Tumulti e fortuna

La strategia dei movimenti non passa per le alchimie parlamentari

31 / 1 / 2011

A differenza dai fantasmi femminili evocati nel meschino erotismo di Piero Ostellino, Berlusconi alias Cavalier Pompetta non sta seduto sulla propria fortuna ma sul culo flaccido di cui alle intercettazioni telefoniche della Minetti, laureata con lode e di madrelingua inglese al dire del suddetto culo flaccido. Infatti la sua rabbiosa difesa mediatica coincide con la completa paralisi del governo e del PdL, dunque con un fallimento della destra italiana che forse prelude a un ricambio casiniano ma al momento, in assenza di un’alternativa parlamentare, lascia sprofondare l’intera Italia nelle sabbie mobili. Fa ridere la brava Rosy Bindi quando svicola sul nome del leader di una coalizione elettorale di opposizione affermando che importante è il programma e non la personalizzazione del candidato. Fa ridere 1) perché la “sinistra”, appunto, un programma non ce l’ha, 2) perché la personalizzazione della leadership era stata ricopiata con entusiasmo dal Pd (Veltroni al Lingotto, do you remember?), perché il candidato c’è ed è inevitabilmente Casini, a ulteriore frammentazione del Pd. Fa ridere perché, mentre la maggioranza si decompone e le istituzioni vanno in pezzi, il Pd inscena la cammurriata delle primarie napoletane in cui tutti si sbranano a vicenda, concordi solo nell’ignorare le grida di Bersani. E sorvoliamo, per carità di opposizione, sul non richiesto e non ripagato sostegno a Marchionne, che replica (tragicamente per gli operai) la burlesca candidatura veltroniana al transfuga Calearo.

Ma torniamo al Premier che, dopo aver irresponsabilmente (dal punto di vista dei suoi interessi) spinto alle elezioni anticipate, si è adesso accorto che sarebbero un disastro per lui (oltre che per l’Italia, ma di questo non gliene può fregare di meno) e quindi frena disperatamente, mentre i suoi avversari fingono di sollecitarle –puntando in realtà al ribaltone centrista. Da notare che anche Bossi invoca le urne, ma si guarda bene dal fare l’unico passo per ottenerle subito, cioè ritirare l’appoggio al Governo. Tutti in stand by, al punto tale che nella predica domenicale su Repubblica Scalfari evoca, con una qualche avventatezza, un golpe presidenziale per sciogliere le Camere senza che al Governo sia venuta meno la fiducia, garantita in eterno dall’acquisto dei parlamentari “responsabili” e dalla moltiplicazione di ministri e sottosegretari. Tutto il gioco si svolge come se il mondo si esaurisse fra i festini di Arcore e il cipiglio della procura di Milano, come se l’unico effetto degli eventi mediterranei fosse il rinvio della vacanze a Djerba o Sharm el Sheik e non una brusca accelerazione della crisi economica e forse il risveglio di venti di guerra in Medio Oriente.

Che si tratti di un balletto lo conferma il sistema dei veti incrociati. D’Alema propone con gran baccano elezioni subito e un’alleanza costituente che vada da Fini a Vendola, ma il cui obbiettivo reale è staccare Sel e IdV dal Pd e far saltare le primarie con relativa irruzione di Vendola. Di Pietro applaude la consultazione immediata, ma rifiuta l’apertura sino al Fli. Vendola non ci sta a fare la ruota di scorta e d’altronde incasserebbe subito il veto di Casini e Rutelli. Il Terzo Polo, approfittando delle lacerazioni del Pd, si dirà interessatissimo ma ripiegherà sulla presentazione autonoma, perché in tal modo prenderebbe più voti dai moderati e del resto mira a rendere ingovernabile il Paese conquistando il Senato piuttosto che il premio di maggioranza alla Camera e così imponendo Casini come unico Premier mediatore possibile. Intanto Pisanu (Premier mediatore più accreditato prima che dopo eventuali consultazioni anticipate) si scalda in panchina, pronto a far mancare la maggioranza senatoriale a Berlusconi, se si sottrarrà ai giudici. In tal caso sarebbe possibile un governo-ponte fra la caduta del Faraone e il ricorso alle urne.

Sembra che tutti accettino una logica che non smuova le acque e si limiti a spostare il problema da una formula all’altra di governo, sottovalutando fra l’altro gli sconvolgimenti derivanti dalla destituzione di Berlusconi, che non sarebbero fronteggiabili con operazioni di Grande Centro o di Cln costituzionale ma implicherebbero momenti anche aspri di scontro sociale. Dunque un “realismo” pochissimo realista, un pragmatismo disarmato rispetto al feroce istinto di conservazione berlusconiano. Non pare che il ricambio sulle altre sponde del Mediterraneo si svolga in tal modo. L’utilizzatore finale delle olgettine non sarà sfrattato così facilmente come le medesime dal residence di v. Olgettina, Milano Due.

Su piccola scala il 14 e il 22 dicembre hanno testimoniato come una minoranza studentesca e precaria ha saputo rendersi visibile e far valere le proprie ragioni senza nessuna sponda parlamentare. Pomigliano e Mirafiori hanno mostrato come una minoranza metalmeccanica, violentemente osteggiata dal Pd (per non parlare della Confindustria, del Governo, di Cisl e Uil), inizialmente contrastata anche dalla Cgil, si è difesa da Marchionne ed è passata al contrattacco fino al grande sciopero Fiom del 28 gennaio. Il meeting a Marghera di Uniti contro la crisi ha segnato la confluenza di queste insorgenze operaie e precarie su un terreno comune, che ha rilanciato con forza la richiesta dello sciopero generale. Occorre lavorare su tale terreno tumultuario, per certi aspetti così affine agli eventi di Tunisia ed Egitto, più che sulle alchimie parlamentari e i calcoli elettorali. Affine per la comune riconducibilità agli effetti della crisi in generale e della crisi del capitalismo cognitivo nello specifico (basti pensare al ruolo della disoccupazione giovanile e in particolare dei laureati in tutto il Nord Africa), affine per la perdita di controllo dei partiti di opposizione sui movimenti, dovuta al collasso delle strutture tradizionali (Italia) o al mancato impianto causa repressione (Maghreb, Egitto). Affine per il patetico tentativo di discredito tentato con le accuse di contiguità al terrorismo brigatista (Italia) o fondamentalista (Maghreb, Egitto, Giordania, Yemen, Hezbollah libanesi).

Con il che non vogliamo andare oltre alla constatazione di una comune aria di famiglia. Ci sono molte differenze e per avviare un discorso comune, senza metterci il cappello sopra, dovremmo innanzi tutto sviluppare un livello più consistente di integrazione con i movimenti studenteschi e le lotte del precariato su scala europea, anzi e prima ancora contaminare con lo sciopero generale le vertenze operaie e precarie occupando tutta la scena italiana. Ma la strada è quella e non altra. E la rapidità con cui si diffondono i tumulti fa sperare che un percorso intricato non sia di necessità anche lento e interminabile. Quel culo flaccido non farà la fortuna di nessuno, né a destra né al centro. E neppure il maglione di Marchionne.