Chissà che incroci di telefonate tra Presidenze Regionali, Provincie, Prefetture, Ministero dell’Interno e sedi di partito. Il contenuto? Piazzare un nuovo CIE in ogni Regione. Nessuno stato d’Europa può fare a meno dei Centri di Detenzione che, proliferati fino all’esterno dei confini europei (ma ben saldamenti ancorati ai soldi stanziati dagli stati dell’Unione), rappresentano uno dei capisaldi del governo europeo delle migrazioni.
Eppure, dopo l’annuncio della costruzione di un CIE in ogni Regione, che risale ad oltre un anno fa, ancora nulla si è fatto. Non ci dispiace certo, ma a breve saremo chiamati ad affrontare questo nodo.
La Campania, la Toscana, le Marche, il Veneto, sono gli
obiettivi prefissati.
Ma il compito del Viminale non è semplice, costretto a contrattare non
poco anche con i suoi stessi compagni di partito. E’ il caso del Veneto
per esempio, dove il Ministro Maroni ha dovuto incassare prima il no di
Verona, governata dal sindaco leghista Tosi, poi costretto ad
ingaggiare, insieme al Governatore del Veneto Zaia, una vera e propria
sfida con il territorio della Provincia di Rovigo.
Contrario il centro sinistra, contrario il Pdl, contrari perfino molti degli stessi rappresentanti della lega Nord territoriale.
La sfida insomma è più che mai aperta.
Quando il settimanale Carta ha proposto anche quest’anno
la costruzione del Clandestino Day, abbiamo capito subito che sarebbe
stato qualcosa di diverso da quello dello scorso anno.
E non semplicemente per l’esponenziale crescita delle adesioni.
Si tratta infatti di mettere mano ad un tema, quella della
clandestinità, che ha sicuramente assunto un rilievo diverso nel
contesto della nostra società.
In primo luogo perché ancor più di prima, quella dell’irregolarità non è
una condizione di cui è facile delineare un confine, piuttosto, sembra
essere sempre più un orizzonte, una minaccia, una sfumatura del percorso
delle migrazioni. Le nuove norme introdotte contro i migranti regolari,
la crisi che attraversa strutturalmente la società, stanno via via
(sempre in parte lo è stato) proponendo un rimescolarsi continuo della
condizione di regolarità/irregolarità del soggiorno.
Ma non solo. Si tratta di una condizione sempre più drammatica che i
respingimenti verso la Libia, quelli silenziosi dei Porti
dell’Adriatico, la violenza e le condizioni di lunga detenzione nei CIE
stanno delineando sempre più come deroga permanente al diritto alla
vita.
Ma clandestinità significa anche un processo generalizzato nei confronti
di tutti, una modalità di governo che in qualche modo sta coinvolgendo
ogni spazio della vita umana. La scuola, il contratto collettivo
nazionale del metalmeccanici o le lotte degli stagionali ci raccontano
di una nuova clandestinizzazione dei soggetti che via via va
diffondendosi.
E’ questa nuova traiettoria che ci fa scoprire nuovamente quanto il
nostro 24 settembre sia una occasione imperdibile.
Negli ultimi anni le rivolte all’interno dei CIE esistenti hanno senza
ombra di dubbio messo in evidenza la la brutalità insita nel
confinamento. Ma da sole rischiano di tradursi unicamente nella
drammatica esasperazione di corpi e menti sottoposte ad una violenza
senza pari in questo paese.
Abbiamo invece bisogno di un nuovo
orizzonte, di un rifiuto culturale e politico di questi luoghi.
In Veneto la costruzione del CIE è una sfida aperta che ci chiama a
misurarci con la realtà che ci circonda.
Non sarà facile. Non è il tempo dei diritti umani questo, violentati in
ogni loro scrittura ed in ogni angolo del mondo. E’ il Veneto della Lega
Nord al Governo nazionale e regionale, il tempo della crisi e della
frammentazione sociale, quello del tutti contro tutti o al limite, del
noi contro loro.
Ma è anche il momento nel quale una nuova ipotesi di società, del bene
comune, dei diritti, delle libertà, ha bisogno di prendere forma come
risposta ad una crisi dalla quale nessuno, con ricette dosate su diversi
gradi di sfruttamento, è in grado di uscire.
I movimenti ci stanno provando. Il coordinamento No CIE del Veneto si è messo in moto, non per costruire una giornata di mobilitazione, ma per tessere un nuovo filo di un discorso, in grado certo di esprimere un rifiuto al centro di detenzione per migranti, ma anche e soprattutto per costruire una nuova ipotesi dello stare insieme in questa Regione.
Il 24 settembre insomma, a Rovigo (da tutto il Veneto) e nelle altre lande della penisola, siamo chiamati ad una sfida, a ridare voce e corpo ad un “nuovo” movimento all’altezza dell’attuale realtà che ci circonda.