Venice Climate Camp 2023: El Sur Resiste, la grande carovana che ha attraversato il sud-est messicano

18 / 9 / 2023

Il talk tenutosi il secondo giorno del Venice Climate Camp ha visto le compagne e i compagni dell’Associazione Ya Basta! Êdî Bese, parte della delegazione che ha partecipato alla grande carovana nel sud-est messicano, raccontare il loro viaggio nelle lotte e nelle resistenze dei popoli indigeni che abitano questi territori.

La costruzione della carovana, svoltasi tra aprile e maggio 2023 e durata dieci giorni, prende vita dalla gira zapatista che nel 2021 ha attraversato il continente europeo e ha contaminato le nostre comunità con la propria esperienza di autonomia e resistenza. Avere l’opportunità di ospitare 180 zapatisti nei nostri territori, infatti, ha permesso alle organizzazioni locali di relazionarsi con i protagonisti della rivoluzione zapatista e dei territori autonomi, ascoltare in prima persona i loro racconti e allacciare rapporti con più di 13 comunità del sudest messicano e della zona dell’Istmo di Tehuantepec, uno stretto di terra che divide l’Oceano Pacifico dall’Oceano Atlantico, nonché la parte più sottile del territorio messicano.

Per mezzo di questo rapporto politico rafforzatosi nel tempo si è pertanto deciso di organizzare una prima carovana nell’agosto 2022 per percorrere quei territori nel sud del Messico minacciati da due grandi opere. Il primo di questi mega-progetti è il corridoio interoceanico, una linea ferroviaria ad alta velocità che ha l’ambizione di mettere in collegamento le due coste oceaniche per il traporto merci mentre il secondo, il Tren Maya, attraverserebbe le selve delle zone del Chiapas e dello Yucatán con lo scopo di agevolare ed intensificare il turismo nella regione. Entrambe sono parte del programma ‘progressista’ del presidente Obrador che, in queste zone, si traduce in un progetto di turistificazione ed estrattivismo massiccio in quanto l’istmo ospita le più grandi raffinerie del Paese.

Durante la prima carovana si è quindi avuto modo di incontrare le realtà locali che si pongono in forte opposizione alla realizzazione di queste due opere e insieme organizzare una seconda carovana e campagna transnazionale che è culminata con l’incontro internazionale ‘El sur resiste’ a San Cristóbal de las Casas, al quale hanno preso parte circa mille persone provenienti da 40 discendenze indigene differenti e 30 delegazioni internazionali.

Il Corredor Interoceánico e il Tren Maya si inseriscono all’interno di una fase definita come la ‘quarta trasformazione del Messico’, un’idea di progresso basata sulle necessità del mondo capitalista e neoliberale, accompagnata da una visione di modernizzazione che vede le persone e le comunità indigene come sacrificabili.

Il progetto del corridoio consiste innanzitutto in un potenziamento dei due porti che si trovano ai due estremi dell’istmo, nel rafforzamento di una raffineria già esistente e nella costruzione di una nuova, oltre che alla già iniziata costruzione di una ferrovia e all’ampliamento della strada che collega le due parti opposte dell’istmo. Inoltre, il progetto prevede la creazione di centrali ad energia eolica e di un gasdotto che avrà il compito di trasportare il gas prodotto dalle azioni di fracking nordamericano in Sud America e, successivamente, verso l’Europa.

Il Tren Maya, invece, è un’opera a scopo turistico che si inserisce perfettamente nel processo di turistificazione della regione e dello sfruttamento, monopolizzazione e mercificazione della cultura maya, presentata all’esterno come unica cultura del territorio a discapito di tutte quelle altre comunità indigene cancellate dalla ricchezza culturale del Paese. La rete ferroviaria del Tren Maya taglia in due la selva dell’Istmo e si concretizza in un vero e proprio esproprio della terra delle popolazioni, del cuore pulsante della collettività, di una natura che è parte vitale delle comunità indigene.

Le conseguenze di questa devastazione territoriale, come si può immaginare, sono molteplici: essendo il Messico un Paese attraversato da costanti flussi migratori, è in atto uno sfruttamento della popolazione migrante (coloro che non riescono ad attraversare la frontiera statunitense) impiegata nella costruzione di questi futuri poli industriali. Un’opera come il corridoio interoceanico porta anche alla militarizzazione dei territori dell’istmo, per far fronte alla resistenza incontrata da parte dei popoli indigeni, e quindi ad una presenza maggiore delle forze dell’ordine con conseguente repressione e moltiplicazione della violenza statale come della violenza di genere sulle donne indigene. 

Infine, le compagne e i compagni hanno condiviso due esempi di comunità che hanno potuto visitare nel corso della carovana. La prima è Puerto Madera, una comunità resistente e autonoma nella quale però sono da subito ben visibili gli effetti della spoliazione delle terre appartenenti alle popolazioni indigene. Non a caso, il 40% delle terre latinoamericane è in mano ai popoli indigeni e a comunità che non applicano metodi capitalistici all’interno di questi territori e ciò avviene perché le comunità locali si basano su esperienze di terre comuni, le quali non sono proprietà privata di nessuno ma che appartengono alla comunità e alle popolazioni originarie. Purtroppo, questo sta cambiando attraverso meccanismi ingannevoli messi in campo dall’apparato statale cui unico scopo è estorcere terre storicamente appartenenti alle comunità autoctone, con nessun interesse per il benessere e i bisogni essenziali della popolazione stessa.

