“ENI non passerà!”: i tanti perché della battaglia contro l’inceneritore a Marghera

Un approfondimento di Assemblea Permanente contro il rischio chimico, Comitato Opzione Zero e Fridays For Future Venezia-Mestre

13 / 4 / 2023

Nel 2019 Veritas, la partecipata pubblica che gestisce - tra le altre - l’acqua e i rifiuti nel veneziano, presenta il progetto per trasformare il già esistente impianto a biomassa di Fusina in un vero e proprio inceneritore per rifiuti, proponendo di costruire tre linee di incenerimento e alcuni impianti complementari, per un totale di almeno 200mila tonnellate annue di materiale bruciato e una spesa pubblica di più di 100 milioni di euro.

Da subito un insieme di realtà del territorio si mobilitano, prima di tutto per far uscire questa proposta dall’assordante silenzio con il quale le istituzioni stavano provando a farla approvare. La principale opera di verità è stata smascherarne gli interessi economici insiti nel progetto, legati soprattutto al business dello smaltimento dei rifiuti speciali che frutterebbe 40 milioni l’anno.

In questi anni l’unica linea di incenerimento già esistente ha ottenuto l’autorizzazione per bruciare rifiuti urbani e fanghi lavorati provenienti dai depuratori civili del Veneto, contaminati da PFAS e quindi rifiuti speciali e pericolosi. Grazie a quattro anni di mobilitazioni, assemblee popolari, dibattiti, occupazioni, ricorsi giuridici, azioni e momenti di informazione, la seconda e la terza linea dell’inceneritore sono rimaste ancora solo sulla carta.

A fine 2022 però, il vuoto sul mercato dello smaltimento dei rifiuti lasciato da Veritas, è stato colto e riempito da Eni Rewind che ha proposto la costruzione di un ulteriore inceneritore (composto da due linee d’incenerimento) destinato a raccogliere la maggior parte dei fanghi di depurazione del Veneto: 190.000 tonnellate da bruciare ogni anno e una spesa pubblica di 144 milioni di euro. Immediatamente, l'insieme di realtà datosi nel Coordinamento No Inceneritore Fusina, già attivo contro i piani di Veritas, si è attivato contro quelli di Eni, nati con lo stesso obbiettivo dei precedenti: lucrare tramite l'incenerimento, e quindi disperdendo in aria e nelle acque sostanze nocive per il territorio e la salute delle persone.

Per un passaggio obbligatorio nell'iter di approvazione, Eni, il Comune e la Regione sono state costrette a organizzare un incontro pubblico di presentazione del progetto, fissato al 3 aprile 2023. Per l'ennesima volta è stato evidente il tentativo di fare passare sotto silenzio anche questo appuntamento, fondamentale per la cittadinanza e per il territorio, comunicandolo solo 8 giorni prima, fissandolo durante un giorno feriale e in orario lavorativo, e per di più a Malcontenta (cittadina difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici) in una sala con una capienza di soli 50 posti, del tutto insufficiente per accogliere l’afflusso di persone auspicabile per dibattere un progetto di questa rilevanza.

Nonostante ciò, 300 persone hanno risposto alla chiamata del Coordinamento No Inceneritore che ha monitorato la pubblicazione e diffuso le specifiche di questo appuntamento. L’amministratore delegato di Eni Rewind Paolo Grossi, il responsabile “water&waste” Gianluca D’Aquila, e la responsabile collegamento relazioni istituzionali Enrica Barbaresi, si sono trovati a presentare il progetto in una sala straripante e allestita per l’occasione con cartelloni e striscioni che lə attivistə hanno preparato per “accogliere” la delegazione di ENI, esprimendo tutte le preoccupazioni riguardo all’impianto.

La presentazione del progetto è stata banale e manchevole, colpevolmente priva di qualsiasi accenno alla problematica della contaminazione dei fanghi. Ad indorare la pillola, una presentazione video che mostrava come esempio l’impianto dell’inceneritore di Zurigo in Svizzera in maniera assolutamente decontestualizzata. Ai tecnicismi dell’ingegnere D’Aquila, le poche decine di persone a cui era stato permesso di partecipare fisicamente alla presentazione, hanno risposto imponendo lo spostamento della discussione all’esterno della sala, per permettere la partecipazione diretta delle centinaia di persone sopraggiunte e ridare un minimo di dignità ad un momento importante come il confronto con la cittadinanza.

