Inquinamento da Pfas: parte lo screening popolare e generalizzato

All'interno dell'articolo, anche un'intervista a Mattia Donadel, esponente e portavoce del comitato “Opzione zero”, ideatore assieme a molti altri soggetti del progetto di biomonitoraggio.

3 / 8 / 2023

Parte da Mira (Ve), ad opera del comitato contro l'inceneritore di Fusina, l'iniziativa popolare di indagine epidemiologica sugli abitanti che sono esposti ai fumi nocivi dell'impianto. Indagine volta a scoprire i mali e le patologie gravi dovute alla mala gestione di un territorio che si trova al centro di un quadrivio di pericolosi agenti inquinanti: i Pfas trasportati dalle acque, una industrializzazione del comparto chimico, la Laguna Veneta che sta agonizzando sotto i colpi pesanti del passaggio di grandi navi turistiche e di prodotti fossili, una massiccia cementificazione dovuta ai grandi flussi speculativi del mercato finanziario internazionale.

Un capitolo a parte andrebbe aperto sugli inceneritori veneti disposti a bruciare (polverizzare, sic!) i Pfas: quelli di cui si ha notizia sono a Padova (la quarta linea), Fusina, Arzignano, Legnago e Schio. Poi c’è la Chemviron di San Pietro che rigenera carboni attivi per impianti idrici, compresi quelli provenienti dagli acquedotti soggetti a contaminazione da Pfas. Un bel ventaglio di veleni non a caso eretti nelle aree industriali più dense, nel cuore di una delle zone più inquinata in Europa e in cui più si manifestano con evidente potenza gli effetti del cambiamento climatico.

Questa del biomonitoraggio è una iniziativa sulla salute dovuta. Una risposta politica di massa alle tante richieste, petizioni, assemblee sempre negate, rigettate, osteggiate dai vari organi dello Stato.

Al centro dell’iniziativa ruota la definizione di salute che il capitalismo vuole dare al suo agire intollerabile e dall'altra la necessità dell'intera popolazione di tutelarsi e garantirsi la vita a partire dal benessere dei corpi e del suo contesto eco-sistemico.

L'agire intollerabile del capitalismo si manifesta fin da subito nella gestione politica della vicenda Miteni nel vicentino, tristemente famosa a causa della contaminazione da Pfas di un territorio che conta 800.000 abitanti. Con l'istituzione delle zone rosse, arancione e verde da parte della Regione Veneto si è voluto circoscrivere e relegare in queste aree il gradiente di pericolosità delle sostanze sversate nelle acque del fiume Fratta Gorzone. Si contano solo le persone racchiuse nel cerchio rosso negando ogni possibile trasmissione nella catena biologica o alimentare, escludendo dal protocollo sanitario centinaia di migliaia di esseri viventi, vegetali, cibo, acqua. Si arriva persino a vietare la ricerca nel sangue delle donne incinta fuori dalla zona A.

Sappiamo solo adesso che l'indagine epidemiologica era pronta a partire sin dai primi anni della catastrofe e niente fu fatto perché c’è stato il veto della governance politica. Il copione si sta ripetendo attorno all'inceneritore della Veritas Spa di Fusina che intende bruciare i fanghi delle operazioni di bonifica della Miteni, ben lungi dall'essere risolutivi. Ora che hanno anche il via libera dalla sentenza del Tar, che impedisce qualsiasi intervento "di parte civile" nella disputa legale, intendono disperdere nell'aria una formula chimica che lega per sempre il fluoro al carbonio, cioè quella materia che comunemente conosciamo come schiuma antincendio o banalmente la pellicola che ricopre la padella antiaderente. 

Di fronte a tanta tracotanza avviare dal basso una indagine epidemiologica popolare e generalizzata ci sembra la risposta politica più efficace: si tratterà di coinvolgere il maggior numero di persone per riconoscere quante più patologie legate all'inquinamento. Si tratterà di dare delle risposte forti e attendibili a delle percezioni empiriche che ci coinvolgono emotivamente quando assistiamo alle morti sempre più numerose di amici e parenti. A partire dal Covid la morte "indicizzata" ci appare dentro un quadro di emergenza senza fine, normalizzata, un dato politico che diventa forma di ricatto e controllo nella quale ricchi e benestanti godono di cure e privilegi. Si tratterà, con lo screening popolare di avviare una forma di lotta adeguata, replicabile, eguagliabile capace di parlare di cura, salute e di nuovi linguaggi sostenibili e autenticamente democratici in grado di contrastare la marea nera dei Pfas.

