I giornalisti di PeaceReporter
raccontano cinque storie di paesi che lottano per mantenere le loro
risorse all’interno del territorio. Le materie prime servono a produrre
beni e servizi utili alla società ma non sono infinite e nemmeno
equamente distribuite. Per un paradosso, in molti casi, le risorse che
garantiscono gli elevati standard di vita alla parte ricca e pacifica
del mondo di trovano in quella povera e squassata da guerre e conflitti
sociali. Nessuno però, sembra essere disposto a pagare il giusto
prezzo. Guerra alla Terra è un’incursione giornalistica in quelle zone
di conflitto.
Sono guerre per le risorse. Guerre dove la risorsa stessa è il fine
stesso del conflitto, magari celato da altre ragioni. Guerre dove la
natura paga un prezzo troppo alto alla follia di uomini validi.
"Guerra alla Terra" affronta con
Christian Elia il tema dell’acqua nel conflitto Israelo-Palestinese:
"Le mani di Bassam sembrano di cartapesta. La pelle rosolata,
costellata di macchie, come in una vecchia carta geografica. La mappa
di una terra divisa come quella dov’è nato, la Palestina. Bassam
rovista in un vecchio mobile di legno dove ci sono delle fotografie.
Sorride, ne tira fuori una. «Ecco, l’ho trovata », annuncia contento,
oggetto dello sguardo divertito del figlio e di quello dolce della
moglie. «Questo sono io, quando facevo il battelliere sul Giordano»
dice Bassam. «Erano gli anni Cinquanta, portavo i pellegrini in visita
nella mia Palestina. Io musulmano, nella mia barca di legno, con ebrei
e cristiani a raccontare i luoghi della Bibbia,del Corano e della
tradizione ebraica. Non ci trovavo niente di male, anzi. Gesù lo
rispettiamo anche noi sa? E poi gli sono grato, perché ha deciso di
farsi battezzare proprio sul fiume dove io portavo i pellegrini, quindi
mi ha dato di che sfamare i miei figli per anni» dice con un sorriso..."
"Guerra alla Terra" affronta con
Alessandro Grandi il tema del Litio presente in Bolivia:
"Avrebbe tutte le carte in regola per essere uno dei paesi più ricchi
del continente americano, e invece la Bolivia è da sempre il fanalino
di coda delle economie latinoamericane. Gran parte della popolazione,
soprattutto nelle zone rurali, vive con una manciata di dollari al
giorno. E nelle città la gente non se la passa meglio: la mancanza di
lavoro e la massiccia immigrazione giunta dalle campagne hanno reso le
metropoli praticamente invivibili, aride di speranza per il futuro dei
nuovi arrivati.
Lo spietato sfruttamento delle risorse naturali, avvenuto soprattutto
nel corso della seconda metà del Novecento da parte delle grandi
multinazionali straniere è una delle cause della miseria. Grazie alla
complicità di governi compiacenti, le compagnie hanno fatto man bassa
di acqua, gas, legno e terra, lasciando la Bolivia praticamente
sottosviluppata. Ma non solo questa nazione andina ha risentito dello
sfruttamento indiscriminato delle grandi potenze commerciali
mondiali..."
"Guerra alla Terra" affronta con Matteo
Fagotto il tema del petrolio in Nigeria:
"Sono cinquant’anni che facciamo uscire il petrolio dai nostri pozzi
senza vedere un dollaro. L’unica cosa che abbonda qui sono
l’inquinamento e i pestaggi dei poliziotti. Non possiamo più andare
avanti così». Nwanko P., un autista che vive a Port Harcourt a due
passi dagli impianti petroliferi situati nel Delta del fiume Niger,
nella Nigeria meridionale, riassumeva in questo modo, appena due anni
fa, tutta la frustrazione di una popolazione che, finora, dello
sfruttamento petrolifero ha conosciuto solo il lato peggiore.
L’attività estrattiva, che in cinquant’anni ha permesso alla Nigeria di
guadagnare qualcosa come 600 miliardi di dollari, non è andata a
beneficio della popolazione civile, ma ha al contrario favorito la
corruzione, uno sviluppo distorto dell’economia e l’inquinamento
dell’intero Delta, estendendo i suoi effetti anche a livello
politico..."
"Guerra alla Terra" affronta con
Cecilia Strada il tema del territorio strategicamente fondamentale
dell’Afghanistan.
"Sono tanti i ragazzini che saltano in aria sulle mine o su ordigni
inesplosi nelle periferie della capitale afgana mentre portano a
pascolare le loro greggi, alla faccia del paese più libero e sicuro
promesso dagli occidentali nel 2001. Molti kuchi infatti non sono più
nomadi. Sono diventati stanziali e sono rimasti pochissimi quelli che
migrano. D’altronde non avevano molte altre possibilità con la guerra.
I kuchi attraversano l’Afghanistan da nord a sud passando per il
Panjshir, la pianura Shomalì, Kabul e poi giù verso Jalalabad. Ma la
guerra crea sempre problemi ai nomadi, perché taglia le strade con la
linea del fronte, con i combattimenti e con le mine che lascia a terra.
Alla fine moltissimi di loro
hanno deciso di fermarsi a vivere nelle periferie delle città, dove
però non c’è lavoro per tutti, e solo qualcosa alla giornata. Soprav -
vivono come possono, con quattro pecore e un asino. E poi magari
finiscono sopra una mina, insieme ai ragazzini che girano cercando
materiale da rivendere, o qualche cosa da mangiare. Le carovane
colorate di ieri, i disperati fra le macerie di oggi..."