La maggior parte degli immigrati, raccoglitori di arance, sopravvivono sotto il giogo infame dei caporali al soldo della 'ndrangheta

Rosarno, solo piccole novità positive. Ma resta la piaga dello sfruttamento.

400 immigrati hanno manifestato davanti alla Prefettura di Reggio Calabria per chiedere condizioni di vita dignitose e permessi di soggiorno per poter lavorare.

7 / 1 / 2011

Un anno dopo la rivolta dei migranti: tutto è cambiato, ma nulla è cambiato. Una constatazione disarmante, che è diventata lo slogan della Rete Radici, un network di associazioni (Action 1daSud 2, Libera Piana e Tenda di Abramo 3) che dallo scorso novembre ha monitorato da vicino le condizioni di vita e di lavoro degli africani rimasti a lavorare nelle campagne della Piana di Gioia Tauro. E che oggi ha accompagnato 400 migranti in una manifestazione che da Rosarno si è spostata a Reggio Calabria, fin sotto la Prefettura, per chiedere condizioni di vita dignitose e permessi di soggiorno e di lavoro. Al viceprefetto vicario del capoluogo calabrese sono state portate le istanze dei nuovi schiavi della Piana. Schiavi dei caporali al soldo della 'ndrangheta e schiavi di una legislazione assurda che li rende invisibili e ricattabili.

Le loro storie. Come Lamine Diarra, 31 anni, del Mali. In Italia dal 2005. "Quello che chiediamo sono i documenti. Vogliamo vivere e lavorare in regola. Io sono in Italia da quasi sei anni, vivo a Rizziconi. Quando ci chiamano, lavoriamo dall'alba al tramonto per 25 euro al giorno. E non sempre ci pagano. Ma senza documenti non possiamo fare valere i nostri diritti, non possiamo neppure prendere in affitto una casa".

Pochi cambiamenti. Quello di Lamine non è un caso isolato. Il monitoraggio condotto dalla rete Radici tra novembre e dicembre 2010 su 200 cittadini africani ha svelato che nessun cambiamento sostanziale è avvenuto rispetto al 7 gennaio dello scorso anno, quando l'ennesima angheria commessa ai danni di alcuni di loro ha scatenato la rivolta violenta dei braccianti di colore. E ha mostrato a un'Italia attonita il degrado, i soprusi e lo sfruttamento a cui questi ragazzi sono sottoposti quotidianamente.

Almeno sono spariti i grandi ghetti.
 Francesca Chirico, dell'associazione daSud, una delle sigle che compongono la rete Radici, ci racconta: "Dallo scorso anno a oggi i due cambiamenti più evidenti riguardano gli alloggi e la dimensione del fenomeno. Sono spariti i grandi ghetti storici, la Rognetta, l'ex Opera Sila, la Cartiera, demoliti dalle ruspe o resi inaccessibili. Ma sono stati sostituiti da piccoli insediamenti, casolari e ruderi sparsi in mezzo alle campagne in cui le condizioni igienico-sanitarie non sono certamente migliori di quelle che abbiamo avuto modo di vedere in tv o nei reportage fotografici. 

Diminuite le presenze.
 E' cambiata anche la dimensione del fenomeno: rispetto alle 3.000 presenze negli anni precedenti, secondo le nostre stime quest'anno i lavoratori africani in tutta la Piana non sono più di 800, al massimo mille". Per via della fuga avvenuta subito dopo la Rivolta dello scorso anno, ma anche per colpa della crisi che ha colpito l'agricoltura: oggi i braccianti di colore vengono chiamati a lavorare in media non più di due-tre giorni alla settimana.

Ma sempre sfruttati.
 Quello che non è cambiato è lo sfruttamento, 20-25 euro per 8-10 ore di lavoro sfiancante, e l'odiosa pratica del caporalato. Anche se i controlli dell'Inps e dell'Ispettorato del lavoro si sono fatti più stringenti. Il primo passo per potere aspirare a condizioni di vita e di lavoro dignitose passa per il riconoscimento dello status giuridico di questi lavoratori invisibili. Molti di loro non sono illegali, ma richiedenti asilo. Quindi legittimati a restare sul territorio italiano, ma senza la possibilità di firmare un regolare contratto di lavoro. Intrappolati in una sorta di limbo giuridico che li rende vulnerabili e ricattabili.

Le loro richieste. E' per questo che oggi, prima ancora che un tetto sotto cui stare in maniera decorosa, gli africani della Piana hanno reclamato a gran voce il superamento della legge Bossi-Fini e del pacchetto sicurezza. Per poter soggiornare e lavorare in Italia, legalmente e senza essere sfruttati e umiliati.