La Libertà è tutto / Racconti della Rivoluzione Egiziana, parte seconda

30 / 8 / 2011

3 - 28 GENNAIO – DAY OF RAGE

Dopo le proteste del 25, i gruppi rivoluzionari concentrano le energie nel promuovere manifestazioni in tutto il paese per venerdì 28 gennaio. L'adesione è enorme soprattutto al Cairo, Alessandria e Suez. Ovunque avvengono scontri dopo il tentativo di repressione violenta da parte delle forze dell'ordine. Si registrano le prime vittime e il regime comincia a utilizzare cecchini in prossimità delle aree più calde. Mubarak dà in televisione il primo dei suoi tre discorsi durante i 18 giorni della rivoluzione. Durante la notte le prigioni vengono aperte e la polizia scompare dalle strade del paese. I civili si organizzano per proteggere i propri quartieri.

HEBA: quando il 25 uscii dal mio ufficio in centro al Cairo, vidi un mare nero di poliziotti e sentii dei cori lontani e l'odore dei lacrimogeni. Poi il corteo irruppe nella strada, il traffico dovette cambiare direzione, gli elmetti si strinsero attorno ai manifestanti. Una mia collega si buttò nel corteo. Fino a quel momento ero stata una brava cittadina egiziana, odiavo il regime ma ero molto timorata della legge e delle autorità. Sentivo di voler seguire la mia collega, ma qualcosa mi fermò.

Quella sera io e mia sorella ci sentivamo malissimo a star sedute sul divano mentre la gente era in strada. Decidemmo di portare cibo e bevande ai manifestanti, come molti altri stavano già facendo. Eravamo spaventate a morte, stabilimmo che avremmo lasciato le provviste ai ribelli e saremmo immediatamente rincasate. Quando eravamo già in macchina con tutta la roba pronta, ci arrivò la notizia che la piazza era stata sgomberata.

Il 27 tornai ad Alessandria come faccio ogni fine settimana. Quel giorno un'amica mandò un messaggio collettivo su Facebook dicendo che il 28 sarebbe andata in manifestazione e che ci invitava a fare lo stesso. Rividi l'enorme corteo che passava a pochi metri da me, e rividi me stessa restare immobile sul marciapiede. Decisi che il 28 sarei andata.

Partimmo dalla periferia della città con una piccolissima manifestazione. Continuammo a crescere lentamente finché non arrivammo alla Corniche, la strada lungo la spiaggia. Lì c'era un corteo di dimensioni impressionanti1. Marciammo per circa sei ore su e giù per la Corniche. Gli egiziani sono molto famosi per prendersi in giro da soli, prima della rivoluzione non avevamo molta autostima della nostra nazionalità. Per esempio, è molto comune l'idea che gli egiziani non siano in grado di essere rispettosi e di organizzarsi efficacemente. Ma in questa manifestazione tutti erano rispettosi degli altri ed eravamo organizzati pur senza un leader preciso. Non eravamo una massa fuori controllo, eravamo un enorme corteo pacifico e perfettamente autocosciente.

Ma la polizia attaccò pesantemente con i lacrimogeni e a un certo punto molti persero la pazienza e reagirono con la forza. Verso le cinque e mezza, una grande stazione di polizia proprio sulla Corniche fu data alle fiamme. Gli ufficiali scapparono chiudendo dentro dei poliziotti e lasciarono che morissero bruciati. Alcuni manifestanti tentarono di salvare gli agenti chiusi dentro ma senza successo. L'incidente mi spezzò il cuore. Il fumo dei lacrimogeni e dell'incendio era ovunque, un commerciante ci lasciò entrare nel suo negozio e riabbassò la serranda. Quando uscimmo la situazione era ancora più violenta, così tornammo a casa. Tra il 28 e l'11 ci sono state manifestazioni ogni giorno anche ad Alessandria, soprattutto lungo la Corniche.

MOHAMED: solo il 28 gennaio divenne chiaro a tutti che non si trattava solo di una protesta, era davvero una rivoluzione. Era il giorno perfetto: la polizia era stanca per tutta la repressione che aveva dovuto condurre nei tre giorni precedenti, Suez era già in fiamme2, era il primo giorno delle vacanze invernali per tutti gli studenti e ovviamente venerdì è il giorno sacro, quindi buona parte degli egiziani non lavorava. L'evento della manifestazione su Facebook aveva più di 80.000 partecipanti. Ma questa volta non sapevano della manifestazione solo gli egiziani con accesso a internet, tutti ne parlavano e tutto faceva pensare che sarebbe stato qualcosa di grande.

Le manifestazioni cominciarono dopo la preghiera del venerdì, molti cortei partivano direttamente dall'uscita delle moschee. Io, mio fratello e il mio amico Mostafa prendemmo un taxi per la moschea Mostafa Mahmoud. Ma lungo il tragitto ci imbattemmo in un corteo gigantesco, la strada era molto larga ma non si riusciva a capire dove iniziava e dove finiva. Tantissima gente scendeva in strada dagli edifici circostanti, il corteo si allargava senza sosta man mano che procedevamo. Mi accorsi che c'erano manifestanti ben più navigati di me. Molti avevano mascherine bianche e bottiglie di aceto o Pepsi per contenere gli effetti dei lacrimogeni. Ci riversammo in via Tahrir e da lì raggiungemmo piazza Galaa.