Nonostante i dirigenti del “cane a sei zampe” avessero impostato la discussione con un sommario botta e risposta, accorpando tre quesiti alla volta tra domande in presenza e online, si sono in realtà trovati costretti ad ascoltare per due ore la voce arrabbiata di cittadini e cittadine, tentando, in ultimo, di dare una risposta balbettante alle diverse questioni poste. Le voci che si sono susseguite al microfono, hanno trasformato quella che avrebbe dovuto essere una presentazione in pompa magna dell’inceneritore, in un grido collettivo di denuncia della critica situazione d’inquinamento del territorio, della nocività del progetto proposto e della sua totale incompatibilità di fronte alla necessità di fermare la crisi climatica in atto.

Interventi qualificati sono arrivati da più fronti.

Alcuni attivisti dei comitati, prove alla mano, hanno in particolare evidenziato quello che ENI, Regione e Sindaci vorrebbero nascondere: ad esempio il fatto che fanghi dei depuratori non provengono solo dalla lavorazione dei reflui delle abitazioni, ma anche e soprattutto da reflui di attività industriali inquinanti come quelli delle concerie, e che questi fanghi hanno un alto contenuto di sostanze nocive, prime tra tutte diossine e PFAS che grazie agli inceneritori finiscono in aria, e di qui nei suoli, nelle acque e nelle catene alimentari. Richiamate poi evidenze scientifiche sul fatto che i PFS non si distruggono nemmeno ad altissime temperature, e che quindi bruciare i fanghi non solo non risolve il problema ma è un modo per moltiplicarlo pericolosamente.

Ad approfondire tutto ciò che riguarda la salute e la prevenzione, sono stati preziosi gli interventi di medichə e pediatrə di “ISDE Medici per l’ambiente” che hanno riaffermato l’importanza del concetto di prevenzione e messo in guardia per le conseguenze potenzialmente drammatiche di un impianto come quello proposto dalla multinazionale italiana, in particolare in un territorio già colpito dalle conseguenze dell’inquinamento e dell’industrializzazione, come testimoniato dal progetto Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità che riporta una possibilità del 20% più alta a contrarre malattie come leucemie e tumori nella terraferma veneziana.

A collegare passato e futuro del territorio di Porto Marghera hanno collaborato gli interventi dei membri di quei comitati che da decenni lottano per rompere il ricatto salute-lavoro che condiziona la vita su questo territorio, le vedove del petrolchimico che hanno visto morire i propri cari a causa degli impianti della zona, e lə giovani attivistə di Fridays For Future, che mettono in pratica la lotta contro la crisi climatica a partire dal proprio territorio. Durante l’ultimo sciopero globale per il clima la lotta contro gli inceneritori di Veritas e di ENI è stata protagonista: lo striscione di testa, ricomparso a Malcontenta per l’occasione, titolava “Non vogliamo più essere zona di sacrificio, siamo territorio di resistenza”.

Di ENI nessunə si fida. Non bastassero i mega profitti sulle spalle della popolazione fatti durante il caro bollette di quest’inverno, non bastassero le inchieste in cui la multinazionale è coinvolta che testimoniano la devastazione di cui è responsabile in tutto il mondo, dal Mozambico alla Nigeria, alla Basilicata, la popolazione locale conosce bene il suo modus operandi e l’impatto che ha avuto sul territorio. Dopo decenni di inquinamento causati dall’impianto della Versalis o dalla fantomatica bio-raffineria, senza aver mai bonificato le aree danneggiate, Eni oggi torna lancia in resta per prendere possesso di ciò che rimane dell’area industriale di Porto Marghera, continuando a fare profitti sulle spalle del territorio, in una mano, e utilizzando la zona vicina alla scintillante Venezia per mettere in mostra mirabolanti progetti sostenibili, alimentando una già studiata opera sistematica di greenwashing a livello europeo.

Non per ultima veniva sottolineata la “doppia infamia” di Eni, che per trarre profitto crea problemi a cui crea finte soluzioni per trarre altro profitto. In quest’ottica veniva fatto riemergere il coinvolgimento della multinazionale italiana nella fabbrica che ha inquinato con i PFAS le falde acquifere di mezzo Veneto, la MitEni appunto. Ora, che sia la stessa Eni a proporsi per “disfarsi” di quei fanghi contaminati, spacciandosi per soggetto affidabile e attento alla vita e alla salute dei cittadini, risulta quantomeno ridicolo, se non sfacciato e provocatorio.

La determinazione delle centinaia di persone che hanno partecipato alla presentazione pubblica ha espresso chiaramente l’opposizione della popolazione all’ennesimo progetto che condannerebbe la gronda lagunare ad essere pattumiera del Veneto, se non di tutto il nord-Italia, e rieleggendola zona di sacrificio per altri decenni.

