Palermo: cultura dello stupro, pornografia della violenza, potere e ruoli di genere

Un articolo scritto a più mani che sottolinea da una parte l’importanza di agire subito e dall’altra ribadisce la necessità di intervenire con consapevolezza e senza spettacolarizzazione ulteriore del corpo delle donne e delle soggettività non etero normate.

29 / 8 / 2023

Lo stupro avvenuto a Palermo ci mette di fronte l’ennesima violenza di genere, che niente ha a che fare con l’eccezionalità, lo shock o l’emergenza che invece traspare dalla narrazione mediatica delle ultime settimane.

Piacerebbe pensare che la sovrapproduzione di articoli, tweet, post instagram e facebook servisse per alimentare un dibattito consapevole sulla violenza sistemica e sul coinvolgimento effettivo delle forze e delle responsabilità che entrano in campo quando si parla di abusi, ma purtroppo il film è lo stesso di sempre. 

Si tratta del solito racconto sensazionalistico che demonizza chi commette la violenza al punto di disumanizzarlo, la strenua colpevolizzazione di queste fiere indomate che rispondono a impulsi deviati non ci fa un favore, anzi, è molto rischiosa. Quella che può sembrare una giusta indignazione diventa immediatamente teatro di un'acuta assoluzione maschile, se non di quegli uomini sicuramente di tutti gli altri.

Rendere eccezionale lo stupro di Palermo, non aiuta ad alimentare la rabbia, ma solo a renderci ciechi di fronte al filo rosso che lo lega a tutte le violenze denunciate che leggiamo sui giornali e a tutte le violenze quotidiane che subiamo e agiamo.

La notizia di questo stupro arriva dopo la sentenza di assoluzione di due uomini perché avevano frainteso il consenso, dopo la condanna verso una donna che ha scelto l’autodifesa di fronte alle ripetute violenze del compagno, dopo lo sconto di pena al femminicida di Carol Maltesi per la sua condotta disinibita, dopo un femminicidio, uno dei 69 dall’inizio di quest’anno in Italia, da parte di un partner già denunciato per stalking.

Tutte queste violenze, che riceviamo come un’immutabile normalità, non hanno nulla a che fare con il sesso, ma hanno tutto a che fare con il potere.

Tutte queste violenze non hanno nulla a che fare con alcuni uomini, ma hanno tutto a che fare con la categoria sociale di uomo. 

Chi è socializzato come uomo sin dalla nascita è socializzato alla violenza, anzi è proprio il criterio per l’affermazione di genere, lo strumento per avere un posto assicurato nel comodo vagone di chi sta in cima alla gerarchia sociale.

Violenza che si esprime in modo terminale nei femminicidi e omolesbobitransicidi, ma che permea ogni relazione sociale che costruiamo nel quotidiano perché chi è socializzato come uomo ha un potere sociale diverso che garantisce rispetto, stima, remissività, ascolto, ruoli di responsabilità come fossero spettanti di diritto.

Tutto questo ad un’unica condizione: esercitare una forma di dominio fisico, psicologico, intellettuale, emotivo, su tutti gli altri.

Se un qualsiasi uomo rinunciasse a questa arbitraria violenza, si ritroverebbe in uno stato di vulnerabilità a cui non è mai dovuto sottostare e con il quale, per tanto, non è in grado di convivere nè tanto meno di valorizzare, o rendere quella vulnerabilità un potenziale trasformativo.

Per questo è inaccettabile la “mostrizzazione” degli stupratori di Palermo, perché cede il passo alla codarda deresponsabilizzazione, quando è proprio una grande assunzione di responsabilità da parte di quegli all men di cui abbiamo bisogno in questo momento. 

Chi ha agito la violenza non sono solo quei sette piccoli uomini.

Il video non consensuale dello stupro è stato cercato da almeno 103 mila iscritti a diversi canali telegram; la morbosa ricerca rende evidente la continuità tra la violenza in sè e il consumo a posteriori, in un sistema che pare quasi paramafioso di omertà, anonimato e mistificazione tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, tutto è regolare: cercare, condividere, immedesimarsi, eccitarsi guardando l’annullamento di una persona per mano di altri sette con l’uso della più esplicita violenza maschile e machista che non dovrebbe fare altro che far vomitare la bile.

