Basaglia, dalla commemorazione alla ribellione

Nasce la Carta di Trieste

16 / 2 / 2010

Mentre l'Italia intera ricorda il trentennale della morte di Franco Basaglia, a Monfalcone, a due passi da Gorizia e Trieste, una trentina di giovanissimi vengono sottoposti a indagini e perquisizioni. In tutto si trova una manciata di “fumo”. La maxi- retata smuove perfino la Camera penale di Gorizia, con gli avvocati che accusano gli inquirenti di voler colpire i giovani consumatori di cannabis al posto dei veri trafficanti. Giovani che rischiano di finire in carcere. Com'è successo, un anno fa, a sei ragazzi di Monfalcone che, con l'accusa di spaccio, si sono fatti venti giorni di cella. Per poi essere liberati, grazie a una sentenza del Tribunale del riesame di Trieste, che ha smontato il metodo di indagine condotto dagli inquirenti. Nelle carceri italiane, di giovani consumatori ce ne sono tanti. Lo dicono i dati forniti da «Antigone», associazione nazionale per i diritti e le garanzie nel sistema penale: tra i detenuti, si contano più del 30percento di consumatori e piccoli spacciatori. E le carceri intanto straboccano. Ma al di là del sovraffollamento, sono le stesse condizioni di vita ad essere sotto accusa: 72 suicidi e 175 morti nel 2009, che nel 2010 sono diventate già 15. Intanto le grandi organizzazioni criminali, che dominano il mercato delle sostanze con profitti enormi, restano fuori. E a Gradisca, a pochi chilometri da Gorizia, centinaia di migranti sono rinchiusi nel Centro di identificazione ed espulsione.

Eppure è proprio da quelle terre, comprese tra Gorizia e Trieste, che trent'anni fa Franco Basaglia fece chiudere i manicomi. Il medico convinse il Paese che in manicomio finivano i diversi, i devianti che la società non voleva accogliere. Quelli a cui non si voleva dare cittadinanza perchè offendevano la morale o ponevano domande troppo complesse per essere risolte. Facendo approvare la legge 180 di riforma psichiatrica, Basaglia mise la persona al centro delle politiche di welfare, rifiutando il ruolo di controllo e contenimento. Di tutto questo si è discusso in questi giorni a Trieste, nelle giornate sulla psichiatria organizzate dall'Azienda sanitaria, in occasione del trentennale della sua morte. Una settimana di incontri, workshop e laboratori, tutti all'interno dell'ex Ospedale psichiatrico di Trieste. Lo stesso manicomio di cui Basaglia distrusse i muri, con un cavallo di cartapesta fatto di sogni. «Trieste 2010: che cos'è salute mentale? Per una rete di salute comunitaria». É questo il titolo del grande convegno internazionale che si è svolto tra il 9 e il 13 febbraio. A parteciparvi, per lo più esperti, medici ed operatori dei servizi socio-sanitari, tra cui, giusto per fare un nome, Franco Rotelli, direttore dell'Azienda sanitaria triestina, che attraversò con Basaglia l'esperienza di chiusura dei manicomi. Ma anche giornalisti e comunicatori, guidati da Massimo Cirri, ideatore della celebre trasmissione Caterpillar in onda su Radio2.

Ridurre a una pagina una miriade di discussioni è praticamente impossibile. Partiremo allora dalle conclusioni. A tirare le fila del discorso, la «Carta di Trieste». Il documento, sottoscritto dalla rete degli operatori sociali del Friuli Venezia Giulia, si domanda come attualizzare la libertà terapeutica proposta da Basaglia. Ne esce un elenco di punti programmatici, volti a rimettere in discussione «il ruolo che oggi il potere attribuisce al sistema del welfare». L'obiettivo è di aprire una nuova campagna. Lo si capisce dalle parole usate nel documento, che avanzano istanze dettagliate. «Si chiede – recita il testo - la completa depenalizzazione di ogni reato connesso sia al consumo di sostanze che alla loro autoproduzione, la promozione di un utilizzo consapevole e anche la volontarietà degli accertamenti sanitari effettuate nei luoghi di vita e di lavoro». Per raggiungere gli obiettivi, nella Carta si propone poi di organizzare una giornata nazionale sul carcere e una sul tema delle sostanze. Momenti di incontro per riflettere sulle condizioni di detenzione e sulla depenalizzazione dei comportamenti connessi al consumo di sostanze. Per concretizzare le azioni, si pensa anche ad istituire, nelle amministrazioni comunali, una sorta di garante dei detenuti. Il tutto grazie a una rete permanente, «che raccolga operatori sociali e sanitari, avvocati e giuristi, politici e cittadini, con il compito di monitorare nei territori la situazione nelle carceri e di osservare l’applicazione delle strategie di controllo nei luoghi di vita e di lavoro».

Si parte giovedì 18 febbraio, con un dibattito pubblico, organizzato nel centro di Monfalcone «Officina Sociale» alle ore 20. Al centro del convegno, l'intervento di Riccardo Cattarini, il presidente della Camera penale di Gorizia, che spiegherà perchè gli avvocati locali hanno deciso di puntare il dito contro la maxi-retata che ha appena colpito i giovani di Monfalcone. Chissà se aveva ragione Basaglia, quando diceva che «l'importante è sapere ciò che si può fare».