Decifrare il movimento degli agricoltori

Conversazione con Morgan Ody, contadina francese

3 / 2 / 2024

Giovedì 31 gennaio la protesta degli agricoltori, che nelle ultime settimane è dilagata in tutta Europa, ha tuonato sotto la sede del Parlamento Europeo a Bruxelles. Quello che è accaduto in Place Luxembourg, al netto dei dati di cronaca e della miriade di contraddizioni che sono in seno a questo “movimento”, è un segnale forte contro le politiche agricole neoliberali che da decenni stanno fortemente penalizzando l’intero segmento sociale della filiera agro-alimentare. A Bruxelles sono giunti anche numerosi trattori provenienti dalla Francia, dove nei giorni precedenti gli agricoltori hanno bloccato le principali autostrade della capitale, le azioni locali si sono moltiplicate e il governo ha annunciato misure per contenere la rabbia. Abbiamo tradotto un’interessante intervista a Morgan Ody, contadina del dipartimento di Morbihan e membro della Confédération Paysanne, pubblicata su Lundimatin. Traduzione di Riccardo Canino.

Recentemente abbiamo visto prefetture ricoperte di letame e date alle fiamme, mutuelles (strutture assicurative n.d.t.) assaltate, camion "stranieri" ribaltati da trattori e i loro prodotti distribuiti ai Restos du Cœur (ndt, associazione francese di mense popolari) o bruciati sull'asfalto. Ci sono appelli per circondare Parigi, altri per ribattezzare l'Eliseo "il Letame": è davvero un casino. Ma dietro a questo caos ce n'è un altro: quali sono le dinamiche o le tendenze contraddittorie di questo vasto movimento, che si spinge fino ad “arare” i parcheggi della grande distribuzione? Quali sono le linee di divisione o di frattura, ad esempio, tra la FNSEA (ndt. Federazione Nazionale dei Sindacati delle Aziende Agricole), il sindacato Giovani Agricoltori, i rappresentanti di vario genere e la Confédération Paysanne? Più precisamente: questo movimento si sta sviluppando in direzione di una "gilet-giallizzazione" relativamente progressista dei contadini e degli impiegati dell'agrobusiness, o al contrario, tende ad accentuare rivendicazioni e acquisizioni in senso reazionario? Puoi delineare le diverse linee che compongono questo movimento?

Allora, alla Confédération Paysanne non affermiamo di avere un'idea chiara sulla direzione che sta prendendo questo movimento. Pensiamo comunque che la storia non sia ancora scritta e in questo somigliamo ai gilet gialli. Quello che è certo è che c'è una legittima rabbia tra i contadini e gli agricoltori riguardo alla questione del basso reddito, rispetto al carico di lavoro e alle difficoltà della vita in generale, allo stress, all'indebitamento, a volte all'isolamento. C'è quindi una rabbia molto legittima, che sentiamo anche noi. Anche se a volte ci sono espressioni di questa rabbia che ci interrogano e ci preoccupano, la base di questa rabbia, la condividiamo anche noi.

Riguardo alla dinamica e alla composizione del movimento, sentiamo un po' due versioni differenti. Alcuni presentano il movimento come qualcosa di piuttosto guidato dalla FNSEA e dai Giovani Agricoltori, altri invece insistono sul fatto che le persone mobilitate agiscano in modo piuttosto autonomo e indipendente, con i sindacati che corrono dietro cercando di canalizzare il movimento. Qual è la tua impressione?

Ne discutiamo molto tra di noi e da quello che vediamo sulle azioni e sui blocchi nelle nostre diverse regioni, c'è un gran numero di persone che non sono sindacalizzate e che scendono in strada a protestare, semplicemente perché ne hanno abbastanza. Inoltre, ci sono anche numerose organizzazioni con rivendicazioni ben precise che cercano di emergere. Quello che ci ha preoccupato molto all'inizio del movimento è stato il tentativo di strumentalizzazione da parte dell'estrema destra, come è successo in Germania. Lì, c'erano chiaramente piccoli gruppi di estrema destra che avanzavano richieste, in particolare contro i migranti. Questo non è affatto successo in Francia, nonostante i network dell'estrema destra che seguivano le proteste tedesche abbiano cercato di introdurre questo aspetto xenofobo. La buona notizia è che ciò non è successo.

Inoltre, in Germania, il movimento è nato da una riduzione dei sussidi al gasolio per gli agricoltori, il che può anche far pensare più ai gilet gialli. In Francia, quando è iniziato, è stato molto legato alle questioni ambientali, nella misura in cui ciò pone la questione di cosa ci rimane come reddito alla fine del mese quando abbiamo pagato tutto.

Inizialmente, la FNSEA ha colto molto bene questo aspetto ambientale e ci si è gettata dentro cercando di trasformare la rabbia in un movimento contro le misure ecologiche. Viste le recenti dichiarazioni del governo, finora sembra aver funzionato piuttosto bene. Ma quello che vediamo alla Confédération Paysanne e parlando con i nostri vicini, è che l’essere stufi deriva soprattutto dal fatto di lavorare enormemente senza nemmeno guadagnare uno stipendio minimo. Quindi non ci lasceremo strappare il movimento da chi vuole strumentalizzarlo contro le misure di transizione ecologica, contro i migranti o altro. Il cuore del problema, il cuore della sofferenza, sono i redditi molto bassi, l'indebitamento, il carico di lavoro e la mancanza di riconoscimento in generale.