Si sentiva in continuazione lo slogan “Pacifici, pacifici”, l'idea era che non dovevamo attaccare per primi. Appena ci avvicinammo, ci cadde addosso una pioggia di lacrimogeni, peraltro lacrimogeni scaduti, che pare siano peggio. Non riuscivo a respirare, mi sciacquai con dell'acqua ma fece ancora peggio. Uno sconosciuto mi mise dell'aceto sulla faccia e le cose migliorarono un po'. Per fortuna era una giornata ventosa, quindi una parte dei lacrimogeni veniva sospinta lontano da noi.

Dei lacrimogeni atterrarono su una camionetta che, non so bene come, finì per prendere fuoco. La polizia tentò di allontanarsi. Fu una ritirata davvero goffa, alcuni poliziotti ed ufficiali rimasero isolati, restarono indietro persino delle camionette piene di manifestanti arrestati. I rivoluzionari sfondarono le portiere e liberarono i prigionieri, poi permisero ai poliziotti di allontanarsi illesi3. Un alto ufficiale venne ferito, ma fu portato all'ospedale da alcuni manifestanti.

La polizia si ritirò fino all'Opera, che dà proprio sul Qasr al Nile, il ponte sul Nilo che porta a piazza Tahrir. Credo che a quel punto cominciarono a usare i proiettili di gomma, perché vidi attorno a me moltissimi feriti. Noi caricavamo a gruppi, quando un gruppo veniva respinto dai lacrimogeni o dalle manganellate, un altro partiva. Ci accorgemmo che conveniva restare più vicino possibile alla polizia, perché, se ci avessero lanciato dei lacrimogeni quando eravamo a pochi metri, li avrebbero respirati anche loro. Riuscimmo a circondarli e ad attaccare da diverse direzioni, dovettero ritirarsi di nuovo, fino all'estremità opposta del ponte.

Eravamo stipati in massa sul ponte, pensavo che sarei morto là sopra al Nilo. Quando i lacrimogeni ci arrivavano addosso, non c'era modo di scappare da nessuna parte, potevamo solo stare fermi dov'eravamo. Non riuscivo a vedere quel che succedeva attorno a me, ma scorgevo colonne di fumo di lacrimogeni e di incendi alzarsi da ogni parte del Cairo. Era una visione apocalittica, sembrava che tutta la città stesse andando a fuoco.

Iniziammo di nuovo a caricare. Qualcuno riuscì ad arrampicarsi su un paio di veicoli della polizia e a pestare gli agenti che dal tettuccio sparavano proiettili di gomma. Alcuni di questi veicoli tentarono di investire i manifestanti. Nessuno sa bene quante persone sono morte nella battaglia del Qasr al Nile, io so solo che c'erano chiazze di sangue dappertutto sull'asfalto. Credo che a quel punto la polizia avesse ordine di non permettere a nessuno di entrare a Tahrir, a qualsiasi costo.

Dopo circa mezz'ora di scontri, sentimmo la chiamata per la preghiera del pomeriggio. Eravamo tutti esausti, decidemmo di pregare per poter riprendere fiato. La polizia si mise immediatamente ad annaffiarci con un cannone ad acqua. Eravamo coperti di gas lacrimogeno, quindi l'acqua bruciava la pelle. Mentre pregavamo, la polizia ebbe tempo di riorganizzarsi e prepararsi per l'attacco. Appena la preghiera finì, fummo investiti da una pioggia di lacrimogeni, proiettili di gomma e pallini metallici, poi partirono una serie di cariche estremamente brutali. Mio fratello venne colpito al piede da un proiettile di gomma, niente di grave per fortuna. Riuscirono a sgomberare tutto il ponte fino all'estremità da cui eravamo entrati4.

Pensavo che fosse finita lì, che quella battaglia fosse persa. Ci unimmo a un corteo che tentò di passare dal ponte 15 Maggio, poco più a nord. Ma anche questa via era pesantemente protetta. Restammo lì ore, carica dopo carica, senza riuscire a passare. Finché la polizia prese l'iniziativa e attaccò con grande violenza. Ci trovammo circondati da lacrimogeni proprio attaccati a noi, credevo di morire soffocato. A quel punto mio fratello disse: “Abbiamo fatto abbastanza, andiamo a casa”. I nostri non sapevano nemmeno che eravamo lì.

