Brasile, welcome to the jungle

Intervista a Jota Mombaça, attivista intersezionale, performer e ricercatore. Originario di Natal/RN nel Nord del Brasile

29 / 6 / 2016

Nel giugno 2013 il Brasile, in seguito alle proteste che hanno animato le strade di quasi tutte le città del Paese, ha avuto l'attenzione di tutto il mondo. Proteste che, iniziate a causa di un aumento considerevole del costo del trasporto pubblico, si sono trasformate in lotte per una rivendicazione diffusa di democrazia e diritti, contro gli sgomberi e la speculazione edilizia in atto per la Coppa del Mondo, per rivendicare giustizia ed eguaglianza sociale. Manifestazioni duramente represse dalla polizia.
Nel giugno 2014 si è svolta la Coppa, le proteste si sono affievolite e sono state marginalizzate nelle periferie.
Nell'ottobre 2014 Dilma Rousseff vince nuovamente le elezioni. Il programma di costruzione di eguaglianza sociale si infrange sull'imposizione di politiche di austerità. Lo spazio dell'indignazione viene "occupato" da partiti e "movimenti populisti" di destra che ottengono l'impeachment di Dilma. Un obiettivo raggiunto per "via democratica" ma che in molti, tra i cittadini e gli attivisti dei diversi movimenti per i diritti civili, non hanno remore a definire "golpe". Vi proponiamo qui di seguito l'intervista a Jota Mombaça (Natal/RN) - performer, ricercatore di Studi Sociali e attivista intersezionale - svoltasi a Beijing durante la residenza del progetto Transnational Dialogues [euroalter]. A cura di Gaia Alberti, della redazione di Global Project. [foto copertina di Yanna Medeiros]

Qual'è la situazione post impeachment e che tipo di politiche - e di governo - sta attuando Temer in questi 180 giorni che ha a disposizione?

È una domanda complessa, perchè Michel Temer è in carica da poco più di un mese. Quello che posso dire è che dal momento in cui ha assunto la carica di Presidente ha rimescolato completamente i Ministeri e tutte le politiche del paese. Ha chiuso il Ministero dedicato alle donne e ai diritti umani, il Ministero della Cultura. Ha scelto un team di ministri uomini, bianchi e spesso legati alle lobbies. Ha invitato uno psicopatico a divenire Ministro della Giustizia (Alexandre de Moraes) che ha spostato tutti i fondi destinati alle politiche di uguaglianza e diritti umani verso la “nuova agenda presidenziale”. Ha promulgato molte misure di austerity. Ci sono stati diversi “passi indietro” rispetto alle conquiste ottenute durante il governo del Partido dos Trabalhadores.

Ma, allo stesso tempo, siamo in una situazione molto difficile perché anche il PT non può definirsi una “buona opzione”. Durante le elezioni del 2014, la campagna di Dilma è stata basata totalmente sulla costruzione dell’opposizione del PT alla destra neoliberale, descritta come un mostro e il PT come il “meno peggio” – della serie “per favore scegliete noi, perché la destra è il diavolo, e noi un po’ meno".
La popolazione doveva scegliere tra queste due opzioni e la situazione diventò insostenibile. Non ci si poteva accontentare dell’opzione meno peggio. Era intollerabile. È in corso una grossa crisi della rappresentanza, non abbiamo buone opzioni di fronte in questo momento. Questa è la mia sensazione.

Quando Temer è divenuto presidente, c'è stata una parte dei movimenti che ha cercato di riorganizzare la sinistra rimettendo il PT al centro ancora una volta. Lula e altri esponenti stanno cercando di riorganizzare la discesa nelle piazze, di ridare un protagonismo ai movimenti di sinistra. Stanno tentando questa operazione gli stessi che durante il governo del PT avevano represso le proteste, applicato molte politiche di austerity etc. In quel periodo diversi diritti sono stati perduti, altri sono stati tolti dall'agenda politica, ad esempio rispetto al popolo lgbtq. Ci sono state molte contraddizioni durante questo governo. Hanno provato, stanno provando, a rimettersi al centro dei movimenti di sinistra.
Questo per me è molto pericoloso, perché questa dimensione di non avere altre opzioni, e la dimensione di contrapposizione tradizionale tra sinistra e destra non può essere in grado di operare il cambiamento.

