Un anno fa, alla vigila della Conferenza di Trieste, un'operazione di polizia che era fumo negli occhi; oggi trenta accertamenti sanitari eseguiti dai carabinieri.

I fatti di Monfalcone nella guerra alla droga

Antefatto: 27 ragazzi giovani e giovanissimi sono prelevati da casa alle 5 di mattina dai carabinieri e sono accompagnati in ospedale per essere sottoposti a un test.

Utente: DPG
16 / 2 / 2010

È da chiarire subito che non si può parlare di accertamento sanitario obbligatorio, previsto solo per pazienti psichiatrici e solo dopo la richiesta del medico curante; né possiamo pensare che questa procedura s’inserisca fra i test previsti per gli assuntori che sono obbligatori solo per chi è alla guida o su richiesta del medico competente sul posto di lavoro (che è già troppo). Questa è un’operazione terroristica di polizia in stile caccia al drogato con poco o nulla di legale.

Non c'è neppure un’inchiesta sul traffico dentro la quale quest’operazione s’inserisce. Il comandante del comando provinciale dell'arma ai giornali rivendica il ruolo preventivo dell'operazione. Proprio come a Sassuolo pochi giorni prima avevano fatto il comandante della Guardia di Finanza e l'Assessore alle politiche Giovanili del Comune commentando una perquisizione di massa a scuola (neanche mezza caccola di fumo ritrovata ma centinaia di studenti annusati dai cani in classe).

Due sono i fatti che meritano una riflessione.

Primo: nessuno dei 27 prelevati si rifiuta di sottoporsi all'esame, e nessun genitore nega il consenso.

Secondo: nessun medico o infermiere in servizio quella notte alza un dito per opporsi a una palese violazione della libertà che è anche un assurdo senza basi teoriche o pratiche.

Partiamo da qui.

Arrivano in ospedale i carabinieri e ordinano ai medici di eseguire i test. Questi eseguono l'ordine.

Che cosa avranno pensato? Forse che l'autorità dei militari non si possa mettere in discussione? In questo caso la cosa è preoccupante in un paese democratico, ed è sbagliata alla radice: se si tratta di salute chi può avere più autorità di un medico. Qui però non si tratta di salute, chiaro.

Più facile che abbiano creduto che un test obbligatorio sia un buon modo per scovare chi fa uso di droghe, e che le sanzioni o la galera per un consumatore siano il giuste se l'obiettivo è la (RI)educazione all’astinenza.

La guerra alla droga comporta questo: scovare i consumatori e punirli sono diventati compito di tutti e la privazione della libertà, il controllo pressante e la (giusta) punizione sono il solo modo per sconfiggere questo mostro contro cui tutti ci dobbiamo impegnare. O sei con loro, o sei un cattivo maestro che vuole sacrificare una generazione all’incubo della droga.

Alla radice, fatto e antefatto possono leggersi così: in Italia sulle droghe i carabinieri fanno gli operatori della prevenzione e i sanitari eseguono solo gli ordini. Un gran bel paradosso!

I genitori avranno invece pensato che solo così si può esser certi che i propri figli non siano caduti nel tunnel della droga. Quindi: "Si faccia il test!".

E cosa avranno pensato i ragazzi? Forse che la loro colpa era tanto grande da non potere sfuggire. Se di questi 27 neanche uno si rifiutato perché “le droghe sono illegali” o perché “non se ne può venir fuori diversamente” significa che siamo all'annozero all'ennesima potenza! Significa che tutti hanno interiorizzato la potenza della guerra alla droga e dei suoi principi. Anche chi le droghe le usa pensa di non avere diritti e di non potersi sottrarre al controllo quando si tratta di droghe.

Su questo dato dobbiamo lavorare, ma senza tornare al paradigma del “movimento di massa dei consumatori autorganizzati e antriproibizionisti".

La consapevolezza di chi usa droghe non può limitarsi alla conoscenza degli effetti e dei rischi, ma deve per prima cosa essere consapevolezza dei propri diritti e determinazione nel farli valere.

Come ogni guerra, la guerra alla droga costruisce stati di eccezione; anche in questo caso allo stato di eccezione bisogna opporre spazi di libertà.