In Argentina da giovedi scorso si stanno consumando saccheggi ai danni di commercianti nei maggiori centri commerciali della città e di quelle di periferia.
Il bilancio che le agenzie ci rimandano è di 2 morti, molti feriti, 500 arresti. I tumulti sono iniziate Bariloche, città turistica della Patagonia, si sono estesi in tutto il paese, con maggiore intensità nella città industriale di Rosario - dove ci sono stati i morti. Come avvenne a Londra, anche qui le cronache ci raccontano che non vi è trattato di un assalto ai forni, con l'esproprio di generi di prima necessità ma l'appropiazione dei simboli della ricchezza quali tv al plasma, pc e smartphone.
Sembrerebbe che questi saccheggi siano una forma di protesta contro la crisi che attanaglia il Paese anche se in questi saccheggi incidono molto gruppi radicali oltre a bande di delinquenti, in un Paese in cui le rivolte assumono spesso la forma della giaquerie .
C’è inoltre da tenere presente che in questi giorni esiste un accesso dibattito tra i sindacalisti ed il governo, ed è proprio per questo motivo che molti pensano che dietro questi disordini ci sia qualcuno che l’abbia fomentati.
Sta di fatto che il problema sociale è molto evidente, infatti nei centri urbani il problema principale non è la fame ma le condizioni di vita sempre più difficili, come sottolinea Daniel Arroyo, ex viceministro. C’è un indebitamento sempre più pressante tra la popolazione meno abbiente, si è perso il punto di riferimento con l’inflazione, è pieno di giovani senza alcuna speranza e prospettiva.
Per il sociologo, Ricardo Rouvier, si tratta di attivisti politici che cercano di generare instabilità. Non sembra una reazione sociale vera e propria ma più qualcosa mossa ad arte per mettere in evidenza le difficoltà in cui versa Paese, da un punto di vista economico e sociale.
Mentre il Governo Argentino accusa i movimenti sindacali, Hugo Moyano, leader del potente sindacato dei camionisti, ha replicato alle accuse sottolineando come vi sia una situazione di grave crisi «e questo si è espresso disgraziatamente in questa forma». Moyano ha poi escluso che simili azioni «possano essere state organizzate da qualcuno».
vedi:clarin.com
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riportiamo qui di seguito una interessante corrispondenza
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Elisabetta Della Corte
Cordoba, Argentina, 24 dicembre 2012
da http://insorgenze.wordpress.com
Il Natale è arrivato non tutti in Argentina possono permettersi un
banchetto a base di carne e altri beni di consumo. Dai quartieri
popolari di diverse città come Bariloche, Rosario, San Fernando, Campana
tra il 19 e il 21 dicembre si è levata un’ondata di espropri proletari
che la stampa ufficiale continua a bollare come atti vandalici,
saccheggi, ponendo l’accento sul fatto che quei “dannati della terra”
non si siano limitati a portare via solo il cibo necessario ma anche
elettrodomestici e così via, per delegittimare così questo conflitto che
mina l’apparente quiete argentina. I segni di un disagio crescente
erano già nell’aria nei giorni precedenti, quando alcune catene della
grande distribuzione ubicate nei pressi dei quartieri popolari di Buenos
Aires per calmare le acque avevano offerto beni di consumo a basso
prezzo. La strategia del discount non ha funzionato e migliaia di
persone in oltre 40 città argentine, questo il numero riportato da
diverse fonti, hanno preso d’assalto i negozi e preso quanto potevano.
Le foto e i video di questi giorni riportano alla mente le scene della
crisi del 1998 e del 2001 che fecero cadere il governo di Alfonsin prima
e quello di Della Rua poi. Certo, l’intensità è diversa e oggi non è in
gioco la stabilità del governo Kirschner, molto è stato fatto per
ripartire dopo il disastro delle politiche neoliberiste, e negli ultimi
anni, partendo dal basso, il ritmo di crescita è avanzato a passo di
rumba. Quanto sta accadendo però riporta in primo piano delle semplici
domande sulla “bontà” del modello di sviluppo capitalistico, sui criteri
di redistribuzione della ricchezza socialmente prodotta, e questo vale
tanto per l’Argentina quanto per i paesi dell’Europa in crisi. Domande
scomode su cui spesso si sorvola fino a quando il conflitto sociale non
si presenta ai nostri occhi con la dovuta violenza.
Da qui alla presenza di polizia e militari nelle strade per riportare la
“calma”, difendere i negozi e scacciare nuovamente i “dannati” nei
quartieri popolari, nelle prigioni patrie, per poi pubblicizzare un
piano sociale di reinserimento e incentivi per l’educazione, è storia
conosciuta.