Poi venni a sapere che la battaglia sul Qasr Al Nil non era finita, nuovi cortei avevano continuato ad arrivare da ogni parte. Per ogni uomo che si stancava di caricare, ne arrivavano altri dieci. La polizia stava esaurendo le forze e le munizioni. Il fatto è che i primi che scesero in strada non erano seriamente pronti a combattere, erano soprattutto membri dell'élite, della classe medio-alta. Ma dopo alcune ore arrivarono gli slum, e la gente del ghetto è abituata a lottare. Sentivo alcuni attorno a me che dicevano: “Oh mio dio, stanno arrivando quelli di Shubra!” E a quel punto le cose diventarono davvero violente, iniziarono a volare le molotov. Vidi un tipo arrivare da una pompa di benzina con una molotov appena confezionata per mano. Un uomo lo stava pregando: “Per favore non lanciarle, dobbiamo rifiutare la violenza!” L'altro era un ragazzo di strada, si vedeva bene, rispose che ne aveva abbastanza di tutti quei lacrimogeni e che era ora di fargliela vedere.

Dopo le cinque la polizia perse del tutto il controllo della situazione, ricevettero l'ordine di scappare per salvarsi la vita. Al tramonto milioni di persone iniziarono a riversarsi in piazza Tahrir5.

AHMED: finita la preghiera mi avviai verso Mostafa Mahmoud. Accanto a me camminavano decine di persone, sapevamo tutti che stavamo andando nello stesso posto per lo stesso motivo, ma facemmo finta di niente per non attirare l'attenzione. Fino a piazza Galaa fu una passeggiata. Lì partirono lacrimogeni e cariche.

Per noi era difficile caricare, gli agenti avevano manganelli abbastanza lunghi per colpirti prima che tu potessi toccarli. Quindi c'era questa tattica di correre in tre verso i poliziotti, al momento opportuno il ragazzo in mezzo metteva le mani sulle spalle degli altri due e si lanciava a gamba tesa. Funzionava piuttosto bene. Altri raccoglievano i lacrimogeni appena atterravano e li rilanciavano verso gli agenti.

D'un tratto dovetti scappare via da un lancio di lacrimogeni ben mirato. Pensavo che poteva bastare, che sarei tornato a casa. Ma quando smisi di correre vidi gli altri che tornavano verso la battaglia, non potevo disertare. Al mio ritorno parte della polizia si era ritirata. C'era uno dei nostri in cima a una camionetta con un casco della polizia in testa e un altro in mano, incitava gli altri a passare tra le camionette. Dopo pochi minuti, decine di manifestanti erano in cima alle camionette a dirigere le masse verso il ponte. Alcuni ribelli erano riusciti a chiudere dei poliziotti dentro alle loro camionette. Tre ufficiali erano legati a delle sedie, due erano in mutande.

Io passai assieme a molti altri oltre le camionette. Ma una parte rimase bloccata dall'altro lato a causa dell'arrivo dei rinforzi della polizia. Un blindato si mise a sparare decine di lacrimogeni allo stesso tempo. Non so cosa successe da quella parte, noi ormai non potevamo più tornare indietro, ma tutti gli altri ci raggiunsero dopo circa un'ora.

Sul ponte Qasr al Nil c'erano ancora più poliziotti. Decidemmo di pregare, il gruppo davanti a noi venne annaffiato col cannone ad acqua. Finita la preghiera qualcuno urlò le parole del profeta Maometto: “Allah è il nostro dio, ma loro non hanno dio”, e questo incitò tutti a caricare. La polizia aveva una schiera di cani, ma erano troppo spaventati per attaccarci. Un ragazzo stava correndo qualche metro alla mia destra, si sentì un colpo e lui improvvisamente cadde sull'asfalto e non si mosse più. Sentivo urla dietro di me: “Il primo martire, il primo martire!” Invertii la direzione della corsa. Beh, non volevo essere il secondo martire. Altri raccolsero il corpo e lo portarono via. È un'immagine che non se ne andrà mai, era un ragazzo più giovane di me, in perfetta salute. Stava correndo al mio fianco, e un istante dopo era per terra immobile.

Scappammo indietro verso Zamalek. Mi unii a un corteo che attraversò Zamalek fino all'ambasciata tunisina. Ma nel frattempo la strada per Tahrir si era liberata così mi mossi verso la piazza. Vidi la polizia che si raccoglieva sul ponte 6 Ottobre per ritirarsi definitivamente. Dei ragazzi sul ponte Qasr al Nil tiravano pietre contro le camionette che sfrecciavano sulla strada sottostante. In piazza Tahrir tutti erano molto confusi, c'era come il sentimento di un bambino che ne ha fatta una davvero grossa, e sa che verrà punito dai genitori in qualche modo.

RAMI: arrivai in piazza Tahrir con il corteo proveniente da Mohandesin. Ero nelle retrovie, non partecipai agli scontri anche se i lacrimogeni arrivarono tranquillamente fino a noi. Raggiungemmo la piazza poco dopo le cinque, le forze dell'ordine stavano ancora attaccando i manifestanti. Allo stesso tempo, dei criminali al soldo del Ministero degli Interni stavano tentando di entrare nel Museo Egiziano per rubare e distruggere quel che potevano. D'altra parte la polizia ha sempre usato criminali per fare i lavori sporchi che a loro non andavano.

Ci riunimmo in numerose file di cordoni tutto attorno al museo, eravamo più di un migliaio solo nei cordoni. Non sono mai riuscito a capire come gli egiziani siano riusciti a proteggersi l'un altro durante la rivoluzione. Non c'era nessuna organizzazione vera e propria. Nessuno mi disse di difendere il museo, vidi solo altre persone che lo facevano. Molti manifestanti vicino a me vennero feriti, non so se da proiettili veri o di gomma.

