Toni Negri: l'inesistente solitudine di un patrimonio comune

Il racconto di una meravigliosa giornata al centro sociale Pedro, "un doveroso omaggio, ma anche un atto d'amore".

27 / 1 / 2024

Domenica 14 gennaio al centro sociale Pedro c’è stato un “omaggio” a Toni Negri, filosofo, intellettuale e figura di riferimento per i movimenti sociali di tante generazioni, scomparso lo scorso 16 dicembre.

In un centro sociale gremito di persone si è scorta fin da subito la straordinarietà di quanto stesse accadendo quel pomeriggio. Nello stesso salone a confrontarsi e a condividere spazi, si sono trovate riunite diverse generazioni di militanti e studiosi, accomunate dalla necessità non solo di voler elaborare la scomparsa di un punto di riferimento per la filosofia politica e per i movimenti, ma anche di interrogarsi collettivamente sul patrimonio enorme lasciato “in eredità” da Toni Negri. E con esso, il futuro dei mondi e dei modi di fare politica che in vita aveva immaginato e messo in atto.

Non sarebbe stato possibile immaginare un momento più degno e forte per ricordare una figura così fondamentale di un momento pensato come una grande grande occasione di discussione e di confronto, un grande ponte transgenerazionale costruito su poche e semplici parole, ma in grado di immaginare ancora mondi radicali e rivoluzionari.

Memoria

Fin dall’intervento di apertura ci si è resi conto di come la scelta del termine memoria per chiamare l’evento convocato per il pomeriggio, fosse stato un errore. La memoria, infatti, come è stato ripreso poi da più interventi, è qualcosa che fa riferimento al passato, mentre invece Toni ed il suo pensiero sono e restano materia del presente. L’esperienza di Toni e della sua filosofia non si limita a un punto ben preciso della storia dei movimenti e del Novecento, ma è un’esperienza che ha saputo e che continua ad accomunare chi desidera un mondo diverso. «Ciò che dobbiamo a Toni Negri va oltre le categorie teoriche, ma ci parla soprattutto di un’attitudine: quella di leggere il mondo con le lenti della complessità e non della purezza ideologica; quella che nei processi di lotta è sempre necessario immaginare un potere costituente oltre che destituente; quella che i movimenti rivoluzionari vanno sempre intesi  in termini di processo, sedimentazione, capacità di agire in termini di sviluppo delle condizioni materiali, dei diritti, dell’erosione di ricchezza nei confronti del capitale; quella che pratica politica ed elaborazione teorica non possono essere mai scisse» dice Antonio Pio Lancellotti nel primo intervento.

Per Micheal Hardt, che è stato co-autore di gran parte delle sue ultime opere, la giusta memoria di una persona come Toni è la trasmissibilità del suo pensiero rivoluzionario, e tutto quello che da esso è stato costruito oggi fa vivere in ogni lotta il suo ricordo e al suo pensiero dà continuità. «Il non considerare Toni passato, ma considerarlo vivo e presente, ci dà conferma di come il capitale non riesca mai veramente ad assoggettare tutto il bios, e la straordinaria eccedenza di Toni ancora resiste in un mondo dove la guerra globale, di cui tanto ha scritto, ogni giorno continua a infliggere colpi, ma contro la quale, oggi più che mai è necessario continuare a resistere, perché essere comunisti, essere per il comune, vuol dire essere contro la guerra».

Comune

Se c’è una parola che più di tutte è emersa dalle miriadi di narrazioni del pomeriggio, quella è sicuramente comune. Comune perché Toni in primis, come è stato riportato dalle parole di molte persone, tra cui quelle di Judith Revel, era un uomo comune. Ma non comune nel senso di condiviso, ma comune nel rendersi conto che, qualsiasi interazione con lui, qualsiasi discorso, qualsiasi scambio, fosse politica. «Era comune nella straordinaria capacità che aveva di intessere relazioni con chiunque, di parlare e di sapersi interrogare, ma soprattutto nella sua straordinaria capacità di ascoltare chiunque avesse qualcosa da dirgli». Dal racconto di Judith Revel emerge anche la sua straordinaria curiosità. «Curiosità che lo ha portato a studiare al tavolo e leggere fino all’ultimo giorno della sua vita, curiosità che lo ha portato a continuare a fare inchiesta, in ogni forma, e a non considerarsi mai sazio di sapere, ma sempre alla ricerca di una nuova domanda sulla quale interrogarsi».

Una via d’uscita per un mondo diverso

Ad emergere ripetutamente negli interventi che hanno caratterizzato il pomeriggio è stata anche la grande capacità di immaginazione di Toni. La sua capacità di saper leggere la realtà ed anticipare quanto sarebbe successo politicamente è emersa vividamente nei ricordi di molti compagne e compagni. Dalla spaccatura di potere operaio ricordata nelle parole di Gianni Boetto, all’anticipazione del concetto di guerra permanente teorizzato insieme ad Hardt in Impero, fino alla lettura del capitale come minaccia di morte, come ricordato da Francesco Raparelli: «La capacità di intuizione e la possibilità di scorgere nei presagi del presente un’immagine chiara a cui prepararsi del futuro lascia un vuoto molto grande da colmare nel saper immaginare mondi in grado di adattarsi all’evoluzione di quello che ogni giorno viviamo».

Ma non è solo intuizione e capacità di lettura quella che è vissuta nei racconti dei compagni e delle compagne di una vita, è un desiderio continuo mosso da amore di lavorare e prendere parte a tutti quei progetti che ambiscono a costruire un mondo diverso. Nelle parole di molte persone presenti è emerso lo smisurato amore di Toni per il nordest, per i progetti underground degli anni ’90 che costituiscono ora il sottobosco dove si muovono i movimenti che animano le politiche del territorio dal basso.

