La linea su cui si attesta il fronte della difesa a oltranza del
nucleare è quella di ammettere l'inaffidabilità dei «vecchi» impianti
tutt'ora in funzione per affermare di converso l'assoluta attendibilità
di «nuovi» reattori, che differiscono dai primi per una dubbia
ridondanza dei dispositivi di sicurezza.
L'incidente nucleare in Giappone è così in pratica esorcizzato,
«seppellito» sotto una coltre di costosissimi marchingegni
precauzionali. Il problema non sarebbe quindi più l'intrinseca
impossibilità di eliminare effetti catastrofici, ma quello di approntare
apparati tecnologici sempre più sofisticati, per inseguire il «rischio
zero», una chimera così oggettivamente irraggiungibile da diventare più
un obiettivo per la sfera della persuasione che per quella scientifica.
Se prima la colpa era degli screditati reattori sovietici a grafite,
come quello di Chernobyl, adesso sotto accusa sono i Bwr giapponesi ad
acqua bollente; e si dimentica che una centrale di quel tipo, a Corso, è
stata chiusa solo grazie ai cittadini che hanno votato nel referendum
dell'87 «sull'onda dell'emozione». Tanto per andare al cuore del
problema: un reattore a fissione funzionante è comunque, in termini
energetici, un incidente latente «moderato e controllato». Contenuto e
tenuto a bada da barre, circuiti di raffreddamento, contenitori a tenuta
stagna, complessi sistemi software, finché non se ne scopre
l'insostenibile contenuto termico e radiante, a seguito di qualche
malfunzionamento dovuto all'ambiente reale di cui l'impianto è entrato a
far parte. Un contesto né astratto né artificiale, in cui sono
possibili eventi e catastrofi naturali, nonché errori umani. In realtà,
la terrificante densità energetica delle trasformazioni atomiche
controllate (la fissione di un grammo di uranio corrisponde alla
combustione di 2 tonnellate di carbone) è incompatibile con la capacità e
la velocità di smaltimento della biosfera che ci circonda e alimenta:
al punto che quando la «macchina» si rompe gli effetti si propagano
nello spazio e nel tempo ben oltre i limiti della nostra esperienza. La
scelta di abbandono del nucleare non è quindi roba da ingegneri, ma
riflessione alla portata di qualsiasi persona responsabile, ed è perciò
che il referendum è anche questa volta decisivo. Le emissioni intorno
ai reattori e le scorie atomiche intaccano nel profondo i tessuti
cellulari e decadono con tempi di migliaia di anni. Quando poi si perde
il controllo e si verifica un incendio o una parziale fusione del
nocciolo - ciò che è minacciato a Fukushima, come già a Chernobyl - la
catastrofe è sicura, perché viene riversato nello spazio limitrofo
(quindi dentro la nostra esperienza) un carico distruttivo che sarà
comunque trasmesso alle future generazioni, attraverso scorie letali che
nessuno sa ancora come neutralizzare. C'è in sostanza un contrasto
insanabile tra nucleare e vita. E, per di più, un conflitto inevitabile
tra nucleare e democrazia, grazie alla congenita predisposizione di
tutte le istituzioni messe alla prova (dall'Unione sovietica, agli Usa,
alla Francia, all'Inghilterra, al Giappone) a negare l'informazione e a
ridurre gli spazi di controllo. Credo che dopo Chernobyl, dopo
l'esplosione della piattaforma nel Golfo del Messico e dopo Fukushima la
svolta, nella coscienza delle persone, sia già in corso: basta tradurla
anche politicamente e fare del referendum su acqua e nucleare una
scadenza su cui convergano tutti gli sforzi. Al contrario dell'87,
quando l'alternativa prospettata all'uranio era il gas, una fonte che
implicava ancora il mantenimento di un modello energetico centralizzato,
oggi l'alternativa delle fonti rinnovabili apre lo spazio a un sistema
energetico diffuso, integrato nei cicli della vita, governabile
democraticamente sul territorio. L'alternativa è radicale, propone un
cambio nella scala dei tempi, la riconquista di una dimensione non
distruttiva del nostro rapporto con la natura e favorisce la ricerca di
produzioni socialmente desiderabili, la creazione di occupazione e
lavoro stabili invece di schiavi meccanici forniti a carissimo prezzo
dai combustibili fossili e dal nucleare.