Dal 2013 in poi la crisi della rappresentanza tradizionale si è esplicitata fortemente, come ci hai già spiegato. Come si percepisce possa avvenire un cambiamento, nel momento in cui c'è disillusione rispetto alle urne, ma anche rispetto alle piazze?

Non ci sono grosse proteste e manifestazioni nelle strade, che si circoscrivono in poche città – a volte anche nelle piccole. Le proteste a cui io ho preso parte sono molto egemonizzate dai movimenti di sinistra istituzionali. Per cui c'è una sorta di controllo interno in merito a quello che si può fare durante le manifestazioni, a quello che si può indossare o dire o rivendicare.

Io sono via da due settimane e sono curioso di vedere se è cambiato qualcosa. Recentemente ho visto delle proteste a Sao Paulo.
Il fatto è che non so rispondere in merito a che cosa potrà accadere ai movimenti di sinistra, perché io non so se riusciranno a rendere nuovamente forte il sentimento che ha portato tanta gente nelle strade nel 2013.

Prima del 2013 noi avevamo una storia di movimenti che si riversavano nelle strade, con molte differenze tra loro. È stato un processo estremamente interessante. Erano molteplici le differenze tra chi scendeva nelle piazze in quel periodo. Erano qualche migliaio nelle strade a Natal - dove abito - nel 2011, poi il movimento ha continuato a crescere e nel 2013 erano decine di migliaia a protestare.

C’è stato poi un processo di “omogeneizzazione” delle lotte. Cos’è accaduto? Nel 2013 i media hanno iniziato ad accorgersi e a rappresentare le proteste, ed è stato importante, ma allo stesso tempo molte persone senza un background “politico” hanno riempito le strade, portando il piano del discorso in una direzione nazionalista. Contro la corruzione, utilizzando i colori nazionali [magliette gialle], iniziando a rendere più omogenea la composizione e la rivendicazione, che ha iniziato a spostarsi verso destra. Anche nelle pratiche. Non si potevano più compiere atti come le barricate, il fuoco, la rottura di vetrine. Ci si scontrava nelle piazze internamente alle proteste e la narrazione mediatica dava risalto a questa divisione tra “buoni” e “cattivi". Poi arrivarono i Mondiali, la polizia represse duramente tutte le manifestazioni. I movimenti radicali non potevano proseguire le proteste. Ci sono stati moltissimi arresti e allo stesso tempo il “movimento giallo/verde” (i cosiddetti buoni), ha usato lo spirito nazionalista intorno alla Coppa del Mondo per crescere ulteriormente e occupare il vuoto post repressione. Sono tornati nelle strade con grosse proteste contro la corruzione, contro Dilma, contro tutto. E in risposta a questa spinta nazionalista giallo/verde la sinistra è divenuta anch’essa omogenea, ha iniziato a usare il rosso [colore del PT] e ha scendere in piazza per combattere la destra. Con molta violenza tra le parti. Ma allo stesso tempo i movimenti di destra e sinistra hanno scelto di creare una situazione di bipolarità di correnti omogenee. Di annullare e controllare le diversità. Ci sono molti attivisti radicali che non sanno cosa fare, ora come ora, perché il contesto politico in cui sono inseriti non può far crescere altre istanze oltre alla resistenza del PT contro Temer.

Come descrivevi nelle precedenti risposte, Dilma non può essere "salvata" politicamente. L'impeachment è stato di fatto un "golpe democratico", ma le politiche di austerity e speculative del PT non possono essere dimenticate da chi vive quotidianamente le diseguaglianze e la povertà. Si può dire che in tutto il Latino America ci sia stata una sorta di "risveglio violento" dalle promesse di una società migliore che promulgavano i governi di sinistra? Una doccia fredda che porta con sé liberalismo selvaggio, capitalismo estrattivo e speculazione?

Penso che per rispondere a questa domanda sia importante ricordare che noi siamo una democrazia giovane. La maggior parte dei paesi dell’America Latina ha subito le dittature fino a qualche decennio fa. E abbiamo una grossa storia di colonizzazione. Credo che possiamo pensare a quello che sta succedendo ora come una sorta di continuità di processi storici, che si basa sulla legittimazione dell’utilizzo della violenza contro la popolazione.