ALY: il 28 mi unii a un corteo che passava proprio sotto casa mia. Quando raggiungemmo piazza Giza ci fu il caos. Partivano proiettili di gomma da un lato e molotov dall'altro. C'erano pozze di sangue sull'asfalto. La gente lanciava pietre alla polizia da un viadotto sopra la piazza. Era una posizione quanto mai vantaggiosa, così verso le quattro gli agenti si ritirarono. Da lì procedemmo su Tahrir senza incontrare nessun ostacolo, arrivammo al ponte Qasr Al Nile quando la battaglia era già finita.

Entrai in piazza sulle sette, il palazzo del PND era in fiamme. Confesso che quello fu uno dei momenti migliori della rivoluzione, lo spettacolo era imponente. Chiesi a un ragazzo là davanti cos'era successo. Rispose che era entrato con altri nell'edificio, si erano introdotti nelle cucine, avevano spaccato i tubi del gas e gli avevano dato fuoco.

Mi misi a lanciare pietre alla polizia rimasta, però ero in giro dal mattino e ormai iniziavo a sentirmi sfinito. Ma un tipo si avvicinò e disse: “Prendi questa pillola”. Non chiesi cosa fosse, non lo so ancora, so solo che mi diede un'energia da paura. Venni colpito da qualche pietra e non sentii nemmeno il dolore.

Presto la polizia si ritirò, e molti ribelli decisero di attaccare Ministero degli Interni. Io non andai, era arrivata notizia che dalle finestre e dal tetto i cecchini ammazzavano chiunque si avvicinasse. Rimasi in piazza tutta la notte, non dormii un minuto. Tutti cantavano, tutti erano euforici, la più grande battaglia della rivoluzione era vinta.

RUTH: il primo discorso di Mubarak6 fu senza dubbio un grande aiuto alla rivoluzione. L'aggettivo più appropriato per descriverlo è “demente”, diede a tutti l'impressione che Mubarak e la sua cricca fossero del tutto disorientati e inadatti a gestire la crisi, figuriamoci il paese. Era un'immagine dell'immobilismo stagnante di una classe politica incapace di mantenersi al potere se non giocando sporco. Portò dalla parte della rivoluzione molti indecisi.

Innanzitutto era arrivato troppo tardi. Nei tre giorni precedenti c'erano state proteste mai viste, interruzioni delle comunicazioni, repressioni violente e arresti a tappeto, ma lui restò in silenzio come se non stesse accadendo nulla. Venne allo scoperto solo quando fu costretto e riuscì solo a borbottare frasi fatte e le solite bugie che ormai nessuno sopportava più. Erano decenni che Mubarak faceva promesse senza muovere un dito per mantenerle: riforme democratiche, migliorare il sistema educativo, costruire infrastrutture adeguate... Tentò di passare l'idea che c'erano dei manifestanti “buoni” che volevano solo esprimere la loro opinione nel rispetto della legge e dei manifestanti “cattivi”, forse manipolati da potenze straniere, che volevano precipitare il paese nel caos e nella rovina. Bastava seguire il discorso per pochi secondi per avvertire un irrefrenabile senso di nervoso. Dichiarò che avrebbe formato un nuovo governo ma non parlò dei cecchini né tanto meno di riforme concrete.

MOHAMED: quando tornammo a casa non avevamo idea di quale fosse la situazione generale, non sapevamo che la rivoluzione stava vincendo. Nostra madre ci disse che era stato proclamato un coprifuoco di cui noi non sapevamo niente, come ne erano del tutto ignari i manifestanti che in quel momento erano a Tahrir con buona pace del coprifuoco stesso. La polizia era completamente scomparsa dal paese e l'esercito stava scendendo in strada. Lo SCAF, cioè il Consiglio Superiore delle Forze Armate, era comparso in televisione invitando i civili a proteggere i propri vicinati. Anche noi organizzammo delle ronde nella nostra zona, avevamo soprattutto mazze, vidi anche una pistola.

Credo che quella notte nessuno in tutto l'Egitto dormì. Molte stazioni di polizia furono prese d'assalto a mano armata, diversi poliziotti restarono uccisi. Alcuni ufficiali della Sicurezza Statale, noti per essere dei torturatori di professione, furono catturati e uccisi dai familiari delle loro vittime. C'è un video in cui un ufficiale di polizia viene spogliato, steso su una macchina e preso a coltellate su tutto il corpo. I beduini del Sinai, che odiano a morte lo stato egiziano, attaccarono con le armi molte stazioni di polizia o altre sedi governative. Ci furono anche scontri con l'esercito, alcuni veicoli militari vennero dati a fuoco e pare che ci siano state anche delle vittime tra i soldati. Ma la maggior parte dei ribelli accolse con gioia l'arrivo dei militari ed episodi del genere terminarono subito.

