Invito a partecipare all’assemblea degli spazi sociali

Sabato 11 ottobre 2008 ore 15.00 @CS Rivolta, Marghera-Venezia Italia.

29 / 9 / 2008

Spazi indipendenti per la libertà comune:

Li ci sono chiese, macerie, moschee e questure

Li frontiere, prezzi inaccessibile e freddure

Li paludi, minacce, cecchini coi fucili, documenti, file notturne e clandestini

Qui incontri, lotte, passi sincronizzati, colori, capannelli non autorizzati, uccelli migratori, reti, informazioni, piazze di tutti, laiche, pazze di passioni

Si entra e si esce di qua

Si entra e si esce da queste mappe della città

Si entra e si esce, cerca di stare in gruppo

la tranquillità è importante ma la libertà è tutto

AF, Mappe della Libertà (2008)

Partiamo da un fatto. Anzi da decine di fatti. I centri sociali sono oggi più che mai, una dorsale strategica dei movimenti. Ogni ciclo di lotte vede la loro insostituibile partecipazione come arricchimento e potenziamento. I centri, insomma, sono stati incubatore, volano e detonatore delle lotte negli ultimi venticinque anni; un tempo, peraltro, troppo grande perchè le soggettività non siano cambiate e questo è un assunto così come lo è che non ci siano modelli da copiare o per i quali tifare.

La nostra scommessa è che i centri sociali siano e rimarranno centrali anche per i cicli futuri e per questo vogliamo proporre una grande assemblea, aperta e pubblica il cui dibattito sia all’altezza dei tempi.

Un’assemblea non formale e dagli esiti non scontati che sia un’occasione per discutere tra esperienze simili, partendo da ciò che ci accomuna e che sappia valorizzare ciò che caratterizza come unico ogni spazio e percorso territoriale. 

Un’assemblea che vogliamo sia di spazi indipendenti e che sia un passo, un altro passo, verso la libertà comune. 

Un’assemblea nella quale non valga il postulato per il quale il modo più efficace per andare da un punto ad un altro è percorrere una linea retta.

Ma facciamo un passo indietro per costruire il contesto nel quale nasce quest’invito. 

A noi pare che gli spazi sociali siano cambiati, profondamente, e siano sospesi tra un non più ed un non ancora. 

Se pensiamo alla nostra identità la troviamo tra gli echi dei primo grande ciclo di lotte no global. Correvano gli anni della fase espansiva della globalizzazione nella quale le eccedenze di quella soggettività che era messa al lavoro nella metropoli, dall’università al terziario, dallo spettacolo all’informazione, dall’edilizia ai trasporti, trovavano un modo concreto per organizzarsi nella grande fabbrica senza più reparti. non più

Lì, spesso, i centri sociali sono stati motori di eventi politici nei quali la soggettività si accumulava e ri/produceva. E del resto che sarebbe stato se l’esperienza no global italiana avesse avuto solo l’infosfera o le sedi di qualche partito o sindacato come luoghi di riferimento? Anche in questo i centri sono stati formidabili luoghi dell’anticipazione politica.

Il non più è proprio suggerito dall’esaurirsi di questo paradigma: i centri sociali erano la basi dalle quali ci proiettavamo per evocare e costruire un altro mondo migliore, cioè per praticare esodo.

Non solo. Se pensiamo alle realtà che vorremmo partecipassero all’assemblea troviamo centri sociali che dieci anni fa non esistevano, altri con cui non eravamo in relazione, ma anche spazi che non sono mai stati centrisociali, pur essendo in movimento ed avendo straordinari percorsi di rete su specifiche tematiche. 

Il perimetro degli spazi sociali è quindi ampio, in movimento e complesso cioè ricco, plurale, nomade.

Territorialità

Gli spazi hanno sempre avuto una connotazione territoriale (chi se non i centri sociali ha posto il problema politico del quartiere e della fabbrica diffusa?) ed il rapporto tra agire locale e pensare globale è stata una sintesi che ci ha aiutato a definire la relazione con il territorio.

I processi di globalizzazione, ed i cicli di resistenze, hanno impattato il territorio, lo hanno trasformato. I flussi di produzione e riproduzione sociale si sono ri /territorializzati e, come riflesso, la crisi dei modelli di governance si riflette completamente e compiutamente nei territori. 

Quando parliamo di centri e spazi nei territori ci poniamo direttamente nel punto più alto dello scontro con i processi di accumulazione: il territorio non protegge dalla globalizzazione, non è un muretto che isola dalla fortissima socializzazione operata da vent’anni di globalizzazione.