Noi viviamo in un contesto estremamente violento. Il Brasile è estremamente violento. Moltissimi muoiono ogni giorno, moltissimi neri, moltissimi trans. E noi non possiamo dimenticare questo, perché è parte della nostra storia passata e presente. E questo accadeva anche durante il governo del PT: le stesse persone che morivano durante la dittatura morivano anche durante il governo della sinistra.

Con questo non voglio sminuire la violenza contro gli attivisti arrestati, torturati e uccisi durante la dittatura. Ma quando si parla della resistenza alla dittatura, nella maggior parte delle occasioni, significa parlare di un ceto medio di sinistra. Studenti universitari con un background estremamente specifico che sono diventati attivisti e hanno sofferto molto durante la dittatura. Non voglio ignorare questo fatto.

Ma allo stesso tempo morivano molti indios. Sono stati un obiettivo della dittatura. E questo ha continuato a succedere anche con l’avvento della democrazia. Durante il governo neoliberale di Cardoso gli indios sono stati uccisi, durante il governo PT/Lula/Dilma sono stati uccisi ancora. E lo stesso è successo nella maggior parte dei paesi del Latinoamerica. Noi abbiamo molti gruppi, molte persone, che formano la società, che sono stati continuamente assassinati e attaccati dai governi e dalle politiche governative. Per cui noi non abbiamo mai sentito realmente parlare di “promesse”.

Ok, in Brasile c'è stata un'implementazione di diritti e di welfare, la crescita economica ha portato nuove opportunità e politiche pubbliche hanno permesso un allargamento dell’accesso agli studi, anche universitari - ma allo stesso tempo ogni giorno venivano uccise più di dieci persone nelle favelas. Pochi giorni fa un bambino di 10 anni è stato sparato alla testa.

Quello che sta succedendo in Messico ora, con la protesta dei maestri, è inserito in un contesto estremamente violento. Uno o due anni fa in Brasile, a Paraná, i maestri hanno messo in campo proteste simili, e sono stati duramente repressi. Credo che non sia un “risveglio violento”, ma viviamo l’esperienza dell’attualizzazione del collasso del colonialismo. Le stesse persone che morivano durante il colonialismo, la dittatura continuano a morire ora. Le persone nelle favelas sono in maggioranza nere, eredi di coloro che hanno subito la schiavitù. Questa è stata abolita, ma si soffre ancora e chi era schiavo è divenuto povero o marginalizzato.
Macri in Argentina, che è formalmente fascista, ha preso la presidenza attraverso elezioni. In Brasile c’è stato un golpe, molti servizi giornalistici mostrano come Temer - o Moraes - non vincerebbero in caso di elezioni.
Viviamo un momento in cui le cose peggiorano giorno dopo giorno. Durante il processo che ha portato all’impeachment, gli attivisti PT esprimevano sofferenza per la violenza che subivano in quanto tali. I neri e gli indios non potevano che rispondere “ok, welcome to the jungle. Noi siamo qui, facciamo le cose assieme ma dovete realizzare che quello che vi sta accadendo ora accade ogni giorno – anche durante il vostro governo – a migliaia di brasiliani”.

Le cose peggiorano, ma la situazione è anche ambigua, perché certo, c’è una crescita del fascismo. La vediamo anche attraverso la crescita e la visibilità concessa al fondamentalismo religioso. Durante il voto pro impeachment uno dei rappresentanti dei conservatori alla Camera ha dedicato il proprio voto a Ustra, uno dei torturatori di Dilma durante la dittatura.

Possiamo vederla questa crescita, ed è assurda. Ma allo stesso tempo è interessante perché ci sono molte persone che stavano “dormendo” e non realizzavano la portata di questa violenza e la sua crescita.

Per cui questa realizzazione può essere utile per la crescita e l’affermazione di processi di resistenza, ma deve essere anche inserita e contestualizzata con la nostra storia. Non possiamo dimenticare il colonialismo, la schiavitù, la dittatura. Non dobbiamo dimenticarla, perché molti sono ancora ciechi sulle motivazioni che hanno portato a questo stato di cose. Sul perché sono morti in cosi tanti. E queste sono ancora domande valide.

