Tra storia, mito e romanzo: le BR raccontate da Alessandro Bertante

Report della presentazione di "Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR" a Sherbooks Festival 2023.

20 / 2 / 2023

Il 12 dicembre 1969 si consuma la strage di Piazza Fontana. Non c’è dubbio: la colpa deve essere degli anarchici, così si pensa all’indomani della tragedia. Per loro inizia subito la repressione e il linciaggio mediatico: Valpreda viene indicato come il sicuro colpevole, Pinelli “cade” dal palazzo della finestra lasciata aperta nella questura di Milano dove era in stato di fermo da tre giorni, uno in più rispetto al massimo previsto dalla legge. Più tardi si scoprirà che a piazzare la bomba furono i fascisti, ma intanto il periodo che poi prenderà il nome di “strategia della tensione” è iniziato.

Alberto Boscolo, protagonista dell’opera Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR di Alessandro Bertante, ha ventuno anni mentre si svolgono i fatti narrati.

A condurre la presentazione del romanzo candidato al Premio Strega 2022 è Rossella Puca di Radio Sherwood. «Alberto Boscolo, ha 21 anni, estrazione borghese, università solo sulla carta, è un giovane che vive quegli anni crescendo in consapevolezza politica, votato ad essere un militante del collettivo metropolitano, a far picchetti e volantinaggi dinanzi le fabbriche, ma al contempo a vivere le sue esperienze relazionali anche veementi con la famiglia, la ragazza, gli amici. Alberto è un personaggio che nel corso del romanzo evolve, come in un romanzo di formazione, il lettore potrà dunque innamorarsi per il suo essere idealista rivoluzionario ma anche un po' strabuzzare gli occhi perché alle volte appare gretto, dedito al troppo alcool o alla masturbazione. Un Alberto dunque che viene umanizzato facendolo uscire dall'aurea di combattente armato per la rivoluzione apparendo per quello che veramente è, e cioè, un ragazzo».Queste le parole scelte da Rossella per dipingere nitidamente i tratti del protagonista. La prima questione rivolta a Bertante riguarda il lavoro di ricostruzione storica e le letture affrontate per la stesura del romanzo.

La motivazione dell’autore nasce in realtà da una domanda che Bertante aveva in testa da molto tempo: quali sono le motivazioni che deve avere un ventenne affinché riesca a trovare la forza e l’ambizione di fare una guerra rivoluzionaria?

Per rispondere l’autore legge gli scritti dei protagonisti dell’epoca. Passa in rassegna Margherita Cagol, Renato Curcio, Alberto Franceschini, Mario Moretti immergendosi nel clima politico dell’epoca.

Ma per rendere con ancora più maestria lo svolgersi delle vicende, oltre alle letture e alle sue conoscenze pregresse (Bertante si è infatti laureato con Giorgio Galli, uno degli storici più importanti in merito alla BR), un’ulteriore operazione di immedesimazione nelle vicende è attuata scrivendo il racconto in prima persona, quasi si trattasse di un’autobiografia. Lo scopo dell’operazione è stato di umanizzare il protagonista, mostrandone le vulnerabilità e cercando di uscire dalla rigida narrazione per cui i brigatisti fossero persone prive di dubbi pronti ad agire a sangue freddo. Le vicende narrate in Mordi e fuggi sono ambientate principalmente a Milano tra il ’69 e il ‘72, quando le BR nascono e si sviluppano attraverso uno stretto legame creato coi quartieri e le fabbriche della città, veri protagonisti della formazione del gruppo armato.

Collegandosi alla questione della ricostruzione storica, Rossella Puca riprende «Tu narri una Milano tra fine ‘60 e inizio ‘70 anch'essa in divenire sia in senso spaziale che sociale-politico, le occupazioni, le comuni, le intimidazioni ai manager delle aziende sfruttatrici, i processi del popolo, i boicottaggi, le rapine per l'approvvigionamento dei compagni. Tutti avvenimenti realmente accaduti. La potenza di questo libro secondo me sta nell’aver condensato storia e storie facendolo in forma romanzo, per antonomasia più fruibile della saggistica. Sebbene apprezzabile, non credi tuttavia che una storia divenuta romanzo possa apparire agli occhi di un lettore non accorto come mera finzione per motivi di trama

«Non mi interessa se pare una finzione - risponde Bertante - sono un romanziere e ne sono consapevole. Il romanzo era per me inevitabile». Il suo interesse principale risiedeva infatti nel parlare del mito fondativo, descrivendo la “propaganda del fatto” che fin dal principio ha caratterizzato le Brigate Rosse:

Mordi e fuggi. Niente resterà impunito! Colpiscine uno per educarne cento! Tutto il potere al popolo armato!

