Dopo Barletta, oltre lo sfruttamento per l'alternativa

6 / 10 / 2011

Non solo il Sud ma anche il centro e nord di Italia sono caratterizzate da situazioni di lavoro nero e di grave sfruttamento lavorativo, in deroga a qualsiasi contratto collettivo nazionale applicato ai vari settori lavorativi.

Il Lavoro paraschiavistico o gravemente sfruttato (prerogativa oramai non solo del lavoro migrante) non rappresenta un evento episodico interno alle sole economie cosiddette illegali, ma strumento che permea le economie di tutti i settori lavorativi (anche le partite Iva che nascondono in realtà lavoro subordinato ecc) e che si alimenta grazie a politiche che cancellano i diritti e da un altro come parvenza li vorrebbero difendere. In questo senso va letto ad es. l'art. 12 della manovra agostana contro il caporalato che si scontra in evidente contrasto con l'art. 8 della stessa manovra, quando si afferma che uno strumento di valutazione di possibili casi di sfruttamento o caporalato dovrebbero essere proprio l'applicazione dei CCNL. Mentre tutti da destra a sinistra si inginocchiano al diktat di Marchionne e mentre le stesse direzioni provinciali del lavoro, l'inps ecc.. hanno personale insufficiente per fare i controlli e pochi strumenti anche normativi per agire in questo senso (come denuncia oggi Luciano Gallino nell'intervista a Repubblica.it: "Tutta l'Italia come Barletta" ).

Le 5 giovani vite strappate e sepolte, le cinque giovani vite di donne uccise, rappresentano la crisi e il punto di non ritorno in cui versa da tempo il nostro paese e il nostro mercato del lavoro e battono il tempo della governance finanziaria, dei mercati internazionali e delle lettere della Bce.

In un tempo in cui la precarietà e lo sfruttamento sono le scenario comune per tanti lavoratori e lavoratrici nonché per le e i disoccupati, la vicenda di Barletta restituisce uno scenario in cui gli attori politici locali e parte della stessa popolazione difendono lo sfruttamento lavorativo come necessità per avere un reddito di sopravvivenza non certo di cittadinanza. Il tutto in continuità con le politiche delle stesse istituzioni locali e statali che riaffermano i principi e il potere finanziario sulla sovranità popolare nella svendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni con conseguenti tagli al welfare e alle politiche sociali, alle infrastrutture. In opposizione al risultato referendario di giugno, dove chiaro e forte è stato mandato un segnale ed indicata una via opposta dalla maggior parte della popolazione italiana.

È contro questa sopravvivenza e non vita, è contro la svendita di ciò che appartiene a tutti (né pubblico né privato ma comune appunto), che in tutto il mondo in questi giorni si stanno mobilitando migliaia di persone, non tanto e non solo per confliggere con le autorità statali e le polizie nazionali ma per pensare insieme e dal basso, con le tante competenze che attraversano questo movimento, un comune sociale e politico per produrre e pensare l'alternativa.

Mai come ora è necessario mettere a valore il percorso di uniti per l'alterativa dentro un quadro di ricomposizione sociale che non sia solo la somma di, ma la costruzione reale di un nuovo mondo che contenga molti mondi. Per farlo ci vuole intelligenza e soprattutto partecipazione e impegno a partire dall'importanza scadenza del 15 ottobre e alle tappe di avvicinamento che in tutti i territori con tanta passione si stanno producendo.

Noi siamo il 99% non resteremo più in silenzio! Mai più..