Chi pensa al territorio come protezione si troverà travolto proprio da processi globali che fugge altrove.

Gli spazi sociali sono increspature in un territorio definitivamente globalizzato. 

Gli spazi, per noi, devono trovare nel territorio la chiave per combattere il paradigma della sicurezza, che, in questa nuova fase dello scontro tra capitale e vita sta diventando la cifra per un nuovo modello di espressione del comando. La sicurezza appare la forma contemporanea della governance, che riassume su di sè la tensione ordinativa, la problematica del consenso (a chi è sfuggito il baratto trasversale alla sinistra ed alla destra: sicurezza in cambio di precarietà e rappresentanza?) e la necessità per il comando di localizzare e differerenziare.

Nel paradigma della sicurezza collochiamo la politica dei sindaci sceriffi di destra e di sinistra, l’esercizio di un razzismo differenzialista, il controllo sulla felicità, libera e per sua costituzione ribelle, eccedente e cooperante, dei corpi nella metropoli.

Dobbiamo partire dalla constatazione che le metropoli stanno vivendo una stagione di nuovi movimenti di destra, la diffusione di nuove e vecchie forme di razzismo e sessismo, la sperimentazione moralista e feroce del proibizionismo.

Come spazi in movimento ci poniamo il problema di rifocalizzare teorie e pratiche antifasciste ed antirazziste. Mai più Nicola, Renato e Abba, questo è il punto di non ritorno.

Libertà è Indipendenza

Combattere il paradigma della sicurezza è pensare la libertà come processo di lotta, di sottrazione al controllo del biopotere sui nostri corpi e sul nostro immaginario, come sottrazione soggettiva al comando nelle filiere della fabbrica diffusa nel territorio. Il discorso sulla libertà, e sul suo attuale attacco, si ridefinisce all'interno del controllo di quelle eccedenze che la produzione metropolitana comporta. 

Intendiamo la libertà come poter essere, poter decidere di sé, poter fare a meno di dipendere, insomma come percorso di lotta e come processo di federazione di differenze. 

La libertà è indipendenza e l’indipendenza è costitutio libertatis, appunto. 

L’assemblea di sabato può essere il momento per condividere le esperienze e pratiche di libertà che negli spazi sono già in essere e prefigurare nuove linee di fuga.

Pensiamo ai percorsi di lotta alla proibizione, alla pratiche antifasciste ed anti-autoritarie, alla cooperazione antirazzista. Pensiamo alle lotte per la libertà di genere. 

Crediamo che i centri e gli spazi sociali possano divenire un punto di riferimento per la costruzione di nuovi percorsi che abbiano la conquista della libertà come sogno comune.

Se pensiamo alla storia dei centri sociali, appunto, essi hanno anticipato di due decadi la comprensione del concetto di biopolitica, mettendo il bios, il comune bios, al centro dell’attività politica. Forse proprio la relazione tra divenire comunità, cooperante, mutuale negli spazi ed il rapporto con il territorio è un punto importante da ricondividere e sviluppare in assemblea.

Ci piace pensare che i nostri spazi siano, e divengano sempre più, un cross point di realtà territoriali indipendenti, quali cooperative di produzione o consumo critico, etichette musicali e laboratori del lavoro immateriale, strutture produttive creative in conflitto per la propria indipendenza. 

Se è vero che i movimenti di capitale hanno evocato enormi potenze produttive e che ci sono potenti eccedenze indipendenti per scelta perchè non pensare che sia possibile intersecarle nel territorio? I nostri occhiali, dalle lenti spesso appannate, qualche volta non ci fanno vedere i movimenti di soggettività che ci sfiorano nella metropoli.

Da questa prospettiva gli spazi sono luoghi del comune, luoghi cioè nei quali si tessono trame di soggettivazione, si produce soggettività, decisione politica, comune, appunto.

Non ci sono risposte date e universali, scorciatoie semplici, proprio perchè non dobbiamo semplificare le differenze soggettive ed oggettive, che rendono unici e singolari spazi, territori e percorsi di lotta.

Ci piace invitarvi a partecipare all’assemblea evocandola come vera, aperta, libera e sognarla ricca di potenza e discorso. 

Con una suggestione sullo sfondo: è possibile pensare ad una federazione come stile organizzativo adeguato alla ricerca del comune? Saremo capaci di costruire una proposta forte e radicale, inclusiva ed aperta? In fin dei conti questo piccolo miracolo accade tutte le settimane nelle assemblee di gestione dei nostri spazi.

Vi aspettiamo, viva la libertà.

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