Il saldo del conflitto sociale
Il saldo di questi due giorni di fuoco presenta cifre diverse. A secondo
delle fonti, in prigione sono finite tra le 500 e le 650 persone. I
morti invece sono due: una donna di 40 anni ferita mortalmente da un
vetro e un giovane di 22 colpito da un proiettile, per cui si indaga
sulle responsabilità della polizia che in teoria avrebbe dovuto usare
proiettili di gomma. Decine, invece, i feriti, tra questi uno solo della
polizia. I negozi saccheggiati sono circa 290 e i danni, secondo le
stime della Camera di commercio della piccola e media impresa (CAME) si
aggirano intorno ai 26, 5 milioni di pesos (3.866.676 euro).
Alla ricerca della regia occulta: benvenuti nel gioco del tutti contro tutti
Nel tentativo di individuare una gabina di regia dei saccheggi che hanno
perturbato la vigilia del natale argentino il gioco del tutti contro
tutti ha preso il sopravvento: governo contro sindacati, questi ultimi
contro il governo e allo stesso tempo velatamente in lotta tra di loro.
Secondo le fonti governative non si tratta di atti spontanei. Anche se
mancano le prove, il capo del gabinetto, Abal Medina, e il segretario
della Sicurezza, Sergio Berni, accusarono Moyano leader della sinistra
radicale del sindacato dei camionisti (CGT), e altri sindacalisti in
contrasto con il governo, di aver coordinato gli espropri. Sul fronte
opposto l’accusato Moyano rinvia la responsabilità della crisi sociale
al governo che secondo lui cerca capri espiatori per nascondere i propri
errori. Il sindacato opposto alla CGT, nella versione offerta da
Scioli, altro leader sindacale, ha parlato invece di gruppi preparati
per seminare il caos, ma a differenza del governo, ha evitato le accuse
dirette. Mentre l’altra anima del sindacato dei camionisti, capeggiata
da Calò, si è limitata a fare riferimento a gruppi radicalizzati.
Uscendo dal campo delle accuse reciproche per guardare invece ai luoghi
in cui sono avvenuti i fatti e alle persone, emerge un quadro di povertà
ed emarginazione. Quartieri privi dei servizi minimi, baraccopoli senza
luce, gas e acqua; giovani, donne e uomini che difficilmente potrebbero
permettersi un televisore al plasma, seppure da pagare in 50 rate. I
dati parlano di gente che vive al di sotto della soglia di povertà in
una società fortemente polarizzata dove alcuni, pochi, vivono in
quartieri protetti e case con piscine mentre altri, gli abitanti dei
quartieri poveri, aspettano che le grandi tormente estive portino loro
l’acqua.
Le previsioni economiche per il 2013 non sono incoraggianti
Dopo i cinque anni di forte espansione, dal 2005 in poi, negli ultimi
due anni si avvertono segni di rallentamento. Solo per comprende con un
esempio alcune delle questioni macroeconomiche, una parte delle speranze
per l’aumento del Pil sono legate al settore automobilistico: in
Argentina, da Cordoba, dove sono allocate le maggiori multinazionali del
settore auto, si esporta oltre l’80% di auto e parti componenti verso
il Brasile, ma è necessario che il gigante brasiliano continui a tirare e
che la concorrenza del Messico, paese divenuto di recente un
competitore, venga contenuta per far sì che quelle previsioni di aumento
di alcuni punti percentuali si realizzino. Intanto il governo
provinciale come quello nazionale, negli anni non ha fatto mancare lauti
incentivi a questo settore che, qui come in Europa, continua ad essere
sostenuto da fondi pubblici in cambio di posti di lavoro, seppur del
tipo che spacca la schiena e infiamma i tendini con buona pace del
sindacato.
Vi è poi il problema dell’inflazione crescente che impatta sulle
capacità d’acquisto. E’ anche vero che in questi anni il governo ha
portato avanti una politica espansiva, sconosciuta nell’Italia di Monti e
più in generale nell’Europa che si affannata a ridurre la spesa
pubblica, centrata sulla creazione, 5 milioni stando alle statistiche
governative, di posti di lavoro più che di tagli, ma rimane il fatto
che il malcontento è in aumento, nonostante gli sforzi.
Molte altre questioni rimangono da trattare per restituire parte della
complessità di quanto sta accadendo. Può questo modello, dipendente
dalle multinazionali, come quelle dei call-center, sganciarsi e
procedere verso una società post-crescita, valorizzando le risorse
locali? Si può pensare ad uno sviluppo agricolo indipendente dalla soia e
dalla presenza di Monsanto?
Sarebbe bello pensare che un’altra strada sia ancora possibile, riaprendo le conclusioni di Gabriel Garcia Marquez in Cento anni di solitudine, affinché «le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano infine una seconda opportunità sulla terra».