Guerra, morte e povertà: la necropolitica neoliberista

10 / 10 / 2023

L’impatto dei cambiamenti climatici, delle guerre, della povertà determinate dal capitalismo estrattivista, finanziario e neocoloniale sui flussi migratori è una questione assolutamente strategica.

Le migrazioni non si possono fermare: sono esodi “biblici” di milioni di persone da territori devastati, attraversati dal terrore, dalla fame, dalla morte. Le misure dei governi, compreso il nostro, sono non solo inefficaci e crudeli, ma mettono in luce, sotto molteplici aspetti, la crisi sistemica e strutturale della governance capitalistica. Basti pensare al disegno di legge in Gran Bretagna che vuole cancellare lo Human rights act, la legge approvata nel 1998 che stabilisce i diritti umani e dei rifugiati enunciati nella CEDU (la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali). O, per tornare a casa nostra, l’orrendo decreto in cui si esplicita che “gli stranieri non appartenenti all’Unione europea che arrivano in Italia e fanno richiesta di asilo dovranno versare una garanzia finanziaria di 4.938 euro” se vogliono uscire da un CPR.

Questi sono segnali inequivocabili della crisi ella “governance” neoliberista, incapace di governare le contraddizioni da essa stessa generate. Sembra il Faust di Goethe: lo scienziato pazzo non riesce più a controllare le forze della natura da esso stesso evocate.

La trasformazione dei governi in senso sempre più apertamente reazionario e autoritario, sta creando un vero e proprio modello “fascio-liberista” che, tenendo conto delle differenze storiche, ricorda quando il regime fascista emergeva come l’altra faccia del capitalismo liberale nel periodo tra le due guerre mondiali come esigenza da parte del capitale di uno Stato adeguato nel contesto del vecchio imperialismo, della guerra tra stati nazionali, per la ripresa dell’accumulazione e la conquista delle colonie. Così oggi, in cui il superamento degli stati nazione crea piuttosto una competizione globale tra blocchi imperiali - Stati Uniti ed Europa da una parte, Russia e Cina dall’ altra - il biopotere svela il suo volto più inquietante e feroce affermandosi come “necropotere”, il potere di decidere chi può vivere e chi può essere ucciso o lasciato morire.

Emerge la “sacrificabilità” di intere popolazioni, migranti, poveri, soggetti fragili, dominati e sfruttati. Lo “stato di eccezione” diventa emergenza permanente, normalità quotidiana. Anche in questo senso la pandemia è stata un grande laboratorio di sperimentazione e controllo sociale. Isolamento, individualismo, rottura dei legami sociali, con effetti devastanti e persistenti sul piano fisico e psichico.

E poi la guerra come esito inevitabile della crisi del capitalismo, come dicevano i classici, da Marx agli scritti sull’imperialismo di Lenin, anche se oggi si parla non di guerre tra stati, ma tra blocchi imperiali in cui la posta in gioco è la ridefinizione geo-politica ed egemonia sul mondo, per riavviare nuovi processi di accumulazione.

Su questi aspetti un contributo importante proviene dagli studi post-coloniali e neocoloniali. Da Frantz Fanon, psichiatra e militante della rivoluzione algerina dal 1957 al 1960 e autore dei classici I dannati della terra, Pelle nera, maschere bianche, a Edward Said, Achille Mbembe ed altri ancora. Da loro il colonialismo viene studiato soprattutto come elaborazione di una metodologia di comando e di dominio, stratificazione gerarchica, rapporti di inclusione/esclusione, inferiorizzazione di razza, di genere, di classe. In particolare Mbembe sottolinea come questi elementi non siano presenti solo nel sud del mondo, ma anche nelle metropoli dell’occidente e quindi non solo guerra tra blocchi imperiali, ma “guerra sociale”, interna ai singoli stati.

Non mancano forme di resistenza ovunque nel mondo contro le politiche di rapina, di saccheggio, di distruzione dei territori e della vita delle popolazioni da parte delle multinazionali e del capitale finanziario, come dimostrato dai movimenti moltitudinari contro i cambiamenti climatici e per la giustizia sociale, trans-femministi, antirazzisti. Ma la resistenza, per quanto fondamentale, non è sufficiente: bisogna passare all’attacco, dal contropotere diffuso alla costruzione di nuove istituzioni del comune. Come diceva Marx, bisogna creare gli embrioni della società futura qui ed ora, il “comunismo come movimento reale, che supera ed abolisce lo stato di cose presente”.

Se il biopotere e il necropotere sono visti, come in Agamben, alla guisa di un potere assoluto a cui è inutile contrapporre un contropotere di massa e moltitudinario, bensì quella che lui definisce “il non fare nulla, né distruggere, né costruire”, non si comprende come possano nascere nuove forme di vita aggirando il problema del potere, l’uso della forza, lo scontro organizzato. I due termini, distruzione e costruzione, sono dialetticamente intrecciati. Non basta il momento “destituente”, per cui è fondamentale solo il lato della distruzione, del fare terra bruciata, una posizione nichilista. È necessario, nel mentre si distrugge e disarticola lo stato, costruire nuove comunità libere ed autodeterminate, in cui il concetto di “cura dal basso”, la riappropriazione di reddito, giustizia sociale, eguaglianza, solidarietà, contro l’isolamento atomistico e la sofferenza materiale e psicologica.

È da questa ambizione che dobbiamo partire per batterci contro quella guerra di tutti contro tutti, che – come vediamo in Ucraina da un anno e mezzo e in Palestina da quasi 80 anni - sta sempre più diventando dispositivo centrale nel dominio della intera società.