Poiché la produzione agricola francese è stata massicciamente assorbita dalla logica agroindustriale negli ultimi decenni, non sembra normale che le rivendicazioni degli agricoltori siano in linea con quelle di questa agroindustria e quindi della FNSEA? E che ci sia quindi una discrepanza con le rivendicazioni della Confédération Paysanne, ad esempio, che difende un modello e una logica contadina piuttosto diversi e opposti.

È ancora più complesso di così, perché i dirigenti della FNSEA sono davvero l'1% contro il 99%. Arnaud Rousseau ne è davvero la caricatura, è un grande industriale dell'agro, estremamente ricco, che possiede 700 o 800 ettari, che non è affatto il caso per il 99% degli aderenti alle FDSEA (ndt, federazioni dipartimentali di sindacati di cui è composta la FNSEA). C'è quindi un divario sempre più grande tra questa piccolissima élite che è molto vicina al governo, che prende decisioni mano nella mano con lui, e le persone, sindacate o meno, sul campo, che siano nei modelli bio o no. Posso prendere l'esempio dei miei vicini, hanno 100 ettari e tuttavia fanno fatica. In Bretagna, ad esempio, quando hai 50 ettari, hai due scelte: o passi al biologico, ma ne valeva la pena 5 anni fa, o compri la fattoria del tuo vicino e prendi 50 ettari e 50 mucche in più per aumentare il volume, lavori notte e giorno e cerchi di rimanere a galla. E l'opzione del biologico diventa anche un vicolo cieco perché abbiamo sempre più difficoltà a vendere i nostri prodotti dalla crisi del Covid e li vendiamo a tariffe molto simili a quelle del circuito convenzionale. Dunque qualunque siano le scelte fatte dagli uni e dagli altri, quando si fa parte del 99% si condivide davvero la stessa disgrazia.

Poi ci sono delle vere domande sui prodotti che usiamo. Nel nostro modello economico di libero scambio, se non usiamo più pesticidi, finiamo per non essere competitivi. E quindi c'è questa falsa scelta: suicidarsi economicamente o suicidarsi con i prodotti che usiamo. Perché, concretamente, sappiamo che usando pesticidi abbiamo molte probabilità di ammalarci. Questo non si dice molto nelle campagne, ma si sa; quando si segue il circuito dei pesticidi, si sa che si ha molta probabilità di morire tra i 55 e i 65 anni.

Ma è perché siamo intrappolati in questa alternativa che alcuni riescono a difendere il glifosato o i mega-bacini. Noi diciamo che l'unica soluzione è uscire dagli accordi di libero scambio e dalla pressione per la competitività globale.

Dal punto di vista mediatico, il movimento si presenta principalmente come una lotta a braccio di ferro contro il governo, ma ci sono anche numerose azioni contro la grande distribuzione...

Sì, è importante capire che dietro agli accordi di libero scambio c'è la questione dei prezzi. I nostri redditi dipendono ovviamente dal prezzo a cui vendiamo i nostri prodotti. Cinque anni fa, Macron aveva fatto annunci sul blocco di questi prezzi che avevano suscitato un certo entusiasmo, compreso presso la Confédération Paysanne; e alla fine abbiamo avuto le leggi Egalim, se non fosse che il governo ha lasciato alle filiere della distribuzione la possibilità di negoziare i costi di produzione e quindi il prezzo che ritenevano di dover pagare agli agricoltori. Quindi sono i grandi gruppi della distribuzione che determinano quanto dovremmo essere pagati, anche se la loro stima dei nostri costi non ha nulla a che fare con la realtà.

Quindi c'è una rabbia nei confronti dell'agroindustria e della grande distribuzione, ma è anche perché lo Stato non ha mai voluto costringerli a fare nulla. Abbiamo un bel controesempio in Spagna, dove ora c'è una legge chiamata "legge sulle catene alimentari" promossa dalle organizzazioni contadine. È una legge che si pone lo stesso obiettivo della Francia: nessuna vendita di prodotti agricoli al di sotto dei costi di produzione, tranne che si danno anche i mezzi per farla rispettare. I costi di produzione sono stabiliti e analizzati da un osservatorio pubblico e si basano quindi sui dati reali dei contadini. C'è anche la possibilità per gli agricoltori di presentare denunce, anche in modo anonimo, contro i loro acquirenti. Ovviamente, questo ha avuto conseguenze positive sui redditi. Per tutti questi motivi adesso ci sono molte mobilitazioni nei supermercati, a cui anche noi partecipiamo, anche perché, di fatto, guadagnano molto denaro alle nostre spalle.

E come vedi la settimana di mobilitazione annunciata?