Non credo si possa dire che la Rivoluzione Egiziana sia stata una rivoluzione non violenta. È partita come non violenta, ma quando il regime ha tentato di reprimerla con la forza, molti egiziani hanno risposto con la forza, a diversi livelli. Ci sono stati degli eccessi, ma se tutti fossero rimasti completamente pacifici, probabilmente Mubarak sarebbe ancora al suo posto.

Il Ministero degli Interni, dal canto suo, aveva deciso di usare i cecchini sui civili e di aprire le carceri. Al Cairo i cecchini erano appostati soprattutto sui tetti dei palazzi vicino a piazza Tahrir7 e al Ministero degli Interni, e dentro al Ministero stesso. Quest'ultimo fatto rende piuttosto ridicole le recenti dichiarazioni del Ministero, che sostiene di essere del tutto estraneo alla vicenda dei cecchini. Era chiaro che non avrebbero permesso a nessuno di entrare. Il Ministero era il covo dell'odiata Sicurezza Statale, conteneva tutti i segreti e le prove delle torture, delle violazioni dei diritti umani e dei complotti. C’è un video in cui si vede un dimostrante colpito cadere, un altro rivoluzionario cerca di portare via il corpo e viene anch’egli ucciso8. Ogni volta che andavo in piazza pensavo: “Merda, questa è la volta che ammazzano me”.

È evidente che dietro alla simultanea apertura di tutte le carceri del paese ci sia stata la mano del Ministero. La strategia del regime era quella di portare il caos al massimo, di modo che la gente si spaventasse e desiderasse la restaurazione dello status quo. Alcune prigioni vennero autenticamente attaccate, membri di Hamas e Hezbollah liberarono i loro compagni. Ma pare che in molti casi la tecnica fosse di prendere dei prigionieri e fucilarli di fronte agli altri, di modo che i sopravvissuti si ribellassero e che l'evasione sembrasse frutto di un'autentica rivolta9. Il direttore delle prigioni egiziane fu ucciso dalla polizia stessa, probabilmente perché si rifiutò di aprire le carceri10. Durante la notte ci furono molti saccheggi armati a negozi e centri commerciali. Le devastazioni avvennero lontane dal centro, di modo che i manifestanti fossero spinti a tornare a casa per difendere la propria zona.

RAMI: quando arrivai a casa, ricevetti la telefonata di un vicino che mi invitò a un'assemblea per organizzare la difesa del quartiere. Tutti si presentarono con un qualche tipo di arma, io avevo una mazza da baseball. Alcuni avevano pistole, un mio vicino tirò fuori addirittura una mitraglietta.

Si respirava una solidarietà più forte del cemento. Avevamo acceso fuochi per la strada, le donne scendevano a distribuire cibo e bevande e mangiavamo tutti assieme, l'umore era alto e l'umorismo pure. Quando uno finiva il turno faceva un giro per gli altri checkpoint e ci si scambiava informazioni ed esperienze. Alcuni checkpoint fermavano persino i poliziotti, scene del tipo: “Oh, non hai la cintura di sicurezza, la multa è di 50 pound”. E se provavano a protestare: “Sono altri 50 pound per resistenza”. E i poliziotti pagavano veramente!

Quella notte tre uomini armati si diressero verso di noi a bordo di una moto. Noi eravamo davvero molti, bastò sparare dei colpi in aria per spaventarli. Tentarono di fare inversione ma li stavamo già disarcionando. Li consegnammo all'esercito, ma conosco delle persone che hanno addirittura ammazzato gli aggressori.

ALY: a una certa ora mia madre e le mie sorelle smi telefonarono dicendo che erano spaventate a morte e che dovevo tornare a casa. La mia strada si era trasformata nel quartier generale di una milizia. Nel mio quartiere nessuno aveva bastoni, c'erano solo pistole e coltelli di varie dimensioni. Un turno di guardia durava sei ore. Io presi un coltello da macellaio, ma lo tenevo nascosto nei pantaloni perché mi sembrava che tutti questi uomini visibilmente armati aumentassero la paranoia. Vicino a casa mia c'è una villa abbandonata che ha un enorme giardino con l'erba alta, era sempre stato un covo di eroinomani e spacciatori. Per i criminali era facile nascondersi là in mezzo. Solo il primo giorno catturammo più di trenta criminali e li consegnammo all'esercito.

I servizi d'ordine dei vari vicinati erano costantemente in contatto, per esempio: “Quattro uomini su una Honda rossa hanno sparato dei colpi di pistola nella parallela alla nostra strada e si stanno dirigendo verso di voi”. Ma successe che un ragazzo del servizio d'ordine abbandonò la sua zona per dare un'occhiata alle strade limitrofe, teneva una pistola in mano. Ma nell'altra zona era di turno un ragazzo che non lo conosceva. Vide uno sconosciuto avvicinarsi con la pistola, gli sparò e lo uccise. Dopo quell'incidente ci mettemmo dei fazzoletti al braccio per riconoscerci, ogni quartiere aveva un colore diverso di modo che i criminali non avessero modo di capire qual era il colore giusto.

