Generazioni senza pensione, senza reddito, senza voce contraria

3 / 12 / 2015

Negli ultimi giorni si sono susseguite numerose dichiarazioni del Ministro del Lavoro e del Presidente dell’Inps in merito all’attuale situazione previdenziale che vede coinvolta la larga fetta di popolazione dei nati dopo gli ’80. Boeri ha messo il Governo di fronte all’innalzamento dell’età lavorativa a 75 anni e alla diminuzione del 25% degli assegni previdenziali per i trentenni di oggi (o meglio, per i trentenni che riusciranno a maturare abbastanza contributi), auspicando l’introduzione d un reddito minimo. In risposta Poletti, non nuovo a boutade irriguardose - e del tutto fuori dalla realtà - nei confronti dei cosiddetti “giovani”, ha dichiarato che questi “devono versare i contributi, visto che non mi risulta siano stati immaginati strumenti alternativi che garantiscano soluzioni migliori”. Le élites governative proseguono, quindi, la loro linea politica basata sulla demolizione costante di quel tessuto di diritti e garanzie frutto delle lotte sociali avvenute nel secolo scorso. 

Ci sono generazioni che lavoreranno fino a 75 anni senza pensione, tutele e reddito​. Si considerano scomparse come gli esquimesi o gli gnomi. Senza una voce collettiva resteranno le generazioni dei senza. Ma la vita non è postuma. Trovare il coraggio per dirlo: se non vivi, altri vivranno al posto nostro.

Era il 5 ottobre 2010. L’allora presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua disse: «Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale». Col sistema contributivo, com’è noto dopo la riforma Dini del 1995, i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti non arriveranno alla pensione minima. Chi inizierà ad andare in pensione dal 2040 in poi non avrà una pensione, propriamente detta. Nei casi migliori, ha ricordato ieri l’attuale presidente dell’Inps Tito Boeri,  chi ha 35 anni prenderà una pensione più bassa del 25% rispetto ai genitori nati intorno al 1945.

La bomba sociale è arrivata

La differenza tra Mastrapasqua e Boeri? Il primo ha alluso alla “bomba sociale” ma non l’ha rivelata. Boeri, invece, la rivela giorno dopo giorno. Sassata dopo sassata. Un’operazione parresiastica. In effetti questi non sono misteri: in Italia, tra i 20 e i 40 anni, tutti conoscono la verità. La differenza oggi è che Boeri parla della catastrofe prossima ventura. La catastrofe del capitale. Non quella dei mutui subprime negli Usa, o delle banche europee (la cui crisi è stata pagata dagli Stati, ha sostenuto Luciano Gallino). No, è la catastrofe di un modello di lavoro disegnato fino a oggi.

Il presidente dell’Inps sostiene che lavorare di più, e più a lungo, fino ai 75 anni non basterà ad avere una pensione dignitosa. Al momento questo futuro riguarda il 40% dei lavoratori, sperando che il Pil cresca da oggi fino al 2050 dell’1%. Una speranza, appunto, visto che per la prossima generazione ci troveremo con una crescita “stagnante”: una crescita che non produrrà occupazione fissa (jobsless recovery, la chiamano gli esperti). Una crescita senza posti di lavoro che potranno pagarsi i contributi e dunque avere una pensione. E’ il circolo vizioso delle riforme pensionistiche dal 95 a oggi.

***Le pensioni delle partite Iva e freelance sono una bomba sociale pronta a esplodere

E’ la vita nel capitalismo finanziario, progettata già dalla metà degli anni Novanta quando l’Italia cambiò sistema pensionistico: dal retributivo passò al contributivo. A metà degli anni Novanta — anni di crisi interrotti da improvvise fiammate speculative come la bolla dot​.com — si scommetteva su due fattori: la crescita del Pil e la capacità dei lavoratori freelance di pagarsi i contributi da soli. Oppure con la pensione integrativa, anch’essa da comprare sul mercato. Un mercato, almeno in Italia, che non è mai partito realmente.

Oggi non è più così. Povertà, disoccupazione, carriere lavorative come groviere e non come linee rette. I nuovi lavoratori — considerati come imprenditori della vita capaci di farsi una pensione nel privato così come fondano imprese — iniziano a lavorare presto con contratti brevissimi, precari, inconsistenti dal punto di vista contributivo, quasi nulli dal punto di vista del reddito.Questo vale per chi ha oggi venti o trent’anni. Per chi, invece, ha quarant’anni e più, ha una partita Iva ed è iscritto alla gestione separata ell’Inps, questa situazione è notissima. Ogni ragionamento sui trentenni di oggi andrà fatto a partire dal presente di questi lavoratori autonomi che stanno sperimentando sulla loro pelle quello che sarà in futuro la realtà per tutti.