Amore resistito anche all’esilio dovuto subire dalla città di Padova, amore più forte dell’esilio che ha portato Toni a continuare ad avere un legame fortissimo con il territorio pur non abitandolo più, continuando ad immaginare per esso un futuro e un presente, ma soprattutto, continuando a donarci strumenti per continuare ad immaginare un futuro diverso.

Inchiesta

«La rivoluzione è un incontro di redenzione tra vinti, è un appuntamento al buio, nascosto e segreto, al quale possiamo sperare di giungere». Con queste parole, domenica, durante intervento di Marco Baravalle, si è menzionata per la prima volta la conricerca e l’inchiesta, strumento che non è mai mancato negli interventi successivi, e nelle parole di tutte le persone presenti al centro sociale. Mossa da curiosità e desiderio di conoscenza, l’intera vita di Toni è stata una grande inchiesta, è stata un continuo scrutare il buio per arrivare all’appuntamento misterioso con la rivoluzione.

La grande forza di Toni, è stato ricordato in moltissimi interventi, era proprio quella di saper parlare con tutti, ma soprattutto di volerlo fare. Continuare a fare inchiesta, dentro e fuori dalle università, fino all’ultimo giorno della sua vita, è stato il motore in grado di muovere il suo pensiero rivoluzionario, un pensiero in grado di continuare a cambiare forma ed a mettersi in discussione.

L’inchiesta non ha mai avuto un modo unico di essere svolta, ma molteplici. L’inchiesta, come viene ricordato da Alberto De Nicola nel ricordo del suo primo incontro con Toni, «è uno strumento che va plasmato da chi la usa nel modo che più ritiene utile e necessario».
Ed in questo si scorge anche la capacità di saper mettere a critica la rigidità del mondo accademico che ha da sempre contraddistinto la figura di Toni, ricordata in modo dolce e scherzoso nel racconto di una giovane Judith Revel stupita nel vedere filosofi poco interessati ad un seminario leggere la gazzetta dello sport. Ma è stata proprio la capacità di saper mettere in critica questa rigidità, come ha ricordato Marco Baravalle, a permettere al pensiero di Toni di sopravvivere e di sapersi reinventare, ma soprattutto di essere un pensiero alla portata di tutti e tutte, e di poter essere continuamente ripreso e reinventato da chiunque, come testimonia il passa parola dell’esperienza dell’inchiesta che si ritrova ora ad essere messo in atto con le persone migranti sulle navi di Mediterranea e che è stata ricordato dalle parole di Beppe Caccia.

Un’università diversa

Il ricordo di un Toni mosso dal voler restare dentro l’università in conflitto con la rigidità del sapere accademico canonico, dal voler creare spazi diversi all’interno degli atenei vissuti, dal voler immaginare una filosofia non al servizio del prestigio accademico ma alla ricerca della costruzione di un mondo nuovo, ha fatto scaturire un confronto tra diverse generazioni di persone interne all’università sul passato e sul futuro di questa istituzione e sul ruolo da mantenere al suo interno. Nel racconto di Alisa del Re e di Sandro Mezzadra è emerso un Toni in grado di sovvertire l’ordine imposto all’interno degli ambiti accademici, fondando l’istituto di dottrina dello stato. Il compito dell’accademia e del sapere, secondo Toni, è sempre stato quello di cambiare il mondo, ma prima di tutto di conoscerlo. Nei racconti di chi ha studiato insieme a lui, è stato ricordato come il suo più grande desiderio sia sempre stato di vedere dentro l’università la fabbrica della nuova classe operaia, di vedere l’università come un luogo dove annullare ogni gerarchia e ripartire dalla libertà del sapere, dalla conoscenza come strumento potente di emancipazione e di lotta.

Da queste parole nasce la proposta dei collettivi universitari di organizzare un convegno nella Padova che ha provato ad esiliare la persona e le idee di Toni, per dare riscatto ad un tentativo di esilio e di successivo infangamento totalmente ingrato verso il grande portato filosofico e politico a cui Toni ha contribuito per la città.

Il testimone della lotta interna all’università è stato raccolto e portato avanti dai collettivi universitari Spina Lisc, che hanno raccontato cosa voglia dire portare avanti ora l’eredità dell’immaginario di un’università diversa, dentro atenei sempre più aziendalizzati, che riproducono ogni giorno il sistema patriarcale, colonialista e capitalista al loro interno. «Se portare avanti un’ideale radicale di università è ogni giorno più difficile, dentro questo percorso sappiamo di essere dalla parte della ragione, ma soprattutto, non ci sentiamo mai soli».

Un’inesistente solitudine

Ed è proprio su questa sensazione che viene spontaneo racchiudere la giornata di domenica 14 gennaio. Una giornata che ha saputo cambiare il significato alla parola memoria, tenendo acceso il ricordo di Toni e del suo pensiero, facendolo vivere in ogni lotta, in ogni parola. Non c’è solitudine, non c’è un vuoto da colmare, perché non è andato via nulla, perché Toni vive in ogni incontro, in ogni parola, in ogni azione.

È proprio vero che chi ha compagni e compagne non muore mai. È proprio vero che chi ha compagni e compagne non ha una sola casa, ma ne ha tantissime. E la casa di Padova, città che ha provato in ogni modo ad esiliare la figura ed il pensiero di Toni, ha saputo restituire al mittente questo tentativo, mostrando come un pensiero rivoluzionario, un’idea di mondo diverso non si possano esiliare, e fino a quando resisteranno nelle parole e nelle idee di chiunque attraverserà gli spazi lasciati da Toni, non potranno mai morire.