Una volta ero di guardia a un incrocio, passò un tipo che chiaramente non era del quartiere. Gli chiesi cosa stesse facendo. Lui fece finta di essere pazzo, urlava cose senza senso ma si vedeva che sapeva quel che faceva. Gli dissi che per sicurezza dovevo consegnarlo all'esercito. Io e un mio amico lo afferrammo per le braccia e lo portammo a un posto di blocco dell'esercito poco lontano. Lo prendemmo senza fargli un graffio, ma quando lo consegnammo era davvero messo male. Praticamente ogni persona che avevamo incrociato sul percorso gli aveva mollato un colpo di lama. Quando lo lasciammo all'esercito respirava, ma non so se sopravvisse. Ci fu un incontro in seguito a questo incidente e si decise che una volta che un criminale, o sospetto tale, veniva catturato, doveva essere consegnato incolume all'esercito.

Dopo i primi giorni l'intensità del servizio d'ordine civile andò diminuendo, ma rimase fino alle dimissioni di Mubarak. I militari scesero sulle strade il 29 e aumentarono gradualmente la loro presenza. I grandi supermercati rimasero chiusi ma tutti i negozietti riaprirono subito. La polizia iniziò a farsi rivedere gradualmente dopo le dimissioni di Mubarak, ma ancora adesso ce n'è in giro molto meno rispetto a prima e non combinano granché.

4 - 29 GENNAIO-11 FEBBRAIO – LA FINE DI MUBARAK

Piazza Tahrir rimane occupata dal 28 gennaio fino alle dimissioni di Mubarak. L'1 febbraio Mubarak compare in tv con il suo secondo discorso, che gli permette di riconquistare parte dell'opinione pubblica. Il 2 febbraio i sostenitori di Mubarak attaccano violentemente piazza Tahrir a bordo di cavalli e cammelli, in quella che è stata ironicamente nominata la Battaglia del Cammello. Gli aggressori vengono respinti dopo un pomeriggio e una notte di scontri. L'attacco distrugge la credibilità di Mubarak.

Mubarak fa il suo ultimo discorso da presidente il 10 febbraio. In seguito alle dichiarazioni dell'esercito e della CIA, tutti si aspettano delle dimissioni che però non arrivano. Mubarak “viene dimesso” il giorno dopo in un discorso del suo vice Omar Suleiman, il potere presidenziale passa al Consiglio Superiore delle Forze Armate (SCAF). Decine di milioni di egiziani festeggiano il crollo del regime. Il numero dei rivoluzionari caduti sembra aggirarsi attorno a 850.

MOHAMED: dopo il 28 andai a Tahrir regolarmente. A quel punto dei ragazzi erano morti per la rivoluzione e questo accese ancora di più le passioni. Era diventata una questione di sangue, e il sangue non doveva essere stato versato invano. Delle tende erano state montate nell'isola del traffico in mezzo alla rotonda, c'era gente giorno e notte. Di venerdì i numeri erano al massimo. All'inizio gli islamisti avevano partecipato alle manifestazioni solo come individui, ma dopo il 28 anche i Fratelli Musulmani capirono che c'era una rivoluzione in corso e aderirono ufficialmente alle proteste. Bisogna ammettere che sono in grado di mobilitare grandi numeri e hanno un'organizzazione sorprendente. Sanno sempre come muoversi, cosa fare e quando.

Intanto le pop star nazionali si sprecavano in lacrime per il povero Mubarak, mentre tutti i veri artisti erano contro il regime. La strategia della tv di stato era leggermente cambiata. Ora i ragazzi del 25 gennaio erano la vera gioventù egiziana che era scesa in piazza per esprimere le proprie speranze in un futuro migliore ed era poi tornata a casa piena di gratitudine per le promesse di Mubarak. Invece quelli che erano ancora a Tahrir non erano gli stessi del 25, bensì dei criminali pagati o manipolati da spie straniere che volevano rovinare il paese. Tra i colpevoli figuravano gli Stati Uniti, Israele, Al Qaeda e l'Iran. A quanto pare la ricompensa per i facinorosi comprendeva un pasto omaggio al KFC della piazza.

Trovo le accuse piuttosto ironiche, considerando che Mubarak era il burattino degli americani. Senza dubbio gli americani hanno fatto pressione su Mubarak quando hanno capito che era finito, e non hanno tentato di nasconderlo. Ma questo non toglie nulla al carattere popolare della rivoluzione egiziana che spero sia sotto gli occhi di tutti. Siamo stati noi a costringere gli americani a sostenere la nostra causa. Per loro sarebbe stato più comodo appoggiare la dittatura come avevano sempre fatto. E un'autentica democrazia in Egitto li metterebbe in una posizione difficile. Da un lato la democrazia probabilmente garantirà maggiore stabilità, dall'altro, dubito che un governo democraticamente eletto sarà così acquiescente nei confronti delle politiche di Israele.