Io so che la polizia è violenta ovunque, durante le proteste per fermare i movimenti. So che molte persone sono morte nelle proteste in altri paesi, anche in quelli europei. Lo so e non lo nego. Ma allo stesso momento c’è una cultura di omicidi di massa qui che è estremamente spaventosa. Perché in altri paesi c’è uno shock di fronte a fatti che qui vengono letti e narrati come normalità. Un esempio: qualche tempo fa un gruppo di 5 ragazzi festeggiava il primo stipendio di uno di loro, durante la serata la polizia gli ha sparato 111 volte, mettendo poi la pistola nella loro macchina per costruirsi un alibi. Prima ti dicevo del bambino di 10 anni, la polizia ha raccontato che aveva rubato una macchina e la guidava sparando contro di loro. Abbiamo e viviamo questo tipo di violenza che è estremamente spaventosa, perché è strutturata, è stata "naturalizzata". Non viene letta e vista come violenza politica, che si determina solo contro i movimenti e gli attivisti, ma come violenza endemica e strutturale alla società. Lo stesso capita nei confronti della violenza contro le donne trans o contro la popolazione india, che viene derubricata come strutturale alla società. Anche dagli stessi movimenti della sinistra tradizionale.

Nelle regioni dei Guarani del Mato Grosso do Sul una decina di leader degli indios sono attualmente desaparecidos. Nessuno è stato arrestato, non ci sono notizie in merito a cosa sia loro successo. Quando i media hanno riportato la notizia di queste scomparse hanno parlato di un conflitto. Ma non è un conflitto, perché se hai da una parte latifondisti super armati e ricchi e dall’altra indios che non hanno le stesse risorse non puoi dire di avere un conflitto, hai un genocidio. Questo accade tutti i giorni ed è molto difficile.

In qualche modo la ricerca di omogeneizzazione è un modo di rifare gli stessi errori, da parte dei movimenti tradizionali di sinistra. Non leggere le differenze, i diversi contesti e posizionamenti nella società come arricchimento delle lotte...

Per questo processo noi dobbiamo realizzare che i movimenti tradizionali di sinistra non sono al centro delle proteste politiche, ora come ora. Perché se realizziamo che le donne trans, i neri e gli indios – solo per fare qualche esempio – sono ogni giorno faccia a faccia con la violenza e che ogni giorno resistono contro questa, possiamo vedere che ci sono molte lotte in campo e che queste lotte sono di sinistra.

Sono lotte contro il razzismo, contro il fascismo, per i diritti. Sono lotte contro il capitalismo. Sono lotte che hanno lo stesso terreno comune al discorso di sinistra. Magari non hanno lo stesso background, o lo stesso approccio. Magari non usano Marx come interpretazione dello sfruttamento, ma allo stesso tempo sono davvero importanti. Forse se i movimenti di sinistra fermassero questo processo di omogeneizzazione che hanno messo in campo e vedessero la forza delle differenti lotte sarebbe un cambiamento davvero importante. Si dovrebbe imparare dagli errori del 2013 e anche disimparare qualcosa che è davvero comune nei movimenti di sinistra. Certo che ora abbiamo davvero bisogno di tante persone nelle strade. Ma ci sono molte lotte sparse in tutto il paese, azioni più piccole che accadono tutti i giorni. È importante avere grandi momenti di conflittualità e riot - e io sono speranzoso e credo in questa necessità – però questi sono anche più facili da cooptare rispetto alla narrazione mediatica che ne viene fatta. È una trappola, come lo è stato nel 2013. E non lo si è capito. Ora ci scontriamo con grosse difficoltà nell’organizzarci. Perché non crediamo che le cose possano partire da piccoli gruppi, non vediamo le quotidiane resistenze messe in campo. Che iniziano qualcosa. Come le proteste nelle favelas quando qualcuno viene ucciso. Si costruiscono barricate, si bloccano le strade. Se iniziamo a imparare quello che possiamo fare in più gruppi connessi tra loro, se riusciamo a realizzare questa convergenza tra differenze, diverse pratiche diverse prospettive, con un unico nemico sarebbe davvero importante. Non credo che possiamo permetterci di aspettare le grandi assemblee, dobbiamo ricostruire nuove pratiche ora, ripensare la strategia. Imparare e disimparare dal 2013. Sono spaventato dal ripetere le stesse strategie, dall’essere cooptato ancora una volta alla medesima maniera.

