Sarte di scena: donne tra pregiudizio e precariato. La storia sbagliata della Fenice

16 / 7 / 2021

Le mille fragilità delle lavoratrici e dei lavoratori dello Spettacolo sono emerse nella loro crudezza durante la Pandemia: essa ha portato i nodi al pettine, mostrando tutte le ingiustizie contrattuali, le differenze di trattamento, le prevaricazioni sociali che caratterizzano questo comparto.

Una tra tutte è il “contratto intermittente”. È considerato la normalità nello Spettacolo e non garantisce alcuna tutela: a differenza dei contratti a tempo determinato, infatti,  l'intermittenza non offre malattia né ammortizzatori sociali. Inoltre, nello Spettacolo, l'intermittenza non è soggetta ai limiti che ha negli altri settori (cioè massimo 400 giornate in 3 anni). Dunque è un'ingiustizia “formalmente corretta” e senza limite. E non la subisce chi sta in alto -in alto hanno fior di contratti- ma solo chi sta in basso, come da sempre accade per ogni iniquità.

Andiamo con ordine:

Ogni spettacolo esibisce per prima cosa scenografie e costumi. Sono il biglietto da visita, il colpo d'occhio, e caratterizzano l'esibizione dal punto di vista stilistico.
Le persone che creano con le loro mani questi oggetti sono artigiane ed artigiani importantissimi per l'ecosistema teatrale: tutto quello che sta in scena risponde ad esigenze precise ed è fatto su misura per soddisfare le necessità della Regia e degli Interpreti. Si tratta di personale altamente specializzato che lavora in condizioni estreme. Dalla creazione all'esibizione tutto è una macchina complessissima e delicata: non si può sbagliare.

Il personale di Sartoria è principalmente composto da donne. Vivono ogni singola problematica sociale e di genere applicata al mondo del lavoro. Tutte quelle che si possono immaginare, compresi  gli stereotipi sul mestiere della Sarta che si ripercuotono sulla vita reale.

Pensateci: nel linguaggio comune, la sarta è diversa dal sarto. La sarta, la sartina, è tutto il giorno alla macchina da cucire. Il sarto invece crea, disegna, taglia, misura i ricchi clienti col metro.

Non esiste il sartino. Bene, il lavoro della Sarta di Scena è così.

Cosa succede:

C'è una Fondazione molto nota, che sta in una città molto nota, in una Regione blasonata. Si chiama La Fenice di Venezia, ed è questa Fondazione a dirigere l'omonimo Teatro, uno dei luoghi cardine della Storia culturale nostro Paese.

Questo Teatro meraviglioso dà lavoro a tantissime persone.

Alcune di queste recentemente hanno però deciso di rifiutare il lavoro offerto e hanno preferito rimanere senza reddito, perché le condizioni proposte dalla Direzione del personale non possono più essere sopportate, come non possono essere sopportate le motivazioni che le giustificano, specie oggi.

Indovinate chi stiamo parlando: delle sarte di scena

Si parla di due spettacoli: Rinaldo di Haendel (dal capolavoro di Tasso La Gerusalemme Liberata) e Rigoletto del grandissimo Giuseppe Verdi che sicuramente soffrirebbe se sapesse di questa storia.

Vengono proposti due mesi di lavoro intermittente.

Le Sarte rispondono che l'intermittenza non la accettano più, perché è un regime ingiusto e umiliante: vogliono il diritto di andare in malattia se serve, vogliono tutele, vogliono potersi fidare del loro lavoro e costruirci la loro vita.

Non chiedono nulla di straordinario: un contratto a tempo determinato della durata di due mesi, che è già una miseria ma che almeno offrirebbe loro alcune sicurezze, perché sarebbero davvero assunte.

La Fondazione, per bocca della Responsabile del Comparto Sartoria, risponde che per ragioni economiche non è possibile: o accettano l'intermittenza o stanno a casa.

Le Sarte decidono che stanno a casa.

Saranno rimpiazzate da altre persone vulnerabili, che accetteranno la chiamata.

Niente lavoro, niente ingressi economici; e non per scarso bisogno di soldi, ma per grande dignità ed esasperazione.

Questa storia stimola molte riflessioni.

La prima riflessione:

riesce davvero difficile pensare che il problema finanziario della Fenice sia l'assunzione di una manciata di persone per due mesi.
Una domanda sorge spontanea: quanto sarebbe costata questa operazione insostenibile?

Una Fondazione che può pagare decine di migliaia di euro singoli Artisti e Personale direttivo non è capace di coprire la differenza di costi tra intermittenza e tempo determinato delle Sarte?
La spesa per dare tutele alle persone è tale da non poter essere sostenuta?

La seconda riflessione:

c'è stato un presidio in Fenice, ad inizio estate. Era indetto dalla Workers Union auto organizzata Maestranze dello Spettacolo Veneto e in quell'occasione si denunciava proprio la condizione miserabile del personale di Sartoria. Veniva chiesto, provocatoriamente, se questa è “l'eccellenza” di cui parla il Ministro Franceschini.  Perché se in una Fondazione “i cui soci fondatori sono lo Stato Italiano, la Regione Veneto e il Comune di Venezia” (da sito fenice)  è considerabile “eccellente” lo sfruttamento dell'intermittenza allora c'è qualche problema.

Può esistere l'eccellenza senza giustizia sociale?

