Lucio Caracciolo sarà presente il 5 settembre 2013 al Festival No dal Molin

L'incendio globale

17 / 8 / 2013

Questa non è una crisi egiziana, è una crisi mondiale. Ma il mondo l'osserva impotente, senza sapere come sedarla. Forse inconsapevole della sua portata globale.

Eppure le manifestazioni di solidarietà con i Fratelli musulmani, già estese dal Maghreb all'Indonesia e financo ad alcune piazze di casa nostra, dovrebbero ricordarci che non siamo di fronte solo a una violenta contesa intestina fra islamisti e militari, come nell'Algeria degli anni Novanta, ma a uno scontro destinato a influire sui rapporti di forza nell'intera galassia musulmana.

E oltre. Perché nelle vie e nelle piazze del Cairo, come ad Alessandria e nel Sinai, a Suez e nell'Alto Egitto, sta maturando una nuova generazione di jihadisti che avrà nei "martiri" della mattanza in corso il proprio riferimento. Se è vero che l'11 settembre è nato nelle prigioni di Mubarak, c'è da incrociare le dita immaginando quel che potrebbe scaturire dalle carceri (e dai cimiteri) del generale al-Sisi.

La repressione delle Forze armate egiziane non colpisce infatti solo una grande organizzazione radicata da ottantacinque anni nella società nazionale. Mira al cuore di una rete transnazionale, quella della Fratellanza musulmana, estesa nell'intera galassia islamica ma con ramificazioni anche fra i maomettani d'Occidente, dagli Stati Uniti all'Europa. 

Dotata di una classe dirigente spesso qualificata, reclutata nelle professioni come nelle università e nel commercio. "Eradicare" i Fratelli musulmani non è possibile. Certamente non in Egitto, loro terra di fondazione e d'ispirazione, ma neanche altrove, proprio per la struttura reticolare di solidarietà che conosce diverse declinazioni, agende nazionali e locali, persino rivalità, ma non invalicabili confini.

La Confraternita non è il Fis, bersaglio della repressione dei militari algerini negli anni Novanta. Dalla conseguente guerra civile, che causò duecentomila morti nell'indifferenza dell'Occidente, sgorgò peraltro una generazione di terroristi che tuttora infesta il Maghreb. 

E se i capi dei Fratelli musulmani insistono nel predicare la non violenza, è impensabile che almeno una parte degli affiliati non decida di ricorrere alle armi  -  dunque anche al terrorismo  -  per reagire al massacro di questi giorni. 

Seguendo il richiamo di Ayman al-Zawahiri, il pediatra egiziano alla guida di quel che resta di al Qaeda, che da decenni non manca di additare i Fratelli, cui pure aveva aderito da ragazzo, al ludibrio dei "veri musulmani" perché indisponibili a rifondare il califfato nella guerra santa.

Se è vero che Morsi e i suoi hanno compiuto ogni possibile errore nell'anno di potere  -  l'ammette persino uno dei leader dei Fratelli, Muhammad Biltagi, nell'ultimo volume diLime -  resta che il golpe militare ha sigillato, per la soddisfazione inespressa di molti leader occidentali, il principio per cui a certe latitudini il voto vale solo se vincono i "nostri", o presunti tali. Eccesso di cinismo, destinato a ricadere sui suoi ideatori.

Le onde d'urto dello tsunami egiziano, apice del sommovimento che investe l'intero fronte Sud del Mediterraneo, minacciano anzitutto noi italiani e le nazioni europee più esposte, per prossimità geografica e per ampiezza delle comunità musulmane immigrate.

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