Welfare e servizi

Il modello emiliano: servizi sociali, tagli e crisi

Alcuni appunti sul piano di tagli messi in atto dalle amministrazioni locali sui servizi sociali a Bologna e provincia

3 / 2 / 2011

Il taglio ai servizi sociali ed il loro progressivo smantellamento, in corso nella città di Bologna con effetti laceranti già visibili si estende progressivamente alla provincia, colpendo il distretto di Casalecchio di Reno, un territorio abbastanza vasto, nell'area sud di Bologna che comprende la valle del Reno e la valle del Samoggia.

Terra una volta che ha funzionato come laboratorio del modello di sviluppo emiliano, terra che coniugava un regime di piena occupazione a dispositivi di protezione sociale integrali ed integrati frutto di un sapere costruito nel corso di decenni, ora terra solcata da contraddizioni: i nuovi ricchi che scappano sui colli poco distanti dal centro di Bologna, vecchi e nuovi ceti popolari che abitano le zone di pianura affollate, lungo la traiettoria della bazzanese, da industrie in crisi e casse integrazioni in progressivo esaurimento. E ancora, una sempre più alta composizione di famiglie migranti e comuni, come quello di Savigno, dove la Lega arriva quasi al 15%.

Proprio nel momento in cui la crisi chiede nuovi patti sociali tra i cittadini ed un rinforzo degli ammortizzatori e del welfare in generale, questo territorio vede collassare i servizi sociali che per tanto tempo sono stati indicati a modello. Infatti la ristrutturazione dei servizi con il passaggio monco delle deleghe dall'Ausl al consorzio ascInsieme, (un'azienda di tipo consortile) ha come primo ed immediato effetto un taglio netto ai servizi di circa 1.500.000 euro, dato ancora provvisorio e che si teme essere in difetto. Un primo effetto di questo taglio sarà la perdita del posto di lavoro per circa 18-25 lavoratori del sociale, educatori ed educatrici che lavorano con il disagio sociale, l'handicap, le tossicodipendenze. Anche i dati dei tagli sono ancora parziali e, ci dicono i lavoratori del settore, la paura è che siano anch'essi corretti per difetto.

Inoltre, oltre alla perdita dei posti di lavoro, un effetto immediato di questi tagli sarà la distruzione di questa rete integrata di servizi di welfare spesso indicata come modello di sperimentazione di buone pratiche e che appunto è frutto di un accumulo di saperi e pratiche decennali.

Questa volta però a tagliare non è Tremonti, ma le amministrazioni di centrosinistra del territorio, guida politica dell'azienda consortile che ha deciso i tagli.

Gli educatori del territorio non sono disposti però ad andare a casa in silenzio. Appena saputa l'entità dei tagli hanno proclamato lo stato di agitazione, coscienti che il punto di forza del loro lavoro di cura, sociale, ibrido, immerso nel territorio, continuamente in riprogettazione, reticolare, anzi su piani e reti di lavoro differenti, può essere anche un loro decisivo punto di debolezza: un' attività caratterizzate spesso da pratiche di autosfruttamento, un lavoro spesso esteso lungo tutto l'arco della giornata, un lavoro spezzato che pone delle difficoltà oggettive nel trovare adeguate forme di organizzazione, un lavoro in cui si mettono in campo risorse e competenze personali spesso non retribuite e valorizzate adeguatamente.

Il problema che si pone è anche un problema di democrazia. Chi può decidere i tagli di un bene comune come questo senza interpellare nessun attore sociale del territorio?

In ballo non c'è solo il pur importante posto di lavoro degli educatori, ma due idee di territorio contrapposte tra loro, una utilizza la crisi per operare una riorganizzazione dei rapporti e delle relazioni sociali, l'altra propone di superare la crisi con un nuovo patto sociale tra tutti gli attori che vivono una terra.


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Documento degli Eucatori contro i tagli