Ha entrate annue che sfiorano il mezzo “triliardo” (quasi 500
miliardi di dollari), superiori alla maggior parte degli Stati-nazione
del pianeta. Le agenzie di rating le danno un voto di solvibilità
superiore al Tesoro degli Stati Uniti. Per gli ultimi 60 anni è stata
quasi sempre la multinazionale con più profitti e con il massimo valore
in Borsa (solo di recente sorpassata da Apple). È soprattutto «un´entità
sovrana indipendente, che tratta gli Stati Uniti da potenza a potenza,
ha la sua politica estera autonoma, e un´organizzazione interna simile a
quella di un grande apparato militare». È la Exxon, la compagnia
petrolifera più grande di tutti i tempi e l´avversaria implacabile delle
riforme ambientaliste. Un colosso capace di esercitare un potere di
veto non solo sui governi del Terzo mondo, non solo sul Congresso di
Washington, ma perfino sulla scienza.
La rivelazione contenuta in una grande inchiesta americana è proprio
questa: il ruolo sistematico del gruppo petrolifero nel falsificare per
anni la scienza sul cambiamento climatico, finanziare ogni sorta di
teorie negazioniste, influenzando l´opinione pubblica e interferendo sul
dibattito politico americano. Con una «doppiezza» clamorosa: al suo
interno, intere task-force di geologi della Exxon studiano come
arricchire la compagnia grazie al cambiamento climatico. I recenti
accordi con Vladimir Putin per lo sfruttamento di giacimenti sotto
l´Artico, sono il primo “dividendo” che la Exxon incassa da quel
riscaldamento ambientale che ha cercato di confutare per anni. Le
rivelazioni sui segreti della Exxon sono contenute nel libro “Private
Empire” (“Impero privato”) che esce in questi giorni negli Stati Uniti.
L´autore, Steve Coll, è una grande firma del giornalismo investigativo,
ha già vinto due premi Pulitzer, tra i suoi libri-inchiesta più
importanti ce n´è uno sul clan dei Bin Laden e uno sulle guerre di
George Bush. È anche presidente della New America Foundation, un think
tank di Washington. Questo libro monumentale (700 pagine) è il frutto di
anni di ricerche, 400 interviste, incluse tra queste anche numerose
fonti interne alla stessa Exxon.
Fra i temi affrontati c´è il ruolo della multinazionale petrolifera nel
sostenere regimi dittatoriali che opprimono i loro popoli, si reggono al
potere con le armi e le violenze di massa. Più volte ong umanitarie
come Human Rights Watch hanno denunciato la Exxon per i legami avuti con
despoti feroci in Indonesia (pre-democrazia), Venezuela, Guinea
equatoriale, Ciad, nonché con la Russia di Putin. In certi casi perfino
la politica estera degli Stati Uniti è stata sabotata dalla «politica
estera della Exxon». Lo stesso George W. Bush, il presidente più amico
dei petrolieri nella storia d´America, nel 2001 sbottò con il premier
indiano: «Nessuno riesce a influenzare le scelte della Exxon». Un caso
limite è quello del Ciad nel 2006, quando il dittatore locale, il
generale Idriss Déby, fu messo sotto pressione dall´Amministrazione Bush
e dalla Banca mondiale perché destinasse almeno una parte della rendita
petrolifera all´istruzione e alle cure mediche per il suo popolo,
anziché all´acquisto di armi. La Exxon «staccò» un assegno di 700
milioni di dollari per Déby, permettendogli così di ignorare Bush e la
Banca mondiale.
Al centro delle rivelazioni di Coll c´è la lunga guerra di Exxon contro
la scienza. Un´operazione condotta per anni in modo segreto, usando come
schermo dei «centri studi» pseudo-indipendenti, potenti agenzie di
lobbying, comitati di azione per il finanziamento dei politici.
Un´offensiva organizzata con metodi pressoché «militari», da parte di
una multinazionale che Coll descrive come «una potenza costruita sulla
segretezza aziendale, severe regole di sicurezza interna equiparabili
alle scatole nere che sono le agenzie di intelligence delle
superpotenze». Il chief executive che ha impresso l´influenza maggiore è
stato Lee Raymond, lui stesso un ingegnere chimico di formazione,
«convinto di avere personalmente le conoscenze sufficienti per giudicare
gli scienziati climatologi». Mezzi pressoché illimitati furono messi al
servizio di una vasta campagna di disinformazione, depistaggio,
denigrazione: con l´obiettivo di promuovere una «contro-scienza», con un
«bacino di esperti alternativi», cioè scienziati negazionisti disposti
ad assecondare gli interessi di Big Oil.
