Quanti volti ha l'Argentina?

La "Carovana dei Popoli contro il terricidio" fa tappa a Buenos Aires: intervista a Federico Larsen

30 / 1 / 2020

«Adesso l’America è, per il mondo, nient’altro che gli Stati Uniti: noi abitiamo in una sub-America, un’America di seconda classe, difficile da identificare. È l’America Latina, la regione delle vene aperte». (Eduardo Galeano, Le vene aperte dell’America Latina)

Così scriveva Eduardo Galeano in uno dei sui scritti che lo ha reso celebre, un saggio che non può che essere una guida per chi, come noi, conosce poco la complessità dell’America Latina.

Siamo a Buenos Aires, a Baires come senti dire per le strade di San Telmo e de La Boca, una città europea come testimoniano quasi tutti i cognomi nelle insegne di bar e negozi; ritmi serrati, turisti spaesati, venditori ambulanti e recuperanti di immondizia, il tutto illuminato da un caldissimo sole estivo.

Ci diamo appuntamento con Federico Larsen, giornalista argentino che ha vissuto per tanti anni in Italia e che ha già collaborato con Globalproject.info, per farci spiegare come è la situazione in Argentina e come ciò che si vede nella capitale sia differente dal resto del Paese. Si sa, in Italia come altrove, quando guardiamo all'estero non siamo nuovi a prendere "abbagli" o a idealizzare eventi e situazioni.

Federico ci dà appuntamento a Plaza de Mayo, luogo simbolo della città, la piazza che nel maggio del 1810 vide i fasti della Revoluciòn de Mayo attraversarla fino a raggiungere l’obiettivo finale dell’indipendenza dal giogo spagnolo. La stessa piazza che ospita la Casa Rosada, sede di complotti e residenza di generali sanguinari; la piazza che ogni giovedì, da 44 anni, alle 15.30, ospita il grido di giustizia e verità di madres e abuelas: «le lotte per il bene non sono mai perse. La sconfitta è restare inermi».

Argentina 2020

Quello che Federico Larsen ci consegna è il quadro di un paese che vive con una spada di Damocle sopra la testa, salendo e scendendo da un ottovolante chiamato crisi finanziaria, ma che lotta e produce alternative, continuando a riempire le piazze.

Quello che sta succedendo in America Latina in questo momento ha a che fare con una perdita di governabilità da parte dei settori che sin dagli albori dell’indipendenza hanno iniziato ad avvicendarsi dentro le istituzioni liberali e repubblicane. «Sono istituzioni che oggi non funzionano più perché hanno generato povertà, disuguaglianza sociale e una grandissima esclusione dei settori popolari che sono quelli che oggi si ribellano, utilizzando modi e metodi che hanno a loro disposizione». È una chiacchierata molto franca, che in alcuni punti ci coglie anche di sorpresa, ma è normale davanti alla complessità di un paese come l’Argentina.

Se da una parte abbiamo visto, e stiamo ancora vedendo, l’esempio del Cile, dove ci sono grandissime mobilitazioni popolari contro il governo di Sebastian Piñera; abbiamo notato in Perù la situazione degenerare in seguito alla scelta del Presidente di sciogliere il Parlamento per evitare che le forze di opposizione continuassero un blocco istituzionale che non permetteva l’attuazione di riforme contro la corruzione; in Ecuador la popolazione si è ribellata, principalmente la parte indigena che era stata esclusa dai precedenti movimenti e partiti di governo e che ha bloccato il paese per settimane, domandando inclusione e diritti. Dall'altra parte l’Argentina è il classico "caso a parte", per questioni proprie ed endemiche, quasi domestiche, questioni di potere presenti all'interno delle forze politiche, degli imprenditori e di coloro che governano il paese, i quali hanno una storia molto particolare, che negli ultimi anni è stata molto diversa a quella del resto del continente. 

Il fattore fondamentale che differenzia l’Argentina dal resto è senza dubbio il peronismo. Il peronismo è un movimento che è riuscito, secondo Federico, a cooptare, secondo altri a far innamorare, i settori popolari argentini alla vita politica e alla partecipazione. Effettivamente si può vedere come durante gli anni del governo di Mauricio Macri, il peronismo sia servito da una parte a racimolare consensi contro il governo stesso di Macri, ma dall'altra è servito a evitare che effettivamente questo consenso si trasformasse in rivolta e in grandi manifestazioni come nel resto dell’America Latina. Quello che è successo tra fine 2018 e 2019 è stata una riorganizzazione interna del movimento peronista, che include in esso alcuni movimenti sociali e sindacali, ma anche partiti di governo, di establishment e soprattutto di personaggi che hanno sempre partecipato, in passato, allo smistamento delle cariche pubbliche. Essi sono riusciti a trovare, così, un’espressione organica che li ha portati, nello scorso ottobre ha sconfiggere quella che era l’espressione più conservatrice della Repubblica Liberale Argentina.