Pfas e salute pubica

La questione dell’inquinamento da Pfas nei nostri territori è ampiamente nota: inquinamento della seconda falda acquifera più importante d’Europa da parte di una sostanza micidiale, non metabolizzabile dall’ organismo umano, causa di tumori, come ampiamente dimostrato dalla scienza medica e da studi e ricerche a livello internazionale. L’attore principale di tutto questo nel nostro territorio è stata la Miteni di Trissino, nel vicentino, dietro la quale si nascondono la Mitsubishi a altre multinazionali che estraggono enormi profitti dalle nostre vite e dal mondo ambiente in cui viviamo, la terra, l’acqua, l’aria.

Grazie a molti anni di mobilitazioni da parte di un vasto movimento, con blocchi della fabbrica, manifestazioni, controinformazioni diffuse e capillari, la Miteni è stata costretta a chiudere e messa sotto processo per disastro ambientale dal tribunale di Vicenza. Una vittoria, seppur parziale, del movimento, che dimostra come le “differenze”, invece di essere debolezze, possono al contrario trasformarsi in una grande forza capace di conseguire importanti risultati, quando trovano obiettivi comuni ed una feconda dialettica interna. Certo, non siamo certo trionfalistici e restano aperti problemi e contraddizioni dirimenti: quali responsabilità della politica regionale e nazionale?

Già l’Istituto Superiore della Sanità aveva già segnalato questo problema che è stato ignorato dalle istituzioni nazionali e locali. Anzi, il crimine ambientale Pfas è stato volutamente occultato da parte della regione Veneto che ha continuato a favorire in ogni modo l’attività criminale della Miteni, la “fabbrica di morte” per i lavoratori all’interno e per le popolazioni del Veneto nel loro insieme.

L’acqua scorre, attraverso fiumi, canali, tubature e dal vicentino giunge all’Adriatico, portando con sé il suo veleno. Come è ovvio, l’acqua serve per irrigare i campi e le coltivazioni, in poche parole la catena alimentare: se questa catena è inquinata, lo saranno anche i prodotti che finiscono nelle nostre tavole. Quando parliamo di disastro ambientale, lo paragoniamo giustamente a una catastrofe che pervade la vita di intere popolazioni: questo ne è un esempio lampante.

“Tutto era pronto…poi non se ne fece nulla”. Queste le dichiarazioni al processo di Vicenza di Pietro Comba, responsabile del dipartimento di Epidemiologia ambientale dell’Istituto Superiore di Sanità. Medici e tecnici erano pronti ad avviare l’indagine già nel 2018, per cercare le correlazioni tra i Pfas e gravi patologie, a cominciare dai tumori. Ma quando tutto era pronto, è arrivato uno stop, lui dice, dalla “politica”, in termini generici. Nazionale? Regionale? Poco importa, sono dichiarazioni che fanno rabbrividire, perché fanno intendere quanto si sia giocato sulla pelle delle persone, sulla vita e sulla morte e che non possono che far aumentare rabbia, indignazione e la volontà di lottare.

Per completare il quadro abbiamo intervistato Mattia Donadel, esponente e portavoce del comitato “Opzione zero”, ideatore assieme a molti altri soggetti del progetto di biomonitoraggio. 

Ci spieghi in breve che progetto sta partendo sui biomonitoraggi a Porto Marghera?

Si tratta di un progetto molto importante che è partito ufficialmente ad aprile per concludersi nel 2026; cuore del progetto è una indagine sulla popolazione che abita la zona metropolitana di Venezia intorno all'area industriale di Porto Marghera, o nelle aree comunque interessate dagli impatti generati - attualmente o nel passato - dalle industrie. Quindi, per capirci, anche la zona della Riviera del Brenta e del Miranese. Il progetto in realtà è più esteso e comprende altri casi studio come Manfredonia (FG) e la Valle del Serchio, in Toscana; sono coinvolti l'Istituto Superiore di Sanità, il CNR, e per quanto ci riguarda. anche l'Università di Padova e la Regione Veneto, in particolare il Dipartimento di Prevenzione, ULSS 3 e ARPAV.

