Primarie e governance: la storia dell'uccellino

7 / 12 / 2012

7 dicembre: il “ritorno in campo” di Berlusconi modifica, una volta ancora, lo scenario politico-istituzionale. La giravolta del satrapo di Arcore indica la costruzione di una nuova destra populista, nel segno dell’ “anti-montismo” e soprattutto dell’anti-europeismo, disarticolazione del PDL e ricomposizione con la Lega alla conquista di tutte le regioni del Nord. Ovvero di quel livello istituzionale che, più di altri, potrebbe giocare un ruolo cruciale nella riorganizzazione verticale della tecno-governance europea. Da qui a primavera ne vedremo delle belle. Intanto però proviamo a ragionare analiticamente di quanto accaduto nel campo del Centrosinistra.

Credo che sia stato giusto e corretto che, dalle pagine di Globalproject , non si sia “preso parte” alla consultazioni primarie organizzate dal Centrosinistra per la designazione del candidato-premier della coalizione al voto politico della prossima primavera. E che nemmeno le si sia commentate “durante”.

Il campo d’azione dei movimenti è infatti quello della trasformazione radicale dell’esistente, della pratica del comune come processo costituente di altra società. Mentre la rappresentanza politica, peraltro investita da tre decenni almeno da una profonda e irreversibile crisi di legittimazione, non appartiene affatto a questo campo, ma corre anzi il rischio di reintrodurre in esso elementi di ambiguità e di confusione, anche e soprattutto quando si intesta slogan durissimi e scambia l’elezione di un pugno di parlamentari con la più faticosa e complessa questione del cambiamento di sistema.

Altro dalla rappresentanza e dalla crisi del suo strutturale nesso con la sovranità – come è stato, nell’ultimo anno, abbondantemente argomentato – è il terreno della governance, ovvero quello della contemporanea riarticolazione dei dispositivi della decisione politica che, dal punto di vista dell’esercizio del comando capitalistico, si applicano (o cercano di applicarsi) alla dinamica delle relazioni sociali. E’ piuttosto questo il campo di un permanente braccio di ferro, di un’irrisolta tensione, dialetticamente conflittuale, tra pratica costituente dei movimenti sociali e intervento ordinativo della governance. Di fronte all’irrilevanza e all’ineffettualità della rappresentanza, è perciò la governance a costituire l’avversario dei movimenti ed è decisivo comprenderne le fattezze e le movenze, i processi di costituzione e i meccanismi di funzionamento. Ed è altrettanto evidente come oggi, in Europa, nel vivo di una crisi globale che è essenzialmente crisi dell’Eurozona, si dispieghino e talvolta si contrappongano diverse ipotesi e diversi modelli di governance, non omologabili gli uni agli altri.

Scriveva Spinoza “humanas actiones, nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere” ovvero che “le azioni umane non vanno derise, né compiante, né detestate, ma devono essere comprese”. Fedeli a questa insuperata lezione, è allora corretto interrogare la vicenda delle Primarie con uno sguardo analitico, che muove dal presupposto che questo evento ha avuto a che fare marginalmente con la rappresentanza e il suo stato comatoso, ma che molto ha contribuito alla definizione di una possibile futura (prossima e non remota) ipotesi di governance nello spazio politico-istituzionale italiano.

La diffusa consapevolezza di questa valenza assunta dalle Primarie ha forse determinato la massiccia e spontanea partecipazione che si è registrata. Le persone che hanno votato sapevano di scegliere non da chi “farsi rappresentare”, ma chi probabilmente mandare al governo. Per molti senza illusione alcuna. Sarebbe davvero sbagliato ridurre le dimensioni e la qualità di questa mobilitazione, banalmente, alla “persuasione mediatica”, oppure alla capacità organizzativa e orientativa degli “apparati”. Qualcuno dovrebbe spiegarci perché riciclare un po’ di ceto politico in liste elettorali dovrebbe costituire un esperimento nuovo di “democrazia partecipativa” e, invece, oltre tre milioni di donne e uomini che si mettono in fila per votare alle Primarie, per scegliere in una competizione aperta quello che sarà probabilmente il prossimo presidente del Consiglio dei Ministri (e in oltre due milioni tornano a farlo una settimana dopo per il ballottaggio), dovrebbero essere considerati o tutto “apparato di partito” o degli “zombie”, una massa di idioti, attori paganti per giunta di uno spettacolo allestito dal “teatrino della vecchia politica”.

