Per un nuovo immaginario ribelle

16 / 9 / 2022

Per due secoli, a partire dalla Rivoluzione francese, l'immaginario collettivo del cambiamento sociale ha ruotato attorno all'ingresso di uomini bianchi armati nei centri del potere statale. La presa della Bastiglia e l'assalto al Palazzo d'Inverno da parte di contingenti armati divennero senso comune ed emblema della rivoluzione possibile e auspicabile.

In tutti i processi rivoluzionari, compresi quelli del Sud del pianeta, l'immagine delle truppe che entrano nei centri di potere ha plasmato l'immaginario di noi che lottiamo per un mondo diverso. A tal punto che rivoluzione divenne sinonimo di presa del potere, con date precise come il 14 luglio in Francia e il 7 novembre in Russia.

Questo immaginario comprende luoghi e date, ma anche uomini in armi che hanno reso possibile l'assalto al potere. Così rivoluzione e guerra divennero sinonimi. Non è mai stato possibile concepire rivoluzioni, cioè cambiamenti completi dell'ordine esistente, il passaggio da un sistema a un altro, senza l'azione armata di eserciti popolari, milizie armate o guerriglie.

Questo senso comune si è esteso nel tempo alle guerre centroamericane, in particolare a quelle in Guatemala e in El Salvador. Pur conoscendo i fallimenti delle rivoluzioni precedenti, che hanno portato rapidamente a regimi autoritari, abbiamo insistito nel proseguire sulla stessa strada nonostante il dolore e la morte, anche se le forze del cambiamento hanno finito per assomigliare troppo alle forze del sistema.

La presa del potere era vista come la "lotta finale", come recita uno dei paragrafi dell'Internazionale che abbiamo cantato con fervore e pugno alzato. L'immagine era quella di un lungo viaggio, tormentato dal dolore e dalla sofferenza, per raggiungere il luogo desiderato, qualcosa come il socialismo o un mondo senza tante oppressioni e sfruttatori.

Questa concezione della rivoluzione ha iniziato a cambiare con la rivolta zapatista del 1° gennaio 1994. I cambiamenti nell'immaginario sono avvenuti gradualmente, man mano che conoscevamo le loro proposte: la formazione di un esercito ribelle guidato dalle comunità organizzate intorno al Comitato Indigeno Rivoluzionario Clandestino, il rifiuto della presa del potere statale come obiettivo centrale della lotta, la costruzione di nuovi mondi negli spazi recuperati, la centralità dell'autonomia dal basso e l'impegno della società civile.

In seguito abbiamo assistito alla nascita dei comuni autonomi, delle giunte di buon governo e dei caracoles, che si sono estesi a più di 40 centri di resistenza zapatista. Il ruolo delle donne fu, fin dall'inizio, molto più rilevante di quanto non fosse stato nei precedenti processi rivoluzionari.

La formazione del Congresso nazionale indigeno, prima, e più recentemente del Concejo Indigena de Gobierno, hanno dimostrato l'impegno a espandere il processo di organizzazione dal basso in tutto il Messico.

Tuttavia, le proposte più recenti, come la candidatura di Marichuy alla presidenza e la decisione di intraprendere una "resistenza civile pacifica", rivelano nuovi orizzonti che, a mio parere, non sono stati recepiti in tutta la loro dimensione da chi, come noi, sostiene lo zapatismo e aderisce persino alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

Trovandomi in Chiapas in questi giorni, avendo parlato con i membri della Giunta di Buon Governo “Nuevo Amanecer en Resistencia y Rebeldía por la Vida y la Humanidad”, nel Caracol 10, con la comunità Nuevo San Gregorio e con vari collettivi a San Cristóbal de las Casas, mi è stato possibile capire qualcosa di più sul percorso che gli zapatisti hanno intrapreso, in particolare sulla lotta pacifica per un mondo nuovo.

Resistere e costruire senza rispondere violentemente alle numerose e gravi provocazioni, spesso molto violente, dei gruppi armati al servizio del governo e del capitalismo, è una decisione che dobbiamo valorizzare in tutta la sua grandezza politica ed etica.

In breve: l'EZLN e le sue basi di appoggio non vogliono rispondere alla guerra con la guerra, perché conoscono bene le esperienze centroamericane e la loro deriva finale, che consiste nella resa e nell'integrazione nel sistema attraverso le elezioni. Il costo di queste guerre è stato pagato dalle popolazioni native e dai contadini. Le cosiddette avanguardie si sono sempre riposizionate in nuovi spazi per continuare la loro lotta per il potere statale.

Andare avanti con una resistenza pacifica e continuare a costruire il nuovo, come stanno facendo le quattro famiglie di Nuevo San Gregorio, richiede un'integrità spirituale ed etica che dovremmo ammirare. Almeno, mi commuove. Non è la stessa cosa combattere quando siamo migliaia ad occupare i grandi viali rispetto a quando siamo un pugno circondato da nemici armati pronti ad allontanarci o ad ucciderci.

Continuare a rispettare gli accordi come fanno le basi di appoggio zapatiste, continuare a essere ciò che sono senza cedere alla tentazione della violenza, è molto più difficile di quanto possiamo immaginare. Per questo credo che dobbiamo prendere molto sul serio la resistenza della base, imparare dalla loro caparbia volontà ed essere solidali con loro.

Articolo originale su desinformemonos, traduzione per Globalproject Claudia González Lobo.