Ripreso da Mao Tse-Tung, questo è lo slogan usato dai brigatisti per rivendicare i loro colpi. E il mito fondativo lo si spiega anche col rapporto instaurato con le persone che abitano e lavorano nei quartieri come Lambrate e Lorenteggio, col linguaggio usato, semplice e accessibile a tutti (a differenza di quello espresso dalle BR dal ’75 in poi, intriso di marxismo-leninismo) e anche con eventi simbolici accaduti in quegli anni. Ad esempio l’omaggio di un quartiere milanese alle Brigate Rosse durante la celebrazione del 25 aprile 1971, quando gli abitanti esposero sulle loro case la bandiera con la stella a cinque punte cerchiata. Per capirne la nascita è infatti fondamentale capire la geografia urbana intrisa di fabbriche in quel periodo; condizione che non si sarebbe più verificata in futuro. Ma la fedele ricostruzione passa anche attraverso la costruzione dei dialoghi: ogni parola detta da Curcio, Cagol e gli altri brigatisti è ripresa in maniera letterale da frasi che loro stessi avevano pronunciato, non c’è niente di inventato.

Dopodiché si torna a parlare di Alberto, delle sue sensazioni di ragazzo, dei dubbi che lo assillano, in contrasto alle rappresentazioni dei brigatisti come persone dure e senza rimorsi. Alberto viene raccontato come un giovane colmo di sprovvedutezza che si interroga sul senso della vita e provvede a collocare al suo centro l'ideale rivoluzionario, senza il quale sarebbe sopraffatto dallo sconforto.Seguire quell’idea è quindi l’unica cosa che lo fa andare avanti.«Secondo te - chiede Puca - siamo davanti ad un paradigma rovesciato, e cioè non più trovare un senso per combattere, ma forse combattere per trovare un senso?»

«Sì e no. Loro volevano la rivoluzione ad ogni costo. Alberto non si pente delle sue azioni ma si rende conto che avevano sbagliato, che in quel momento non ci sono i presupposti necessari a fare una rivoluzione. Se ci fossero stati i mezzi non si sarebbe pentito e lo avrebbe fatto. Nelle rappresentazioni un brigatista viene presentato come un monolito, pronto a tutto e senza alcun rimorso, ma lui crolla, come tutti i ventenni è fragile. Nelle azioni è eccezionali, un duro. Però poi in clandestinità è un ventenne solo. Se poi sei solo e hai qualche dubbio, i dubbi si amplificano. Forse si rende conto da subito che non ci sono i presupposti politici. Inoltre la morte di Feltrinelli causa un disastro tra i rivoluzionari. Quando muore viene a mancare un simbolo, e soprattutto fa notare ad Alberto come la gente durante le rivoluzioni perde veramente la vita, e ciò lo porta al dubbio».

E a proposito della lotta di classe e della rivoluzione armata Bertante non ha dubbi: ogni rivoluzione di una classe che vuole prendere il posto sull’altra è necessariamente armato, «se si vuole fare Ghandi lo si faccia, ma le rivoluzioni è così che avvengono - dice lo scrittore - e proprio per questo non devono essere considerati terroristi. Loro non si sono mai considerati come tali, loro volevano fare la propria lotta di classe. Il terrorista può al massimo compiere un gesto forte, i brigatisti era la rivoluzione ciò che volevano».

Prima di concludere il dibattito parlando della ricezione del romanzo tra i giovani, la discussione si sposta sulla narrazione fatta in Italia a proposito della violenza. Questa, per Bertante, è alla base dei processi che procedono gli anni ’70. «In Italia c’è una narrazione molto ingannevole che fanno vedere gli anni Sessanta gioiosi, e i Settanta rappresentati come ferro e fuoco. Questo è falso. Negli anni Sessanta vengono uccisi personaggi come Che Guevara e Martin Luther king, avviene la guerra del Vietnam, la crisi dei missili di Cuba ecc. Avviene tutto negli anni ‘60. Sono anni violentissimi, non sono solo quelli della beat generation. Gli anni Settanta sono figli della lotta violenta del decennio precedente. Le nostre visioni sono figlie della mistificazione che abbiamo avuto degli anni sessantottini».

Infine appunto un commento su cosa pensano i giovani di oggi riguardo i ragazzi di allora. A tal riguardo, la sensazione dell’autore è che il libro non arrivi proprio alle giovani generazioni. «I miei lettori sono i miei coetanei, vorrei dire il contrario ma non è vero. I ventenni che arrivano al libro, se non sono militanti, ci arrivano però con un vuoto informativo. O te ne parlano in famiglia o niente. Alle superiori non se ne parla, come non si parla degli anni Sessanta».

E Mordi e fuggi resta sicuramente un’opera non solo in grado di colmare il vuoto informativo di cui si parla, ma grazie alla narrazione in prima persona e attraverso un’acuta descrizione degli stati d’animo del protagonista Alberto, l’autore riesce a trascinarci ferocemente nelle atmosfere e nei contesti di quegli anni così complessi.