La terza riflessione:

In occasione di quel presidio si è sentito dire da un'importante figura del personale del Teatro che “la Sarta non è un lavoro su cui si può pensare di costruirsi una vita. È un lavoro da studentesse, da casalinghe”. Questa è l'immagine del personale intermittente: il dopolavoro. E quali sarebbero allora i lavori “non da casalinghe” che si possono fare nella Fondazione? Quanto vengono retribuiti? A quale livello dell'organigramma della Fenice si diventa “vere lavoratrici”? A giudicare da questa storia, non al livello della Sartoria. E pare che il problema sia diffuso a molte Fondazioni, tipo Arena di Verona, come abbiamo sentito ad ogni iniziativa promossa dalle lavoratrici e dai lavoratori dello Spettacolo che denunciano gravi situazioni di sfruttamento, in particolare proprio nelle Sartorie.

La quarta riflessione:

Perché, dopo un anno e mezzo di sacrifici a dir poco estremi delle lavoratrici e dei lavoratori dello Spettacolo, continua ad esserci un tale livello di ingiustizia persino nei luoghi partecipati dallo Stato?

Una enorme quantità di soldi viene data ogni anno, giustamente, ai grandi Teatri.

“Giustamente” perché essi sono una parte importantissima del nostro portato culturale.

Quasi nulla viene però investito per gli spettacoli “minori” in Regione ed a livello nazionale.

Dunque chi prende soldi dallo Stato è doppiamente esposto e dovrebbe avere l'obbligo (morale e legale) di garantire le condizioni di lavoro migliori.

Non ci può essere altra strada. Il denaro pubblico deve garantire tutele e dignità.

La quinta riflessione:

Cosa ne pensano di tutto questo gli Enti che partecipano alla Fondazione Fenice? Il Ministro della Cultura, il Presidente della Regione e il Presidente della Fondazione (il Sindaco di Venezia), sono d'accordo con questa situazione e si rispecchiano in essa? La trovano accettabile? Cosa ne pensano del lavoro intermittente?

La sesta riflessione:

In tutto questo i Sindacati Confederali, gli unici a cui è permessa “di default” l'interazione con le Istituzioni grazie alla rendita di cui godono per le lotte di tanto tempo fa, sembrano una cariatide.

Convivono pacificamente da anni con il ribasso della qualità del lavoro, non conoscono l'intermittenza (altrimenti la combatterebbero con forza) e sembrano incapaci di sbattere i pugni. Appaiono interessati solo a mediare in un confronto che dovrebbe vederli non come ago della bilancia, ma su uno dei due piatti. Si mostrano passivi. Vecchi. Lontanissimi dalle battaglie gloriose degli anni d'oro.  Osservando la realtà si vede che sono l'unico soggetto ad avere garantita una sedia ad ogni tavolo tecnico, da sempre. E allora come si spiega tutto ciò? Cosa fanno? A cosa servono? Dove sono?

Per l'inequivocabile vuoto di lotta e per l'urgenza della pandemia, migliaia di lavoratrici e lavoratori dello Spettacolo si sono auto organizzatə dal 2020 e hanno creato nuove forme per tutelarsi e rappresentarsi. Hanno occupato piazze, strade, Teatri, sbarrato Prefetture coi loro bauli. Hanno studiato, e si sono creati dei Collettivi per darsi supporto ed un loro Sindacato -RISP Rete Intersindacale Prof_ Spettacolo- per auto rappresentarsi, e cercare di salire personalmente su quel piatto di bilancia lasciato vuoto.

Problemi concreti, bisogni, maniere anche irruente. Vogliono una vita più giusta, la vogliono ora, e vogliono averla per sé e per tutti.

In Veneto e in Italia, tra mille differenze ma compattə, hanno conquistato bonus, lottano per eliminare il ribasso da ogni bando, chiedendo investimenti migliori anche per i piccoli spettacoli (Regione Veneto dà alla Cultura un euro a cittadino all'anno, e quasi tutto va agli Enti maggiori) e vogliono risolvere la questione dell'intermittenza, perché li rovina.

Desiderano insieme uno Spettacolo diverso.

L'ultima riflessione:

Questa “seconda ripartenza” in pandemia insegna che -nonostante le belle parole di cultura, tradizioni, identità, lavoro, rinascita-  alla fine la situazione è drammatica e la base deve arrangiarsi.

Deve lottare per sé, e farsi valere,  affrontare anche la sofferenza di scegliere tra l'umiliazione di condizioni ingiuste e il sacrificio importante del lavoro.

Impariamo anche che i lustrini, il prestigio e la gloria non comprano la dignità: non è tutto oro quello che luccica, e un Teatro che da 230 anni accompagna la vita del nostro Paese oggi, apparentemente, poggia le sue fondamenta su una considerazione dell'individuo, del lavoro e della vita che sicuramente non gli recano l'onore che merita: cultura e tradizioni sono concetti che non si sposeranno mai con sfruttamento e oppressione.

Alcune Sarte della Fenice hanno deciso che loro l'umiliazione non la vogliono più.

E noi siamo con loro, che ci insegnano il coraggio e la dignità. Puntiamo il dito verso chi le sfrutta, Fondazione Fenice, e le supporteremo fino a quando avranno giustizia perché la loro lotta è la nostra lotta, la loro vita è la nostra vita, i loro desideri sono i nostri desideri.

Per approfondire:

Maestranze Spettacolo Veneto: https://www.facebook.com/maestranzespettacoloveneto/

Prof_ Spettacolo e Cultura: https://www.facebook.com/professionistispettacoloecultura

A. Camilli, Cosa chiedono i lavoratori dello Spettacolo, Internazionale, 22 aprile 2021 https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2021/04/22/covid-globe-lavoratori-spettacolo