Piaccia o meno, questa straordinaria e imprevista partecipazione alle Primarie è stata innanzitutto un plebiscito contro il governo Monti, contro quel processo costituente non dichiarato che, dall’alto, sta traducendo la tendenza alla “de-democratizzazione” dello spazio politico-istituzionale in un modello di governance tecnocratico e autoritario. E questo spazio plebiscitario, nella sua tensione “anti-oligarchica”, è stato attraversato da una diffusa domanda di cambiamento che si è, in parte, riversata anche nel consenso a berluschino Renzi, mistificata e declinata sul tema del “rinnovamento dei gruppi dirigenti”. Così come nel consenso a Bersani è andato, in gran parte, a condensarsi un altrettanto maggioritario rifiuto delle politiche di austerity che caratterizzano la gestione governativa della crisi.

Si dirà: “ma che cosa cambia, è la solita vecchia merda socialdemocratica!” Certo, ci mancherebbe altro, anche se di questi tempi di “merda” in giro ce n’è parecchia e distribuita un po’ dappertutto. Ma, per i più duri di comprendonio, lo ripeto: le Primarie del Centrosinistra non c’entrano con i percorsi di movimento, che aboliscono e superano lo stato di cose presente, e la stagione elettorale, che hanno aperto, nulla ha da condividere con la pratica sociale del comune. Provo a ripeterlo con lo stesso spirito con cui gli attivisti di Occupy Wall Street - come Michael Hardt ci ha raccontato nelle scorse settimane - si sono recati alle urne per votare Barack Obama contro la prospettiva iper-liberista incarnata da Mitt Romney.

E al tempo stesso è vero che, se la “vecchia merda socialdemocratica” conquisterà il governo del Paese, essa si troverà nell’impossibilità materiale di far avanzare risposte neokeynesiane alla crisi, costretta a muoversi in un contesto economico ed in una cornice istituzionale europea che inibiscono radicali politiche redistributive e di welfare all’altezza delle sfide poste dalla crisi stessa. Come del resto il primo semestre della presidenza Hollande ha già mostrato, anche il governo del Centrosinistra italiano, premesso ma non concesso (per l’innumerevole serie di trabocchetti e variabili di cui è disseminato il cammino da qui a primavera) che tale possa essere l’esito lineare delle elezioni politiche, si rivelerà un coacervo di limiti e contraddizioni.

Tuttavia, anche e soprattutto per come il processo delle Primarie si è dipanato e per come l’evento delle Primarie si è verificato, esso sta mettendo in campo un’ipotesi di governance che, proprio nella cornice europea qui accennata, si presenterà con connotati più aperti e flessibili, più porosi al conflitto sociale e all’azione dei movimenti, rispetto a quel modello “tecnocratico puro”, che è stato fin qui sperimentato sulla pelle delle società del Sud Europa.

E’ un po’ come nella vecchia storiella - la ricordate? - dell’uccellino. Un uccello migratore si mette in viaggio. Dopo un po’ che vola, comincia a stancarsi e, ormai privo di forze, precipita in mezzo ad un sentiero di montagna. Sta morendo assiderato quando passa una mucca la quale, proprio quando è sopra il migratore, lo sommerge con una cagata enorme. Non tutto il male viene per nuocere: infatti, il tepore della merda lo fa risvegliare. E’ così contento che tira fuori la testa e si mette a cantare. Così facendo però attira le attenzioni di un lupo che passava di lì. Esso estrae l’uccello dal suo caldo letto di merda, lo ripulisce e se lo pappa. Morale: chi ti mette nella merda non sempre lo fa per farti del male. Secondo: chi dichiara di tirarti fuori dalla merda non sempre lo fa per il tuo bene.

Presi tra i lupi della dittatura dei mercati finanziari globali (e delle tecno-oligarchie che li servono) e la governance della “vecchia merda socialdemocratica”, sapremo risvegliarci ed intonare il potente ritornello di una pratica costituente del comune, senza farci sbranare dai lupi né abbindolare dalle chimere di una rappresentanza testimoniale?

Gasparo Contarini da Venezia