Salvatore Carrozza: gli esempi sono maceti, aprono strade e servono nella lotta

Utente: mala
10 / 10 / 2009

Spesso sono ancora germogli, che devono crescere e rafforzarsi, altre volte sono realtà solide, con un patrimonio d’esperienza e una storia invidiabile. In ogni caso, le realtà sportive “alternative”, quelle che nascono, crescono e si radicano in basso e a sinistra, stanno crescendo in numero e qualità. Porsi il problema dello sport significa affrontare una questione spesso snobbata (direi “storicamente” se si pensa a Galeano, quando ironizza sulla paura degli intellettuali di sinistra che il calcio sia una castrazione per la forza rivoluzionaria proletaria): riappropriarsi della natura e della diffusione popolare dello sport e del suo essere strumento potenzialmente pregno di relazioni sociali virtuose, solidali, emblematiche di un modo di vivere (“si gioca come si vive” disse Menotti). Contemporaneamente “fare sport” serve a creare un meccanismo di ridistribuzione autonomo: la creazione di strutture sportive popolari e antirazziste, gestite all’interno di progetti sociali ampi e di movimento, serve anche a garantire l’accessibilità ad un diritto spesso mercificato e sottomesso ad una cultura ottusa, individualista, falsificata, dopata nella più ampia accezione del termine e appariscente come quella tipica delle palestre o di molti sport popolari (ahimè, il calcio ne è il più nitido esempio). Questo ultimo aspetto è quello che attira di più nell’immediato: fare sport a poco prezzo è un argomento forte, una vera e propria calamita che porta persone diversissime a condividere tempo della propria giornata in spazi “diversi” da quelli quotidiani. Qui si gioca la sfida di non essere un semplice servizio.

Un piccolo esempio è la giovane Polisportiva Antirazzista Uppercut. Decine di ragazze/i frequentano i corsi di boxe, taekwondo, calcetto maschile, calcetto femminile e calcetto baby, abbiamo 4 insegnanti, di cui 3 migranti, all’interno della nostra palestra si parla rumeno, albanese, spagnolo (Ecuador e Colombia), arabo (Marocco e Tunisia), italiano, nigeriano, senegalese. Se fossimo compiaciuti antirazzisti ci daremmo una bella pacca sulle spalle, invece quest’esperienza ci deve mettere in discussione, grazie ad un continuo lavoro maieutico, di discussione, di relazione, di ascolto, di immaginazione, di curiosità. In quello spazio e in quei corsi si inizia a respirare un’aria diversa, a costruire momenti sociali liberi, a vivere i diritti, a capire la consequenzialità tra ciò che si fa con ciò che si pensa. E’ un primo passo. Sapendo che abbiamo generazioni, storie, migrazioni, culture diverse, con sogni, speranze, rabbie diverse. A noi sentire e offrire proposte, che sappiano parlare della vita fuori della palestra, che sappiano non ricondurre “a uno” le diversità (“W la lotta degli immigrati”), ma che cerchino di costruire pubbliche forme per rivendicare la dignità resistente delle nostre vite. Noi dell’Uppercut abbiamo giocato a calcio il 27 settembre all’inaugurazione dell’anno sportivo con le stesse persone con cui una settimana dopo siamo scesi in piazza in Alessandria contro il pacchetto sicurezza.

Nel frattempo dobbiamo essere capaci a fare mettere in discussione, soprattutto ragazzi molto giovani che magari vengono a fare boxe portandosi dietro forme di convivenza e luoghi di socialità differenti come potrebbe essere, banalmente, la strada. In una continua volontà di contaminarsi, di valorizzare il meticciato, di costruire senza paura.

In ogni caso, lo sport non è di per sé ribelle, ma può essere uno strumento, un biglietto da visita, un terreno più semplice di relazioni con persone diverse per chi vive nelle lotte e nei sogni in movimento.

E quindi Salvatore Carrozza? Nella sua impresa, nella sua storia, nel fascino attraente e di enorme dignità si nasconde uno strumento suggestivo di importanza fondamentale per chi ha rapporti e strutture non solo per militanti, è uno specchio in cui ognuno si può guardare e, per chi comincia a frequentare spazi dalle  relazioni sociali dense e libere, è una sollecitazione maggiore, porta l’orgoglio di vincere a testa alta, all’interno di valori spesso propugnati come sconfitti, permette di immedesimarsi in una storia affascinante, come quella di Jackie Tonawanda, di Alì, di Tommie Smith, ecc…

Oggi, all’interno della Polisportiva Antirazzista Uppercut nel freddo e nebbioso Piemonte, Osas, Carlos, Mohamed, Marilia, Alessio, Ardit, Andrei, Vasile, Atillah, Andrés, ecc… sanno che Salvatore è uno di loro, hanno un nuovo esempio, un sorriso e un motivo in più di essere orgogliosi quando escono e portano con sè nelle strade, a scuola, sul lavoro nuove idee, relazioni, rabbie, lotte e speranze.

Grazie Salvatore!