Tante, troppe altre volte la cittadinanza è stata costretta a organizzarsi per difendersi dagli attacchi di privati pronti a sacrificare la vivibilità di un territorio in nome dei propri profitti. Tante, troppe altre volte le istituzioni locali si sono piegate completamente a queste dinamiche, mettendo finanziamenti pubblici e sostegno politico a disposizione della speculazione sulla salute delle persone. In tutte queste occasioni la risposta è stata forte e ha portato a risultati importanti. La storia di Porto Marghera, di Fusina, della riviera del Brenta è una storia di resistenza e lo testimoniano le vittorie contro le multinazionali della chimica che dagli anni 60 in poi hanno costruito un'economia industriale tossica basata sulla chimica pesante del PVC e affini, dove la nocività sui posti di lavoro e sui territori circostanti era la condizione per estrarre profitto.

Le grandi lotte per la chiusura dei cicli produttivi di morte dal fosgene al cloro imposte dalla popolazione nel decennio scorso sono state il trampolino di lancio per la costruzione di campagne mirate alla costruzione di un percorso di transizione che mettesse al primo posto salute e reddito, in un territorio liberato dalle produzioni inquinanti. Bonifiche e riconversione attese da tanto ma messe in discussione in questi anni da tanti progetti che puntano a trasformare Marghera nella pattumiera dei rifiuti d'Italia. Solo la mobilitazione ha impedito che passassero progetti come la riapertura di vecchi inceneritori, il raddoppio di impianti di raccolta rifiuti fino a quelli attuali presentati da Veritas da tre anni fermo al palo e in questi mesi quello di Eni.

Seppur in forma diversa rispetto ai tempi del petrolchimico, la costante opera di estrazione di ricchezza dal territorio veneziano continua anche oggi, soprattutto nel costante interscambio speculativo tra la costruzione di nuove opere e l’ampliamento spasmodico e deleterio dell’industria turistica a cui la maggior parte di esse sono dedicate. Lo testimoniano i progetti in programma sulla gronda lagunare, dall’ampliamento dell’aeroporto Marco Polo all’annessa bretella ferroviaria sotterranea, dalla cementificazione di parti quasi vergini della gronda all’enorme partita che vede nuovamente protagonista la crocieristica. La reintroduzione delle grandi navi in laguna, infatti, prevede la costruzione di un nuovo terminal a Marghera e lo scavo di nuovi canali, che implicherà la movimentazione di fanghi tossici e un’ulteriore distruzione dell’ecosistema lagunare. Il tutto, in barba alla volontà dalla popolazione di allontanare definitivamente le grandi navi dalla Laguna, espressa più volte nei dieci anni di lotta del Comitato No Grandi Navi.

È indegna e grottesca la scelta del Comune e della Regione di avvallare questi progetti, mentre contemporaneamente dà vita alla Fondazione “Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità”, tra i cui primi sponsor, ovviamente, c’è Eni.

Queste diverse lotte parlano del futuro di un territorio intero e della possibilità di viverci nei prossimi anni per tuttə quellə giovani che alla sua storia appartengono. La Laguna e il suo ecosistema continuano ad essere un luogo intrinsecamente legato alla crisi climatica e potranno essere ricordati in quanto simbolo delle sue drastiche conseguenze o, al contrario, come territorio di resistenza a tutte quelle logiche speculative che lo governano da decenni, come luogo di riscatto dopo decenni di morti e malattie.

Si apre ora un tema centrale, in merito alla possibilità delle comunità che vivono il territorio di poter decidere sulla loro salute e sul loro futuro. Aver imposto ai delegati della più potente compagnia italiana un confronto faccia a faccia con la popolazione è un importante primo passo che ci parla della volontà di autodeterminarsi di un territorio e del rafforzamento di una comunità resistente.

L’iter per l’approvazione dell’inceneritore di ENI è appena iniziato ma la multinazionale si propone di costruire l’impianto per il 2026. Saranno tanti altri i momenti di mobilitazione che accompagneranno il percorso del Coordinamento No Inceneritore, ma la volontà è evidente: nessunə è più dispostə a subire sulla propria pelle le conseguenze di politiche che guardano solo al profitto e, come era stato promesso per l’inceneritore di Veritas la popolazione rilancia la sfida a Eni: di qua non si passa!

Assemblea Permanente contro il rischio chimico, Comitato Opzione Zero, Fridays For Future Venezia-Mestre.