La Coordination Rurale ha annunciato che si sarebbe recata a Rungis, mentre la FNSEA e i Giovani Agricoltori hanno detto che si sarebbero uniti per bloccare Parigi. Noi non la chiamiamo, perché il discorso che consiste nel dire che bisogna affamare i cittadini affinché ci capiscano e ci paghino, ci sembra completamente inappropriato. Non sono i cittadini il problema, e ci sembra pericoloso voler opporre i bravi lavoratori rurali ai cattivi cittadini urbani disconnessi. Dal nostro lato, continueremo a mobilitarci questa settimana in tutta la Francia e giovedì andremo a Bruxelles perché c'è un consiglio europeo straordinario in corso e pensiamo che sia lì che vengono prese le decisioni. In particolare le decisioni sugli accordi di libero scambio, sulle questioni di regolamentazione dei mercati e sulla distribuzione dei fondi della PAC. Non siamo anti-europei, anzi, ci organizziamo a livello europeo con spagnoli, belgi, tedeschi, ecc. ma dato che è l'Europa che sta seguendo una politica neoliberale e de-regolamenta i mercati a vantaggio dell'agroindustria, riteniamo che sia lì che dobbiamo andare per migliorare la nostra situazione.

Alcuni giorni fa, una cinquantina di collettivi e organizzazioni ambientaliste hanno firmato un articolo chiamando a unirsi al movimento degli agricoltori per cercare di scongiurare l'opposizione messa in scena tra "ecologisti urbani disconnessi" e agricoltori rurali fan dei pesticidi. Secondo te, come si pongono le questioni ambientali nei contesti agricoli?

Penso che non siamo più stupidi degli altri. Tutti si rendono conto che c'è un vero problema ambientale, c'è una vera crisi climatica e una vera crisi di biodiversità. Tanto più in quanto contadini, siamo in posizione di mediatori con la natura, quindi ci rendiamo conto molto bene di tutto ciò. Ma come ho spiegato prima, per alcuni colleghi, ciò li mette in una situazione di impossibilità economica. Produrre in modo più ecologico costa di più e quindi nell'ambito di un mercato aperto, siamo meno competitivi e non ne abbiamo i mezzi. Gli agricoltori si trovano quindi intrappolati in una richiesta contraddittoria e impossibile; e come si dice "è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo". Di conseguenza, bisogna ovviamente muoversi sulle questioni ambientali ed è quello che cerchiamo di spingere con la Confédération Paysanne.

Le sfide sono immense, quindi bisogna farlo, ma ciò richiede di cambiare le regole e i precetti economici. Ciò non significa necessariamente che i prodotti saranno più cari per i consumatori, ma che i margini degli altri attori saranno rivalutati. Bisogna capire che nel prezzo di un prodotto, il 15% va all'agricoltore e l'85% rimanente viene distribuito tra gli altri attori, il trasporto, la trasformazione, ecc. Alcuni di questi margini sono giustificati, ma altri vanno a attori che si ingrassano. Quindi, se vogliamo che gli agricoltori possano essere pagati correttamente pur producendo in armonia con la natura e senza che il prezzo si riversi sul consumatore, ciò implica l’utilizzo di strumenti che conosciamo molto bene, come i prezzi minimi e la gestione dell'offerta, che permettono di non sovra-produrre o sotto-produrre.

L'ultimo strumento più importante sono le scorte pubbliche. Se re-introducessimo scorte pubbliche nei nostri paesi, ciò consentirebbe di stabilizzare i mercati e di ostacolare i movimenti di speculazione. Ti darò un esempio: all'inizio della guerra in Ucraina, è successa una cosa completamente folle. Ci hanno venduto, nei media, il rischio di una carestia per via della carenza di grano ucraino, ecc. In pochi mesi, i prezzi dei prodotti agricoli sono raddoppiati, anche se non c'era in realtà alcun problema di produzione, e ottimi raccolti ovunque. Tuttavia, le conseguenze di questa speculazione hanno creato situazioni reali di carestia in alcuni paesi fortemente dipendenti dalle importazioni di cereali, come alcuni paesi del Maghreb o come lo Sri Lanka. E questo, non perché mancasse grano a livello mondiale, la produzione era in eccesso, ma perché i loro prezzi erano aumentati così tanto che non erano più accessibili alle persone. Ora, quando i paesi sono dotati di vere scorte pubbliche, gli Stati possono regolare il mercato: iniettare produzione quando i prezzi stanno salendo, oppure comprarla quando i prezzi stanno scendendo. Questo consente di stabilizzare le scorte e il mercato. In Francia abbiamo scorte ma non sono pubbliche, sono private e quindi giocano il gioco della speculazione: quando i prezzi scendono, scendono, quando salgono, salgono.

Quindi c'è un interesse comune tra i contadini e la popolazione nell’avere una politica pubblica che regoli il mercato e vieti la speculazione. Ovviamente, i settori finanziari e i grossi cerealicoltori che fanno tale speculazione, loro non hanno affatto lo stesso interesse. E qui torniamo a quello che dicevo sull’1% e sulla piccola cerchia di squali che si ingrassano molto molto alle spalle della popolazione e degli agricoltori. L'inflazione dei prezzi alimentari per gli uni, i redditi da fame per gli altri, quindi ci facciamo tutti fregare…