La seconda comunità visitata attraversando i territori interessati dal passaggio del corridoio interoceanico è l’accampamento Tierra y Libertad nei pressi di Mogoñe Viejo, una comunità che nonostante le sue piccole dimensioni è riuscita a resistere e a bloccare per 60 giorni i lavori della ferrovia che sta per attraversare la loro terra.

Durante tutto il percorso della carovana e nel contesto dell’incontro internazionale a San Cristóbal de las Casas sono emerse varie riflessioni comuni. Oltre a ribadire il forte supporto ai processi di resistenza delle popolazioni locali, si è ragionato sulle strategie comuni con cui viene portata avanti l’aggressione alla terra e ai territori a livello mondiale. Quest’unione tra popolazioni e comunità ha, difatti, permesso di andare oltre la dimensione territoriale specifica: partendo da ciò che sta succedendo in Messico si possono vedere le stesse modalità di depredazione, espropriazione e devastazione riflesse anche nei nostri territori e in tutto il globo. La resistenza dei popoli indigeni in Chiapas e nello Yucatán è un esempio virtuoso di intersezionalità delle lotte ed è osservando questi territori che le varie delegazioni internazionali hanno potuto toccare con mano un’azione politica e comunitaria che si ponesse a 360 gradi contro un’aggressione del capitale transnazionale verso i propri territori. Le popolazioni indigene non lottano solamente contro la distruzione ambientale della propria terra ma anche e soprattutto contro il sistema che rischia di cambiare, al punto di non ritorno, l’equilibrio sociale delle comunità presenti nel territorio. L’ingresso di progetti capitalisti in un territorio che per migliaia di anni è stato completamente isolato aumenterà lo sfruttamento della terra, renderà commerciabili terre che erano prima nel mezzo della foresta, priverà comunità intere del proprio sostentamento e andrà gradualmente ad innescare un cambiamento che vorrebbe portare quei territori e quelle comunità ad essere completamente assorbite dal modello capitalista, esattamente come è già avvenuto in altre parti del mondo. 

Così è sorta la necessità collettiva di iniziare ad interrogarci sui modi in cui queste esperienze condivise possano evidenziare delle possibili vie d’uscita dall’egemonia capitalista, ragionare su quelli che sono stati e quelli che possono essere dei sistemi sociali solidali e mutualistici, che entrino in conflitto con l’estrazione di valore dalle nostre vite e dai nostri territori. Nonostante le differenti specificità delle lotte e dei territori, è possibile considerare comune la modalità di aggressione ai territori: i governi si servono delle grandi opere per attuare un controllo del territorio ma le grandi opere non implicano solo l’imposizione e la costruzione dell’opera stessa, bensì un arrivo di forza lavoro, la militarizzazione del territorio per permettere la costruzione della grande opera e, a livello generale, uno stravolgimento dell’economia locale. È quindi semplice rendersi conto di come questa modalità di aggressione dei territori e di estrazione di valore sia la stessa che possiamo incontrare nei nostri territori e nelle lotte alle quali abbiamo partecipato negli scorsi anni a livello nazionale. 

All’incontro internazionale in Chiapas è stata riconosciuta la grande differenza esistente tra le geografie e i modi di lottare a seconda dei territori ma si è anche rinnovata la consapevolezza che quest’aggressione ai territori è un progetto comune che agisce in modalità simili e con una repressione sempre rivolta a reprimere il dissenso. Per questo, per la realizzazione che il nemico non è affrontabile né da singole persone né tantomeno da singole comunità, per la consapevolezza che il nemico che andiamo ad affrontare è un nemico con diramazioni e alleanze mondiali tra governi, imprese e criminalità organizzate, non possiamo slegare l’opposizione a queste politiche dal bisogno di una costruzione di comunità.

Un nemico che agisce a livello transazione avrà bisogno di una risposta organizzata su scala transnazionale, le comunità dal basso esistono in tutto il mondo ma solo entrando in connessione possono essere in grado di mettere in campo una risposta comune alle mire espansionistiche del capitalismo neoliberale. 

Su questa linea è stata lanciata la data del 12 ottobre, giorno simbolico per i territori sudamericani in quanto marca l’inizio della conquista del continente da parte di Cristoforo Colombo, come data comune per proporre azioni dislocate in ogni geografia del mondo e poter prendere parola e azione contro questa aggressione estesa. L’individuazione di questa data non vuole affermarsi come una chiamata ad un’azione standardizzata per tutti bensì vuole essere una proposta alle differenti comunità e territori di significare le proprie lotte secondo le rispettive particolarità e il contesto in cui sono inserite. Il 12 ottobre 2023 allora mettiamoci in moto, organizziamoci per contrastare questo modello di sviluppo estrattivista e devastatore e riaffermiamo la nostra autonomia e la nostra autodeterminazione nei territori che popoliamo.