Venezia80 - “Comandante” e quelle leggi del mare che non andrebbero mai infrante

Il film di guerra di Edoardo de Angelis è stato realizzato in collaborazione con la Marina Militare Italiana, il che chiarisce la sensazione diffusa che si tratti di un tentativo di riciclare la reputazione bellica dell'Italia.

2 / 9 / 2023

Apertura all’italiana con Edoardo De Angelis, che porta un kolossal di guerra sul comandante del sommergibile Cappellini, sopperendo alla dolorosa rinuncia di Luca Guadagnino con Challengers. 

Una partenza che catapulta l’intera Sala Darsena all’inizio della Seconda guerra mondiale, in epoca fascista, anche se si ha subito la sensazione che quando si tratta di personaggi italiani di quel periodo si tenda a fare della confusione culturale. 

Il presentimento è di essere sin dalle prime scene in un’artificiale opera di washing, esistono i fascisti che possono redimersi, e come no, quelli che “hanno fatto anche cose buone”. 

Comandante è pensato per far sentire il popolo italiano felice di essere tale, rimarcando la convinzione che alla fine siamo delle brave persone, nonostante un governo di estrema destra che sta facendo di tutto per reprimere le ONG di salvataggio nel Mediterraneo.

Se poi pensiamo che il film è in lavorazione dal 2018, dove al governo c’era Matteo Salvini, che aveva lo stesso copione dei giorni nostri di Giorgia Meloni, allora è proprio netta l’operazione di repulisti.

Come si fa a fare un film su un eroe fascista italiano della Seconda Guerra Mondiale, senza che l’attenzione del pubblico si concentri sul fatto che Salvatore Todaro comunque era fascista? Semplice, basta scegliere un comandante di sommergibile, famoso per aver salvato persone alla deriva su piccole imbarcazioni. Aiuta il volto amichevole e anche un’apprezzata interpretazione di Pierfrancesco Favino, ma forse un esame di coscienza in più avrebbe senz'altro aiutato.

Ambientato per la maggior parte a bordo del sommergibile Cappellini all'inizio degli anni '40, Comandante è un action drama sull'affondamento del Kabalo, una nave belga che trasportava - si scoprirà in seguito - rifornimenti bellici britannici, e del successivo salvataggio di 26 naufraghi dalle acque gelide dello Stretto di Gibilterra da parte di Todaro e del suo equipaggio.

È un film smaccatamente italiano, si parla di cibo, gnocchi e pasta e patate fino ad arrivare al sommo cliché del “O surdato ‘nnammurato” strimpellata al mandolino, inoltre, il nostro comandante, gentile padre di famiglia legato a un busto integrale e in fase di svezzamento dalla morfina, è più indovino che guerrafondaio e salva - appunto - le persone in mare, non seguendo ciecamente gli ordini. È un “buon fascista”, amante delle lingue classiche, dipinto come anticonformista piuttosto che un convinto sostenitore del regime di Mussolini.

Il messaggio che De Angelis sembra voler trasmettere ai suoi connazionali (è improbabile che il film abbia una grande diffusione internazionale) è quello di un umanesimo universale, soprattutto in un momento in cui i migranti annegano tragicamente al largo delle coste italiane. 

Si tratta quindi di un messaggio lodevole, ma spesso eccessivo. Non appena il Comandante apre bocca, sembra che stia parlando un opinionista politico, il che non sarebbe male, i messaggi sono encomiabili, stona però chi li pronuncia. "Noi il ferro del nemico lo affondiamo, ma gli uomini li salviamo”, rimarcando quanto la legge del mare non possa sottostare alle leggi del conflitto.

Il film si apre con una citazione che rimanda al conflitto russo-ucraino, rivolta a coloro che rischiano la vita in guerra, non sarebbe stato più coraggioso fare un diretto rimando invece a quello che succede nel Mediterraneo? 

Non sarebbe più coerente, invece di dipingerci e auto assolverci come popolo di “santi, navigatori e poeti“, ammettere che proprio così umani non lo siamo?

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