Il vestito nuovo dell'Imperatore

Macron cede ai gilet, mentre si prepara il V Atto della rivolta

13 / 12 / 2018

«Il re è nudo». Come nella nota fiaba di Andersen, Emmanuel Macron trasforma la sua superbia in vergogna. Ma questa volta non è la frase innocente di un bambino a far perdere al “sovrano” tutte le proprie certezze, ma un mese di lotte sociali senza tregua.

Era già chiaro la scorsa settimana che il presidente francese non sarebbe riuscito a mantenere a lungo la linea della fermezza decretata dopo i primi blocchi, quando il sire dell’Eliseo pronunciava tronfio paroloni come “rivoluzione verde” o “transizione ecologica” apparsi fin da subito come simulacri. Il climate change è cosa troppo importante per essere affrontata a colpi di propaganda e di green washing. E infatti, dopo pochi giorni, il castello di cartapesta basato sulle narrazioni falsate - quelle che volevano i gilet gialli come un branco di campagnoli nazisti o aspiranti inquinatori seriali – è crollato e neppure la stampa mainstream più filo-governativa è stata più in grado di reggere la messinscena. Macron è costretto a fare le prime concessioni dopo l’insorgenza dell'1 dicembre: proroga di sei mesi sull’aumento delle accise del carburante e carbon tax messa in mora.

Una misura che basta a placare la collera collettiva? Neppure per idea, e lo sa lo stesso presidente che se da un lato spera di creare una spaccatura all’interno del movimento, dall’altro affila le armi per il sabato successivo: inviti a non scendere in piazza, mobilitazione di tutti i corpi polizieschi e militari, continua evocazione della legge marziale. Le minacce non funzionano e i francesi l’8 dicembre scendono in piazza ancora più arrabbiati, a Parigi e nel resto del Paese.

Ed è così che il “vestito nuovo dell’imperatore” svela la sua tessitura fatta di nulla. Macron è costretto a cedere su un fronte più ampio di rivendicazioni, anche per tentare di risalire in quei sondaggi che lo vedono ai minimi storici per popolarità: aumento del salario minimo, defiscalizzazione degli straordinari e dei bonus di fine anno, abrogazione dell’aumento dei contributi per i pensionati che guadagnano meno di due mila euro al mese. «Misure profonde» afferma il presidente, il quale forse non si rende conto che la cifra del cambiamento messosi in moto nelle strade e nelle piazze francesi non è misurabile in termini di spesa sociale, né contenibile in una piattaforma.

I provvedimenti annunciati “costeranno” a Parigi poco meno di 10 miliardi di euro, costringendo a ricalibrare al rialzo il deficit per l’anno a venire fino a sfiorare il 3%. Una cifra mai concessa da Bruxelles da quando è stata inaugurata la stagione del fiscal compact. Ma Moscovici questa volta non bacchetta, ha paura; i gilet sono quella variabile impazzita in grado di scompigliare anche i conti dell’austero socialista parigino. Una rivolta moltitudinaria di poveri nel cuore dell’Europa è l’ultima cosa che la governance europea possa augurarsi in una fase come questa. Ed è questo che fa tremare Moscovici, che ha immediatamente aperto la porta ai suoi connazionali affermando che «un deficit francese anche sopra al 3% può essere preso in considerazione, pur in modo limitato, temporaneo ed eccezionale». In barba a Salvini, Di Maio e Conte, che hanno da poco dovuto digerire il due di picche.

Due pesi e due misure? Certo, ma quello che non verrà mai detto da Moscovici & Co. è che la differenza non è data dalla maggior capacità dell’economia francese di assorbire un deficit di questo tipo e farlo rientrare in fretta. Il vero fattore è un altro e si chiama lotta di classe; fluida, contraddittoria, contemporanea, ma unico vero deterrente in grado di sconvolgere qualsiasi piano di bilancio. Non sono le finte sfide lanciate dai governi nazionali a mettere in discussione gli assetti finanziari europei, ma sfide molto più grandi, che nascono e crescono fuori da qualsiasi quadro di compatibilità istituzionale.

E intanto già suonano le sirene per l’Atto V della battaglia, mentre non ha soluzione di continuità la lotta studentesca, all’interno dei licei occupati e nelle strade. D’altronde è la storia che ce lo insegna: i francesi quando iniziano provano sempre ad arrivare fino in fondo.