Ciò che è più importante è che il tavolo di lavoro prevede una partecipazione diretta dei cittadini, che potranno portare il loro contributo anche in termini di proposte operative, oltre ad avere la possibilità di monitorare tutto il processo. Grazie alle continue richieste e alle tante proteste, di fatto la delegazione dei cittadini è costituita da alcuni attivisti/e dei comitati territoriali ambientali della nostra zona. Un risultato importante e per nulla scontato. 

Ma come siete riusciti ad entrare in questo progetto?

Dal 2019 molte associazioni e comitati del veneziano si sono costituiti nel Coordinamento No Inceneritore Fusina, per contrastare il nuovo impianto voluto da Veritas e dalla stessa Regione Veneto, e ora anche per contrastare il progetto analogo di ENI finalizzato allo smaltimento dei fanghi di tutti i depuratori regionali. Parallelamente, dal 2020, grazie alla sensibilità di alcuni medici e pediatri e di un gruppo di genitori attivi, era partita la richiesta di fare dei biomonitoraggi umani su latte materno e unghie dei bambini per verificare in particolare la concentrazione di diossine e metalli pesanti.

I comitati ambientali hanno fin da subito accolto e sostenuto questa istanza cogliendone l'importanza sia politica che più propriamente sanitaria: ci sono state manifestazioni, petizioni, ordini del giorno nei Consigli comunali di Mira e Venezia, e un ordine del giorno votato anche in Consiglio regionale, fino a quando nel 2021 si è aperta una interlocuzione con la Regione Veneto. In seguito ci sono state alcune riunioni, ma in 2 anni in realtà non si era arrivati a nulla di fatto. Poi la svolta: un bando finanziato con fondi PNRR ha permesso di dare vita al progetto One Health Citizen Science e, grazie anche ai giusti contatti, siamo riusciti ad inserirci e ad accreditarci come soggetto in rappresentanza della cittadinanza. 

Perché ritenete importanti i biomonitoraggi?

I biomonitoraggi, in particolare quelli sul corpo umano, sono fondamentali per capire quale è il livello di contaminazione di sostanze molto tossiche e pericolose come diossine, PCB, metalli pesanti e PFAS. Sappiamo che il nostro territorio, pesantemente industrializzato e infrastrutturato, è molto inquinato a livello di aria, suolo e acqua, ma non sappiamo esattamente quale è l'impatto sulla salute delle persone che ci vivono. Per di più continuano a proporre e ad approvare nuovi impianti inquinanti come gli inceneritori, e sia per i proponenti che per i decisori politici va sempre tutto bene, anzi si tratta di opere fatte passare come “green”.

Ma noi sappiamo che questo “modello di sviluppo” ha condizionato e continua a condizionare in negativo l'ambiente e la qualità di vita della popolazione. Ci sono alcune ricerche di carattere epidemiologico, come lo studio SENTIERI sulla popolazione che vive intorno al SIN di Porto Marghera, che danno già alcune indicazioni importanti sulle gravi conseguenze causate dall'inquinamento. Ma è necessario completare il quadro, perché riteniamo che solo con un’analisi approfondita anche del livello di avvelenamento dei cittadini si può aprire una discussione vera su quali sono le scelte giuste da fare per risanare questa situazione.

È un ragionamento che va oltre le singole vertenze territoriali, ma che allo stesso tempo può dare nuovo impulso ai conflitti in essere, e che potenzialmente può diventare dirompente anche in altri territori. Crediamo così tanto nei biomonitoraggi che oltre a stare a questo tavolo, sempre guardinghi e pronti a mantenere la giusta direzione, ci siamo già attivati per fare analisi autonome su alcuni alimenti. I primi risultati ci confermano una situazione grave, e a breve potremmo già fare un primo bilancio che faremo pesare al tavolo di confronto. Dunque i fronti si ampliano e la lotta rimane aperta.