Si parla di più di dieci milioni di iscritti a canali telegram che condividono materiale intimo non consensuale, incluso quello pedopornografico.

Sono cifre che parlano di un problema endemico nel comprendere e agire il consenso nella sfera intima e sessuale, che ci parlano dell'ancora attuale incapacità di costruire un immaginario di sesso e sessualità libero dalla cultura dello stupro, libero dalla fame machista di piegare il desiderio femminile alla forza brutale del potere maschile. 

Delineare le responsabilità ci aiuta a capire come sia possibile per la violenza reiterarsi grazie alla giustificazione e normalizzazione nei processi quotidiani. A partire, ad esempio, dalle reazioni di alcuni famigliari dei violentatori, che hanno difeso a spada tratta gli stupratori tramite le accuse di "poco di buono" alla ragazza, dimostrando così l’intima drammaticità di un sistema scolastico insufficiente nell’educare alle relazioni e al consenso.

Arrivando alla narrazione pornografica della violenza delle testate giornalistiche, che per la smania di ottenere più click possibili lascia intendere che lo stupro abbia a che fare con il sesso o con un eccezionale comportamento sessuale e non con il bieco e orrendo atto di dominio e potere. 

È fondamentale nel breve termine rivendicare tutele e giustizia, anche punitiva, per garantire a tutte le donne distanza, indipendenza economica e sociale dagli uomini che agiscono violenza senza cadere in tranelli ideologici che non guardano alle condizioni materiali di chi vive violenza, ma è chiaro che nel lungo termine questa non può essere la soluzione.

Infatti, la giustizia punitiva è uno strumento intrinsecamente razzista e classista e non è sicuramente un’arma di liberazione, anche perché presta il fianco alla risposta securitaria in nome della difesa delle “donne” che mina proprio alla capacità di autodeterminazione e confina le donne ancora all’obbligo della paura e all’immagine della fragilità.

Il nostro ruolo non può che essere lo stravolgimento del modello egemonico maschile in ogni luogo in cui ha spazio per riprodursi e riaffermarsi sulle nuove generazioni.

È ormai imprescindibile pretendere una formazione a tutti i livelli che parli di consenso e affettività libera da strutture patriarcali, conservatrici e violente. 

Non rientra nelle corde di un movimento dal basso e rivoluzionario il securitarismo che sta venendo sbandierando in questo periodo, ma diventa necessario interrogarsi su quale sia il modo più efficace per essere la miccia per ribaltare questa società che si basa sulla cultura dello stupro e sul sistema punitivo.

Ci chiediamo, allora, come militanti come distruggere i diversi piani in cui si perpetra questo modello egemonico e crediamo che si possa partire fondamentalmente dal farsi permeare dalle esperienze e dalle teorie politiche, che devono divenire prassi, di chi è da sempre in prima linea contro la violenza di genere endemica del nostro mondo.

Insieme dobbiamo discutere e approfondire la giustizia trasformativa che profondamente ci parla di classe, discriminazioni e contrasto a tutto ciò e alla base società violenta e dello sfruttamento in cui viviamo tutti i giorni, l’orizzonte di porre le basi affinché la violenza di genere non possa venire agita è una cosa in cui darci e metterci a disposizione ogni giorno.

Stringere alleanze con i centri antiviolenza, autogestiti e non, formarsi e rendere la formazione accessibile a tuttə e soprattutto a chi decide di mettersi in discussione affinché il patriarcato cada e i tutti i privilegi e lo sfruttamento che porta con sè.

Come movimenti abbiamo l’onere di riprenderci spazi femministi e transfemministi che servano a liberarci collettivamente del potere machista, consultorie dal basso, dare luogo a corsi di autodifesa e reazione ma anche spazi di discussione e di affrancamento dal peso dello sguardo maschile affinché non ci tocchi e immobilizzi più.

Gli uomini devono essere disposti a stare in prima linea per formarsi, agire e assumersi le proprie responsabilità di genere: questo è l’unico modo per stravolgere il sistema egemonico maschile e machista che pervade il nostro quotidiano e limita nell’avanzamento della lotta per un altro mondo possibile.