Ad ogni modo, anche dopo il 28 molti egiziani restavano della singolare opinione che fosse il caso di dare a Mubarak una seconda possibilità, e il secondo discorso aumentò il numero dei suoi sostenitori11. Il fatto è che il partito più grande del paese è il cosiddetto Partito del Divano, ovvero la gente che se ne sta seduta in casa a farsi lobotomizzare dalla televisione mentre qualcuno sta facendo la storia a qualche centinaio di metri di distanza. E nella linea del partito, la stabilità del paese viene prima di ogni altra cosa: “Perché non ve ne tornate a casa e ci lasciate vivere la nostra vita normale?” A volte sono contro il regime, a volte sono a favore, ma per non sbagliare sostengono che sia più saggio attendere lo sviluppo degli eventi.

Dopo il discorso, la tv trasmise delle immagini di repertorio in cui la piazza si svuotava, quando in realtà era ancora piena. Però effettivamente anche molte persone in piazza si lasciarono convincere e i numeri calarono. In quel momento temetti per le sorti della rivoluzione.

HEBA: Mubarak promise che non si sarebbe candidato alle prossime elezioni e che sarebbe rimasto al potere solo per garantire una transizione ordinata. Io non ci cascai per un secondo. Era da trent'anni che faceva promesse simili e proprio in quel momento gli arresti degli attivisti stavano proseguendo. Non credo di dovermi sentire grata a Mubarak perché ha speso la sua vita “al servizio del paese”. Stava solo facendo il suo lavoro e lo stava facendo male. Mubarak ci deve molto di più di quel che noi dobbiamo a lui.

ALY: vidi il discorso in piazza. Confesso che sul momento mi misi a piangere anch'io, noi egiziani siamo molto emotivi. Pensavo: “Povero Mubarak, guarda un po' cosa ti ho combinato...” Ma finito il discorso, ci misi poco a ripigliarmi. Quella sera nel mio quartiere partì addirittura una manifestazione pro-Mubarak. Io scesi in strada e mi misi a urlare: “Che cazzo state facendo, non sapete neanche quello che dite...” Loro gridarono: “È una spia, uccidiamolo!” così me ne tornai a casa. Questa paranoia delle spie è diventata una caccia alle streghe, e lo SCAF continua a utilizzarla.

RAMI: già la sera dell’1 ci furono scontri tra rivoluzionari e sostenitori di Mubarak. Ma il giorno dopo iniziò la vera e propria Battaglia del Cammello. Io c'ero e posso dire che fummo colti di sorpresa. L'esercito era in piazza, e aveva dichiarato che non avrebbe sparato sui dimostranti e non avrebbe represso le proteste. Erano i giorni in cui il rapporto tra protesta ed esercito raggiunse l'apice. Era comune l'idea che l'esercito fosse il nostro salvatore, e il salvatore della rivoluzione. Si sentiva continuamente lo slogan: “Il popolo e l'esercito sono la stessa cosa”. In piazza era diffuso un clima di fiducia, nessuno si aspettava un attacco.

Ma l'esercito permise a tutta quella gente armata di raggiungere la piazza e non fece nulla per fermare l'aggressione. La Battaglia del Cammello segnò l'inizio del deterioramento dei rapporti tra esercito e piazza. La fiducia si era incrinata nel cuore di molti, ma nessuno criticò apertamente lo SCAF, perché all'epoca era l'unica solida entità che poteva portare a una transizione accettabile.

Ad ogni modo, qualche migliaio di sostenitori di Mubarak caricarono la piazza, decine a bordo di cammelli e cavalli, armati di bastoni e spade con cui colpivano a destra e a manca12. La battaglia durò tutto il giorno e tutta la notte, fino alle prime ore del mattino. La maggior parte di coloro che difesero la piazza in questa occasione erano islamisti o ultras, entrambi abituati a scontri di questo genere. La situazione presentava delle bizzarre reminescenze medievali. “Il popolo di Facebook contro il popolo dei cammelli” si commentò in seguito. Trovo che sia piuttosto mortificante e imbarazzante per Mubarak e i suoi mercenari aver dovuto usare, come estremo tentativo, i mezzi di un feudatario dei secoli bui. Era un po' un fossile d'uomo.

Alcuni dei nostri erano in grado di avvicinarsi correndo ai cavalli, saltare sul cavaliere e disarcionarlo in corsa. Io aiutai a portare i prigionieri dentro alle fermate della metro, li rinchiudevamo là sotto e li interrogavamo. Molti confessarono che la cosa era stata orchestrata dal Ministero degli Interni, e che era stato pattuito un compenso. Tanti avevano addirittura la tessera del Ministero in tasca. Portarsi dietro la tessera in una situazione del genere può sembrare troppo stupido anche per loro, ma di fatto è andata così13. La mia ipotesi è che gli servisse per ritirare la paga una volta finito il lavoro.

Le cariche “di fanteria” furono respinte, poi entrambe le parti tirarono su delle barricate con una sorta di terra di nessuno nel mezzo. La battaglia proseguì soprattutto con lanci di pietre e a volte molotov. Per ogni ora che passava, il numero degli assalitori diminuiva e il numero dei rivoluzionari cresceva. I rivoluzionari erano davvero motivati, gli aggressori erano solo dei mercenari. All’alba ne erano rimaste poche centinaia e si ritirarono.

