Blocco della raffineria ENI di Marghera: assoluzione piena per le 69 persone imputate

I giudici rigettano l'accusa di "blocco stradale", ripenalizzato da Matteo Salvini nel 2018.

29 / 9 / 2023

Nel marzo 2019 attivisti e attiviste dei centri sociali del nord-est bloccarono l'ingresso della raffineria ENI di Marghera al grido di "End Fossil now. Keep it in the ground!". Un’iniziativa che si collocava in un ciclo importante per i movimenti climatici, perché precedeva di qualche giorno il primo sciopero globale indetto da Fridays For Future e la grande marcia per la giustizia climatica e le grandi opere che portò a Roma iltre 150 mila persone il 23 marzo 2019.

All’iniziativa contro ENI, che denunciava i crimini nella multinazionale nel Sud e nel Nord del mondo, seguì l’imputazione per blocco stradale, reato risalente al 1948 che fu depenalizzato per poi essere ripenalizzato con novella dal decreto sicurezza di Salvini nel 2018. Si tratta di una delle prime volte che il reato di blocco stradale viene utilizzato in un processo, dalla sua reintroduzione. Per mezzo di questa imputazione i 69 imputati rischiavano fino a 12 anni di reclusione.

Oggi, a distanza di oltre 4 anni dal fatto, si è tenuta l'udienza preliminare all'interno della nota aula bunker di Mestre. L'udienza poteva concludersi con l’avvio del primo processo per blocco stradale dalla reintroduzione voluta da Salvini ma, fortunatamente, il non luogo a procedere con assoluzione in formula piena poiché il fatto non costituisce reato, lo ha evitato! «Mancava il dolo, mancavano tutti i requisiti che non avrebbero nemmeno dovuto portarci oggi davanti al giudice perché è stata semplicemente una manifestazione politica» commenta Giuseppe Romano, uno degli avvocati che hanno difeso le persone imputate.

Il team legale si era spinto oltre chiedendo ai giudici di approdare alla Consulta affinché questa vagliasse la legittimità costituzionale della norma. Non si esclude, vista la modalità di repressione penale del dissenso politico, che ci saranno sicuramente altre occasioni. «Questa volta non è stata l'occasione giusta per rimetterla alla consulta perché il giudice ha ritenuto che non ci fossero proprio i presupposti del reato» dice l’avvocato Agnese Sbraccia che prosegue: «mi auguro che comunque ci saranno magari altre occasioni per portare questo tema all'attenzione della corte costituzionale perché la norma è palesemente illegittima».