Quella campagna iniziò nel 1993 ma ebbe un´accelerazione e un´escalation
di mezzi a partire dal 1997, in coincidenza con gli Accordi di Kyoto.
Anche altre potenze del petrolio, delle energie fossili,
dell´automobile, si opposero a Kyoto. «Ma la campagna della Exxon – dice
Coll – fu unica per il suo attacco alla scienza. Sia in prima persona,
sia attraverso l´American Petroleum Institute (una Confindustria dei
petrolieri, ndr), cominciarono a finanziare ogni sorta di gruppi e
associazioni neoliberiste, piccoli e grandi, tutti uniti dalla stessa
strategia: sfidare la validità della scienza sul cambiamento climatico,
mettendo in dubbio sia le responsabilità dell´inquinamento industriale
sia l´esistenza stessa di un riscaldamento da CO2». Coll ha raccolto le
prove che «furono usati metodi e tattiche prese in prestito
dall´industria del tabacco quando si adoperò per ritardare la presa di
coscienza dei danni del fumo, in certi casi furono addirittura le stesse
persone o le stesse organizzazioni che passarono da una campagna
all´altra». Nessun altro però ebbe la formidabile efficacia dispiegata
dalla Exxon nel mobilitare una vasta coalizione anti-Kyoto. «Finanziando
generosamente piccoli gruppi di scienziati scettici, spesso privi di
competenze e qualificazioni specifiche, offrendo loro campagne di
comunicazione e relazioni pubbliche, Exxon diede a queste voci un peso
sproporzionato nel dibattito scientifico». Il risultato finale: «Riuscì a
creare l´impressione nei mass media e nell´opinione pubblica che la
comunità scientifica era lacerata da una tremenda controversia, laddove
invece questa controversa era marginale e in via di superamento».
Non solo durante i due mandati presidenziali di Bush, ma anche
nell´Amministrazione Obama il potere di veto della Exxon si è rivelato
insormontabile: impossibile far passare al Congresso la normativa
«cap-and-trade» con cui Obama avrebbe limitato le emissioni carboniche;
impossibile anche abolire i 4 miliardi di sussidi annui che il
contribuente americano versa a Big Oil (come se non bastassero i pingui
profitti delle compagnie). Di fatto, osserva Coll, gli Stati Uniti hanno
tutti gli svantaggi di una «compagnia petrolifera di Stato» che
condiziona prepotentemente le loro decisioni politiche, senza avere su
di lei alcuna influenza: «La stazza di Exxon, il suo ruolo dentro il
sistema politico, la percentuale del Pil che rappresenta, la sua
presenza nel mondo intero la rendono simile a un ente di Stato; salvo
che si oppone ad ogni regolamentazione e controllo sulle sue attività».
La beffa finale, riguardo al cambiamento climatico, è che la Exxon ne
trarrà benefici immensi.
Le sue équipe geologiche hanno studiato da tempo gli effetti del
riscaldamento del pianeta, anticipando di anni che lo scioglimento dei
ghiacci artici avrebbe reso più facile sfruttare quei giacimenti
sottomarini. Ora la Exxon ha potuto annunciare un patto con Putin, che
le apre l´accesso alla zona russa dell´Artico, «e riserve sottomarine
pari a molti miliardi di dollari». Dunque alla fine Exxon si è
«convertita» al cambiamento climatico. Invece nel dibattito elettorale
americano la destra continua a recitare i dogmi impartiti dagli
indottrinatori dei think tank negazionisti: non solo gli estremisti come
Rick Santorum e Newt Gingrich già eliminati dalla gara per la
nomination, ma anche il vincitore Mitt Romney che affronterà Obama a
novembre, continua a ripetere la lezione che la Exxon ha dettato per
anni: «Noi non sappiamo che cosa causa il cambiamento climatico, e
spendere miliardi per ridurre le emissioni di CO2 è sbagliato». In molti
Stati, la destra repubblicana è riuscita a imporre che nelle scuole i
prof debbano presentare una versione «imparziale» sul cambiamento
climatico, dando pari peso alle teorie negazioniste. L´investimento
della Exxon è stato ben remunerato.
Da La Repubblica del 04/05/2012.