In questo ultimo mese abbiamo potuto leggere sui media main stream un'attenzione ai movimenti femministi e contro la violenza sulle donne, nonché grandi manifestazioni del popolo lgbtqi. Quali sono le rivendicazioni e la situazione di questi movimenti in Brasile, soprattutto ora con la crescita della destra conservatrice e un governo di uomini bianchi?

Come dicevo prima credo che sia un focus molto importante e interessante. Non ci sono stati grossi cambiamenti in merito ai diritti lgbtq o delle donne. Qualche cosa e cambiata, ma la violenza non si e mai estinta, è sempre sopravvissuta. All’inizio dell’era Lula il movimento di sinistra era “ok, ora abbiamo il nostro presidente, stiamo bene”, lo stesso non è accaduto nei movimenti femministi e lgbtq. Così abbiamo iniziato a “svegliarci”, allo stesso modo del movimento dei neri. Abbiamo iniziato a riconoscerci, a leggere cos’era capitato e cambiato negli anni, siamo rimasti nelle lotte, abbiamo continuato a lottare per pretendere diritti. Non abbiamo avuto l’opportunità di fermarci e rilassarci.
La maggior parte della repressione, estremamente violenta, ha fermato le proteste radicali, o le ha fatte divenire “rosse” e omogenee. Ma i movimenti femministi e lgbtq hanno continuato la loro strada, e ci sono molte lotte all’interno, perché sono portatori di molte differenze. Ma hanno seguito la loro strada, non si sono fermati dal fare politica, dall’essere attivisti. E si sono radicalizzati. Abbiamo avuto azioni molto radicali da parte di questi movimenti, contro le politiche governative. Azioni radicali che avvenivano mentre la “sinistra” era troppo spaventata a scendere nelle strade. Allo stesso tempo c’è stato un processo molto interessante quando questo movimento ha iniziato a portare le sue domande e rivendicazioni nello spazio pubblico e della politica istituzionale. Hanno iniziato a combattere contro Eduardo Cunha, presidente della Camera, perché è un idiota sessista. Per cui hanno portato e indirizzato le proteste anche contro il Governo. Hanno iniziato ad attaccare il governo portando le rivendicazioni della sinistra tradizionale ma attraverso una prospettiva femminista, queer, transfemminista e nera.

Per cui è un processo estremamente interessante, e credo che ora viviamo in un contesto in cui queste soggettività sono protagoniste della sinistra, possono esserlo. Dobbiamo guardare a un rinnovo del modo di fare politica e delle idee stesse della politica.
Recentemente c’è stato un momento di grande commozione intorno allo stupro di una ragazzina da parte di oltre 30 uomini. Un momento di protesta, una campagna contro la cultura dello stupro, che è stata coperta anche dai media main stream. Ma ci sono anche delle figure pubbliche, uomini religiosi, che hanno ampio spazio sui media [Max Feliciano, Jair Bolsonaro] che sono i fascisti più “visibili” al momento in Brasile, estremamente pericolosi. Quest'ultimo non ha nessuna remora a parlare pubblicamente di morte di coloro che considera “diversi”.
Il movimento è cresciuto e ci sono state molte proteste ma anche molti “passi indietro” nella società, Bolsonaro è stato il più votato a Rio de Janeiro. Per cui la presenza di questo fondamentalismo è molto pressante, ma abbiamo anche sviluppato, come lgbtq e femministe, un’intelligenza per colpire queste posizioni e per attraversare questo momento, senza arrenderci. Vogliamo cambiare le cose, e sappiamo che abbiamo la necessità di far sopravvivere e crescere le nostre idee. La cosa più interessante è che credo che non possiamo essere fermati. Credo che la sinistra tradizionale abbia molto da imparare da questi movimenti.