Un appello dei centri sociali del nord-est per costruire sabato 30 gennaio iniziative di solidarietà a Dana e a chiunque sia recluso nelle carceri italiane. La popolazione carceraria sta pagando il prezzo più alto della restrizione di diritti e tutele legata alla gestione della crisi pandemica.
È passata quasi una settimana dall’inizio dello sciopero della fame da parte di Dana, storica portavoce del movimento No Tav, che chiede, insieme ad altre detenutǝ che stanno scioperando con lei, di ripristinare le ore di colloquio con i famigliari e degli interventi immediati vista la grave situazione che si sta vivendo a causa del covid-19 all’interno delle carceri.
Ci stringiamo a Dana e le esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza
sperando di poterla riabbracciare presto.
Non possiamo non pensare a tuttǝ lǝ detenutǝ che in questi mesi di pandemia si
sono vistǝ privare ulteriormente dei pochi diritti che ancora sono garantiti.
Nel weekend immediatamente successivo al primo lockdown in molte carceri
italiane sono scoppiate proteste che chiedevano interventi concreti per
garantire la sicurezza sanitaria, già messa a dura prova dalla situazione di
sovraffollamento che vede la presenza di più di sessantamila detenutǝ in tutta
Italia a fronte di meno di cinquantamila posti letto effettivi.
Da un giorno all’altro il lockdown ha portato alla sospensione di tutte le
visite, comprese quelle di insegnanti, volontariǝ e responsabili delle attività
lavorative che garantiscono la possibilità ai detenutǝ di poter aspirare a un
reinserimento nella società, quello per cui in teoria le carceri dovrebbero
servire in un paese che sarebbe garantista. Sono morti 13 detenuti solo nei
giorni delle rivolte (ben 9 sono morti nel carcere di Modena!) e in quelli
immediatamente successivi: morti imputate ad overdose e sulle quali non è mai
stata aperta un’inchiesta e si è fatto finta di non vedere le responsabilità
delle forze dell’ordine.
È di poco più di una settimana fa la notizia della condanna, a carico di un
agente della polizia penitenziaria, per il reato di tortura, contestato per la
prima volta ad un membro delle forze dell’ordine. Come è possibile che in
questo panorama non ci siano responsabili per le decine di morti nelle carceri
da inizio pandemia? Fino ad oggi si sono verificati migliaia di contagi e un
numero non precisato di morti a causa del Covid-19, decine di persone sono
morte senza garanzie, diritti e nell'impunità totale dei responsabili.
Dopo quasi un anno di pandemia ancora non ci sono stati interventi, come invece
accaduto altri Paesi: amnistie, indulti e sconti di pena per ridurre
l’affollamento, se non in una misura insignificante.
Ancora non ci si è posti di mettere in atto un piano di vaccinazione per
detenutǝ e reclusǝ per garantire la loro sicurezza, visto che sono sotto la
responsabilità dello stato, come molte associazioni stanno chiedendo nel nostro
paese e non solo.
«Il grado di civiltà di un paese si vede dalle sue carceri» diceva Voltaire; in
quelle italiane in questo momento è come se vigesse la pena di morte senza
processo.
Se nel caso delle carceri almeno c’è stata, grazie alle rivolte dei detenutǝ e
alle iniziative di famigliari e solidali, la possibilità di avere informazioni,
per quanto marginali su quello che sta accadendo, non è così per gli otto Cpr
italiani in cui sono detenute, in situazioni disumane e illegali, centinaia di
persone a cui non sono garantiti i più elementari diritti.
Per questo facciamo appello a tutta la cittadinanza per costruire, sabato 30 gennaio
2021, dei presidi fuori dalle carceri per far sentire la nostra solidarietà a
chi è recluso e per chiedere:
- indulto subito per tuttǝ
- istituzione del garante dei diritti dellǝ detenutǝ in tutte le città
- misure preventive non carcerarie per i reati minori
- priorità all’accesso ai vaccini a tutta la popolazione carceraria.