Il giorno dopo la rabbia nei confronti di Mubarak era alle stelle, anche da parte di coloro che fino a quel momento erano stati suoi simpatizzanti. La Battaglia mostrò ancora una volta la vera faccia del regime e la disperata ipocrisia del secondo discorso.

MOHAMED: la manifestazione del venerdì successivo fu enorme. In quel periodo la stampa straniera scrisse che la fortuna della famiglia Mubarak poteva aggirarsi attorno ai 70 miliardi di dollari e la notizia fece un certo scalpore. Ma credo che chi abbia dato il colpo di grazia a Mubarak siano stati i lavoratori. Nei giorni della Rivoluzione ci furono enormi scioperi in tutto il paese. Praticamente nessuna azienda pubblica rimase aperta. Gli scioperi nei panifici e in altri settori vitali resero la situazione insostenibile.

Giovedì 10 arrivò il terzo discorso di Mubarak. Nel pomeriggio lo SCAF si era riunito indipendentemente dal presidente e aveva dichiarato di riconoscere la legittimità delle richieste del popolo. In pratica era un invito alle dimissioni per Mubarak. Inoltre era arrivata una comunicazione della CIA secondo cui molto probabilmente Mubarak avrebbe mollato. A Tahrir i festeggiamenti erano già iniziati, tutti aspettavano la buona notizia che doveva arrivare da un maxischermo montato nel mezzo della piazza.

RAMI: probabilmente Mubarak non si è mai dimesso, è stato dimesso dall'esercito. Ci sono molte speculazioni su quanto è successo dietro porte chiuse. Come è noto la Casa Bianca stava facendo pressione per le dimissioni. E lo stava facendo soprattutto tramite l'esercito, visto che l'esercito egiziano dipende dagli Stati Uniti per i finanziamenti. C'è una teoria molto accreditata secondo cui Mubarak aveva più o meno acconsentito a lasciare, ma la sua famiglia, e in particolare Gamal, lo convinsero all'ultimo momento a restare.

Alla fine Mubarak comunicò che avrebbe solo delegato alcuni poteri presidenziali al suo vice Suleiman14. La piazza reagì in modo prevedibile15, e un corteo partì verso il palazzo presidenziale. Avrebbe potuto essere un massacro, perché la guardia presidenziale avrebbe sparato su chiunque si fosse avvicinato troppo. Ma l’esercito impedì ai manifestanti di attaccare il palazzo.

HEBA: il terzo discorso mi fece piangere dalla frustrazione, in piazza vidi persone svenire. Pensai che ci avrebbe seppelliti tutti e sarebbe rimasto al potere per sempre come una specie di mummia vivente. La generazione di mia mamma ha visto Nasser e Sadat, la guerra del '67 e la guerra del '73, noi solo trent’anni di grigiore stagnante. Mi sentii male e andai a buttarmi a letto.

ALY: quando sentii il terzo discorso dissi: “Porca puttana, adesso vado in piazza e ci resto finché il vecchio non si leva di torno”. Andai a dormire a Tahrir, tanto c'era sempre qualcuno che distribuiva cibo gratuito ed era una bella atmosfera. Quando arrivò il discorso di Suleiman16 chiamai mia mamma e le chiesi di mettere il telefono davanti alla tv, poi attaccai il viva voce per quelli che stavano attorno a me. Tutti piangevano, milioni e milioni si riversarono in piazza e nelle strade circostanti17. Purtroppo nei giorni seguenti abbandonammo la piazza e secondo me questo è stato un errore madornale.

MOHAMED: quel giorno c'erano stati falsi allarme in continuo. Quando arrivò la notizia vera non sapevamo se crederci, eravamo troppo lontani dallo schermo. Ma vidi che il mio telefono squillava, era mia mamma. Ebbi appena il tempo di rispondere che le linee telefoniche saltarono in tutta la piazza. Era fatta. Tutti erano sopraffatti dalla gioia, avevamo davvero fatto la storia.

HEBA: tutti cantavano canzoni patriotiche della guerra del '73 contro Israele. Le sentivamo sempre da bambini, ma ormai le prendevamo con gran sarcasmo perché francamente al giorno d'oggi suonano un po' ridicole. Ma in quel contesto sembravano tornare reali, e con un certo imbarazzo ci accorgemmo tutti di sapere le parole a memoria.

AHMED: scesi in strada portando sulle spalle il figlio di una mia amica, era così piccolo che non sapeva dire nemmeno “mamma”. Tutta la gente attorno urlava “Horriya, horriya!” che vuol dire libertà. All'improvviso anche il bimbo pronunciò: “Horriya...”

RAMI: il sentimento che provammo era qualcosa di molto più grande di noi e della nostra razionalità. Dopo tutti quei giorni di manifestazioni e scontri, dopo tutti i morti, Mubarak era finito e la vittoria sembrava completa. Avere così tante persone attorno che si sentivano esattamente allo stesso modo amplificava l'impatto emotivo milioni di volte. Insomma, anche per me la rivoluzione era compiuta. Mi bastarono pochi giorni per capire quanto mi sbagliavo.