Alla domanda «cosa succederà in futuro», Federico, non ha ancora una risposta pronta. «Abbiamo 57 miliardi di dollari di debito con il Fondo Monetario Internazionale. Le negoziazioni che probabilmente si apriranno in questi giorni e che avranno il loro punto caldo verso maggio, cominceranno a stabilire quali saranno i parametri attraverso i quali l’Argentina comincerà a trovare una via d’uscita a questo enorme problema. Il debito di fatto provoca grandissimi disagi dal punto di vista dell’organizzazione sociale e istituzionale: le scuole cadono a pezzi e non si possono riparare perché non ci sono soldi pubblici per ripararle, stessa identica cosa rispetto agli ospedali. Sono situazioni che ovviamente ricadono sulla vita quotidiana dei settori popolari che dipendono loro malgrado dal tipo di approccio che il governo deciderà di perseguire per cercare una soluzione al problema del debito».

E i movimenti sociali in tutto questo?

Dimentichiamo la modalità "all'italiana", quell'idea che attraverso il mutualismo dal basso si possa ovviare alla mancanza di servizi o alla demolizione del Welfare. Parliamo di un Paese immenso, dove i movimenti sociali funzionano in qualche modo come un contrappeso ai settori tradizionali e istituzionali che dipendono dai comparti di governo. I movimenti dei disoccupati, le cooperative e i movimenti sociali tentano di trascinare, in qualche modo, verso sinistra un governo che è tranquillamente definibile “camaleontico”. Un governo composto anche da esponenti dei settori più reazionari della politica, tra di loro per esempio ci sono anche i responsabili del massacro di Avellaneda nel 2002, simbolo della lotta popolare contro le istituzioni neoliberiste. In questo momento essi fanno parte di un governo che ha l’appoggio di parte di quei movimenti che hanno represso quindici anni fa circa.

Secondo Federico «è una situazione molto complicata perché è un negoziazione verso l’esterno, è una negoziazione dell’Argentina con il capitale straniero, ma è allo stesso tempo una negoziazione che riguarda la politica interna e questa trattativa deve fare in modo che il grande capitale straniero non ritorni ad avere peso nelle decisioni quotidiane del governo». 

E alla domanda se ci riuscirà il governo Fernandez o no? 

La risposta è prudente: «È ancora presto per dirlo, sicuramente dalla metà del 2020 riusciremo ad avere qualche indizio più preciso e un quadro più dettagliato della situazione».

Davanti a queste parole ci fermiamo un attimo, saranno i diversissimi input che ci sono arrivati, sarà una situazione nuova e a noi sconosciuta, sarà che quando sei Buenos Aires – perlomeno è quello che è successo a noi – non puoi non pensare alla storia di questo paese. La memoria è una cosa importante e dove la dittatura ha permeato così tanto una città non puoi non farci caso.

E ancora oggi quanti giovani vite sono state spezzate? Lucia Perez, ad esempio, barbaramente trucidata dopo essere stata più volte violentata e abbandonata all'ingresso del pronto soccorso di Mar del Plata. Oppure Santiago Maldonado, desaparecido e ritrovato qualche mese dopo, ucciso dalla gendarmeria, mentre manifestava contro l’estrattivismo di Benetton.

Argentina 2020

A Baires ci sono anche luoghi deputati alla memoria meno ufficiali, ma più vicini al sentire popolare: la baldosas de los desaparecidos (le maioliche degli scomparsi). Le si incontra casualmente, girando per i barrios popolari della città. Sono piccole composizioni, spesso molto colorate, che ricordano i luoghi in cui vivevano i giovani argentini che vennero rapiti dalle palotas (plotoni di militari in borghese) e di cui non si seppe più nulla. Contrariamente alle “pietre d’inciampo” che, a parte il nome, sono tutte uguali per colore e forma, le baldosas sui marciapiedi dei porteños sono una diversa dall’altra. Sono state poste privatamente sui marciapiedi per iniziativa di parenti e amici, davanti ai portoni in cui vivevano ragazzi e ragazze crudelmente torturati. Hanno una forte connotazione culturale per i cittadini della capitale argentina.

Risulta facile divagare con la mente, ma è proprio Federico che ci riporta sul pianeta terra, incalza sui movimenti sociali, molto spesso motore di cambiamento, sulla spinta delle piazze oceaniche popolate perlopiù da giovani e giovanissimi.

«I movimenti sociali in Argentina sono stati attraversati negli ultimi cinque anni da un’onda gigantesca, un’onda verde, la grande onda del femminismo. Questo tipo di realtà viene però da molti anni indietro perché già negli anni ‘80 esisteva in Argentina un movimento femminista nazionale molto importante che sin dalla sua nascita si è fatto promotore dell’“encuentro nacional de mujeres” che rappresenta una delle esperienze che secondo me differenzia veramente il movimento femminista argentino rispetto a quello del resto dell’America Latina, che negli ultimi anni ha innegabilmente vissuto una crescite esponenziale, straordinaria. Da una parte la rivendicazione per il diritto all’aborto, che è molto forte e sentita in Argentina, non essendo l’aborto ancora legale e che parla di rivendicazioni dirette e mette al centro del dibattito la richiesta del diritto delle donne di decidere sul proprio corpo».

