implica che l'Europa, la destinazione di tante persone, sia la parte svantaggiata. Questo pregiudizio si ripercuote sulla maggior parte dei film che trattano il tema con buone intenzioni, ma scadendo spesso nel pietismo; il pregio di Garrone è invece quella di prendere l'Europa non come ambientazione ma come obiettivo quasi mitico, tracciando il lungo viaggio di un adolescente senegalese da Dakar a Tripoli, fino a un'imbarcazione sovraccarica di migranti con dettagli avvincenti e talvolta strazianti. 

Seydou è dolorosamente ingenuo, ma allo stesso tempo - come anche il cugino che lo accompagna - è un pozzo di ottimismo scioccamente profondo. Garrone usa la loro ingenuità per aumentare la suspense, soprattutto nelle scene più crude senza però scadere mai nella miseria e nel nichilismo più assoluto. Lungo tutto il percorso, ci sono piccoli trionfi e calorose gentilezze che forniscono barlumi di speranza per l'umanità e danno al nostro giovane protagonista la forza di andare avanti. Non si tratta tanto di un racconto di formazione e nemmeno di un viaggio dell’eroe, perché allora dovremmo scrivere di quanti eroi ci sono ogni giorno, è semplicemente la storia di Seydou che si piega ma non si spezza mai, un ragazzo di 16 anni che dimostra di avere il cuore e la resistenza per navigare in un mondo pieno di mostri.

Sebbene la globalizzazione, il capitalismo e l'eredità del colonialismo possano spingere i nostri protagonisti a considerare l'Europa come la terra promessa, Garrone non tradisce la prospettiva dei due protagonisti e ricorda che sognare è un qualcosa che non si può togliere a nessuno e che il mondo dovrebbe prestare attenzione alla storia di Seydou e a milioni di altre storie reali come questa.