Zerocalcare e la vita dei trentenni

In un’intervista alla Stampa il fumettista Zerocalcare ha detto che i trentenni non esistono più, come il dodo, gli esquimesi e gli gnomi. Una battuta geniale, una tesi malinconica. In realtà sono scomparsi anche i ventenni, per non parlare degli adolescenti. E sono scomparsi anche i quarantenni, naufraghi sulle zattere della precarietà oppure artisti di vite sospese sulla povertà. Concretamente, come dimostra sia la ricerca della fondazione Di Vittorio che l’ultimo report dell’Istat, la parte “centrale” e “produttiva” della forza-lavoro dai 24 ai 49 anni, è sempre più disoccupata, precaria, o precariamente occupata al punto da non potersi pagare una pensione.

Il sistema è ancora più iniquo. Non solo le “riforme” Fornero e il Jobs Act hanno messo al lavoro gli anziani e mantengono precari e disoccupati i giovani, ma le lavoratrici e i lavoratori «parasubordinati», le partite Iva, tutti coloro che sono impiegati a tempo e in maniera intermittente. dentro e fuori la gestione separata dell’Inps, hanno ripianato le ingenti perdite dell’Inps.In altre parole, il loro precariato paga le esigenze del sistema, ma non le tutele e il welfare di cui hanno bisogno questi lavoratori.

I venti-quarantenni esistono e sono funzionali a mantenere un sistema che li distrugge.

Precari che pagano la pensione degli altri (e non ne avranno una)

Scriveva la corte dei Conti a proposito di un bilancio precedente (2012): l’istituto si avvaleva allora (come oggi)  del «massiccio saldo positivo di esercizio dei “parasubordinati” e quello delle prestazioni temporanee, i cui netti patrimoniali consentono ancora la copertura di quelli negativi delle altre principali gestioni e il mantenimento di un attivo nel bilancio generale, esposto peraltro ad un rapido azzeramento».

Dunque, in Italia i pensionati continueranno a crescere, ma il capitale garantito dai lavoratori autonomi e dai precari non basterà a «ripianare lo squilibrio» tra le gestioni in deficit. La conseguenza sarà «la dilatazione dei saldi negativi e dell’indebitamento, aggravati dal fondo dei dipendenti pubblici, in progressivo e crescente dissesto».

Già nel 2012 la Corte aveva avvertito che i lavoratori indipendenti (precari, partite Iva, intermittenti) sarebbero stati penalizzati maggiormente dal metodo contributivo. Il loro trattamento pensionistico, sempre che riescano a totalizzarlo, rischia di essere molto lontano da quello riservato a chi è andato, o andrà, in pensione con il metodo retributivo. La Corte chiese «un costante monitoraggio degli effetti delle riforme del lavoro e della previdenza sulla spesa pensionistica e una crescente attenzione al profilo di adeguatezza delle prestazioni collegate al metodo contributivo e degli eccessivi divari nei trattamenti connessi a quello retributivo, unitamente all’urgenza di rilanciare la previdenza complementare».

La speranza nella “previdenza complementare” è al lumicino. Resta infatti il mistero su come i lavoratori indipendenti, i trenta-quarantenni con un reddito medio mensile pari a 515 euro possano finanziarsi un fondo privato.

L’Inps, concluse la Corte nel 2012, ha bisogno di «indilazionabili misure di risanamento». In realtà di una riforma del Welfare e, magari, di una ripresa che non si vede. Almeno quella del lavoro retribuito.

Il coraggio per dirlo

Un sistema iniquo, predatorio. Un Welfare che si è adattato allo sfruttamento brutale del precariato creato dalle leggi di destra e di sinistra che hanno creato una bomba sociale. Questa bomba è già esplosa, quando i trentenni dicono di sentirsi vecchi e desueti. Boeri conosce questa situazione. Dopo varie esitazioni, e incidenti di percorso come il reddito minimo riservato solo agli over 55, pochi giorni fa ha parlato di un “reddito minimo” rivolto a tutti. “Se ci fossero le risorse”, ha aggiunto.

Quelle risorse non ci sono. O meglio, sono i governi (europei) che non intendono stanziarle, previa riforma del sistema folle costruito dal 1995 in Italia. Per non parlare degli altri paesi. O del sistema del welfare, dato che l’Italia — insieme alla Grecia — è l’unico paese europeo a non avere nemmeno un reddito minimo. Non che questo sia la panacea di questo male, anzi.

Senza un cambio di rotta radicale, senza la sottrazione alla catastrofe di una vita legata all’andamento del Pil, senza un reddito garantito per tutti per dare autonomia e dignità al lavoro e al non lavoro, almeno due generazioni saranno rottamate.

Senza una loro voce contraria, collettiva, i venti-quarantenni resteranno la generazione dei “senza”. Senza presente, senza futuro, senza idee. Il presente, il futuro e le idee esistono. Bisogna trovare il coraggio di dirlo. La vita non è postuma. Se non vivi, altri vivranno al posto tuo

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