In realtà esistono anche tutta una serie di rivendicazioni di nuovo tipo che in qualche modo sono sorte con forza nello spazio mediatico e politico solo negli ultimi anni. La questione dei femminicidi, per esempio, è una di queste rivendicazioni, uno di quei punti che più hanno unito i movimenti femministi appartenenti anche a tradizioni ideologiche molto dissimili tra di loro, ma che su questi temi nevralgici hanno trovato un programma comune su cui confluire ed organizzare la lotta. 

Questa massività con cui sono entrate le donne all’interno del discorso politico argentino è dovuta anche alla presenza di voci femminili giovanissime, ne sono chiaro esempio le immagini delle grandi manifestazioni durante la discussione della legge sull’aborto del 2018, dove la maggioranza delle manifestanti era dai 14 ai 18 anni, minorenni che effettivamente si sono rese conto che le cose così come vanno non funzionano e che devono cambiare dal punto di vista normativo, ma anche nelle relazioni sociali quotidiane, le relazioni tra uomini e donne o diverse da quelle binarie a cui magari siamo abituati tradizionalmente sono diventate pane quotidiano delle discussioni tra le giovanissime generazioni. 

Parliamo di un movimento che non ha una conduzione politica (inteso di forze partitiche), un programma concreto o una capacità di mobilitazione stabilita in base ai rapporti di forza, anzi c’è molto spontaneismo, ci sono assemblee che sorgono anche senza aver ben in chiaro come funziona il sistema assambleaio, ci sono molto spesso una serie di pratiche che portano questo movimento a fare passi quasi elefantiasici, ad essere a volte contraddittorio internamente, mentre quello che si vede da fuori, nel resto dell’America o del mondo è la forza e la potenza con cui le donne in Argentina sono uscite nelle strade, rivendicando i loro diritti.

«Dal punto di vista interno molto spesso ci sono serie discussioni su quali passi portare avanti, come procede questo movimento e come continuare a costruire forza perché in Argentina ancora oggi una donna muore ogni venti ore a causa della violenza machista, ancora oggi l’aborto è illegale, ancora oggi le donne hanno un salario minore degli uomini per pari prestazione», conclude Federico augurandosi che l’essere sulla buona strada porti ad una concreta parità dei diritti senza che passino troppi anni.

Argentina 2020

Ci salutiamo, qualche ora insieme ci ha restituito un’immagine di una paese così bello, ma così complesso. Quello che puoi fare davanti a questa mole di informazioni, è camminare, quasi per caso ci imbattiamo nel Hotel Bauen. Era l’albergo del regime, inaugurato nel 1978, in piena dittatura militare, per i Mondiali di calcio. Dal 2003 è una delle esperienze più particolari delle “recuperade", ossia quelle fabbriche e quelle imprese che, a fronte del fallimento e dell’imminente chiusura, sono state occupate dai lavoratori e dalle lavoratrici e vengono sostanzialmente autogestite. Ci troviamo davanti ad un albergo di una ventina di piani, reinventato ormai: c’è un teatro, la mensa per chi lavora. E c’è il salone per il ballo, una sala per le colazioni, e vari curiosi che si aggirano per i corridoi.

La struttura è perfettamente funzionante, a fronte della crisi economica resiste. Ce ne sono tante di esperienze come queste in Argentina.

«Buenos Aires è una città che non dorme, puoi amarla e odiarla nello stesso giorno più volte a seconda dell'ora e del luogo in cui ti trovi»; questo ce lo dice Ezequiel quando ci incontriamo dopo aver vagabondato per la città, ha dei dread di varia lunghezza e un sorriso contagioso. Ezequiel è quello che nel gergo da centri sociali definiremmo un fratello, parla un curioso itagnolo e ha vissuto per un anno nel freddo Nord Est d’Italia, ed è proprio lui a dirci che in Argentina nonostante ci sia ancora parecchia strada da fare la predisposizione al dibattito è molto alta ancora.

Argentina 2020

E così, camminando per Palermo, per le sue strade acciottolate e i suoi passaggi pieni di graffiti che esprimono le tante lotte popolari che caratterizzano il Paese, ci ricordiamo di qualche giorno fa quando appena arrivati ci hanno raccontato che Buenos Aires è bella sopratutto di notte, quando scavalchi las rejas per goderti dei momenti di tranquillità nei parchi della città, e allora tutto ciò ci fa pensare che i muri vanno sempre scavalcati. Per i propri diritti. Sempre.