No Dal Molin. Parco della Pace: la lotta paga

6 / 5 / 2011

Dopo anni di mobilitazioni, Vicenza avrà finalmente il Parco della Pace. Con la delibera approvata dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), che annulla la precedente delibera con cui si stanziavano 11,5 milioni di euro per la rototraslazione della vecchia pista aerea del Dal Molin, dirottando quei soldi alla realizzazione del parco, si sancisce una cosa in maniera chiara e netta: la lotta delle donne e degli uomini di Vicenza ha pagato, ottenendo un primo, straordinario risultato.

Uno spazio immenso di 600.000 metri quadri, ora circondato da filo spinato, cartelli minacciosi che la indicano quale “area militare”, con trinariciuti e assillanti carabinieri onnipresenti, a ridosso del cantiere più contestato della storia vicentina, quello della base Usa, diventerà uno spazio libero, patrimonio della città.

Quando cominciammo ad affrontare la questione Dal Molin, fummo tutti consapevoli che gli strumenti interpretativi e le chiavi di lettura dei precedenti cicli di lotte contro la guerra non erano sufficienti per costruire un pensiero critico allargato, capace di trasformarsi in opposizione concreta e dispiegata al progetto che stavano calando sulle nostre teste. Se non tutti, moltissimi sentirono l’esigenza di ragionare e costruire qualcosa, in termine di movimento e mobilitazione, capace di andare oltre le singolarità o le appartenenze. Il ritrovarsi a discutere dentro ambiti culturalmente omogenei (almeno rispetto alla critica alla guerra e ai suoi strumenti) non era sicuramente il modo giusto per coinvolgere la città.

Si trattava di fare una scelta: da una parte l’autorappresentazione, l’affermazione identitaria, dall’altra la contaminazione reciproca con il diverso da sé, la capacità di costruire discorsi e spazi inclusivi, in grado di dare piena cittadinanza alle diverse forme di espressione di contrarietà alla base. La sfida era quella di far sentire la lotta contro la base militare Usa come patrimonio comune della parte più ampia possibile dei cittadini.

Quando il commissario governativo Paolo Costa (che noi arrivammo a contestare fin sotto le finestre di casa), sull’onda delle proteste che a Vicenza montavano ogni giorno di più, indusse gli statunitensi a cambiare i loro progetti iniziali che, per inciso, includevano tutta l’area del Dal Molin, prevedendo la riduzione del perimetro previsto per la nuova base e spostandone la collocazione dal lato est a quello ovest, lo fece perché aveva intuito le potenzialità e la ragionevolezza delle rivendicazioni del movimento vicentino. Come dimenticare, se non volutamente ed in malafede, la famosa lettera indirizzata all’allora ministro della difesa Arturo Parisi nella quale, oltre a chiedere di “sradicare” il Presidio ed in generale movimento vicentino (e sappiamo bene, avendolo vissuto sulla nostra pelle, come questo è stato interpretato nelle stanze del Ministero degli Interni), lo stesso Costa era costretto ad ammettere che i vicentini avevano ragione, che il dal Molin era l’ultimo polmone verde della città, che era meglio rivedere i piani iniziali e limitare (secondo lui, ovviamente) i danni con lo spostamento ad ovest?

L’idea del Parco, ancora abbozzata e grezza, nacque proprio lì. Nacque e si affermò nell’immaginario collettivo in una solare giornata settembrina del 2007, quando dal 1° Festival No Dal Molin partirono migliaia di donne e uomini in corteo per raggiungere l’ex aeroporto. In testa a quel corteo, centinaia di persone con un alberello in mano, e subito dietro di loro altrettanti manifestanti con tutto l’occorrente per poterli piantare. Piantarli dentro il Dal Molin, ovviamente.

Un momento di fortissima simbolicità, per rinsaldare il legame con quella che per gli Inca era la Pachamama, la Madre Terra. Un modo per affermare la volontà di difendere i beni comuni, le risorse non riproducibili, il futuro stesso del nostro territorio.

Tante cose sono state fatte per giungere a questo risultato. Centinaia di iniziative, dalle incursioni all’interno del parco (solo qualche settimana fa sono arrivati 43 avvisi di garanzia agli attivisti del Presidio che penetrarono al Dal Molin il 25 aprile 2010, con la richiesta avanzata dai Carabinieri, per 12 di loro, di “divieto di dimora” a Vicenza!), alla straordinaria giornata di rabbia e indignazione in occasione dell’annullamento, da parte del Consiglio di Stato, della consultazione popolare voluta dall’amministrazione comunale, quando migliaia di vicentini, spontaneamente, si riversarono nelle vie cittadine dando vita ad un immenso corteo notturno conclusosi in una Piazza dei Signori gremita all’inverosimile. Quelle migliaia di persone che si ritrovarono due giorni dopo a votare in decine di gazebi sparsi per la città, in una consultazione autogestita che era una chiara e netta espressione di disobbedienza civile ai diktat dello Stato, presentatosi da queste parti nelle sue vesti più bieche e autoritarie. Momenti di straordinaria passione, che restituivano senso a termini quali democrazia, libertà, partecipazione.

Oggi possiamo festeggiare per una conquista tutt’altro che scontata. Aleggiano ancora gli avvoltoi che, negli scorsi mesi, hanno fatto di tutto per mettere i bastoni tra le ruote, proponendo di costruire un gigantesco Polo regionale della protezione civile al posto del Parco della Pace. La Lega Nord, quelli ribattezzati “ladroni a casa nostra” in un bel manifesto appeso ai muri della città qualche tempo fa, contava di lucrare cementificando ulteriormente un’area che, come dimostrato dalla disastrosa alluvione del 1° novembre scorso, già oggi patisce i danni provocati (e abbondantemente previsti e denunciati) dal cantiere della base, da quegli oltre 24 mila pali conficcati nel terreno che sorreggono quell’orrida struttura, che hanno intaccato pesantemente la falda acquifera sottostante, una delle più importanti del nostro paese. Sia chiaro, nessuno di noi permetterà mai che questi avvoltoi posino le zampe su quell’area per i loro sporchi affari. Se ciò avvenisse lo scontro si farebbe pesante, perché saremmo di fronte ad un vero e proprio colpo di mano, un ulteriore sfregio che la città ed i suoi abitanti non accetterebbero silenziosamente. Lega avvisata…

Il Parco della Pace diventa realtà perché così hanno voluto migliaia di donne e uomini di questo territorio, di ogni età, provenienza, storia personale, estrazione sociale e culturale. Una moltitudine che vede il Parco non come un punto d’arrivo, non come la chiusura di una mobilitazione, bensì come conquista da cui ripartire con rinnovato vigore per continuare a trasformare Vicenza in una città di pace, erodendo continuamente terreno e spazi alla sua militarizzazione. Per la prima volta, nella storia di questa città, la mobilitazione dei cittadini ha prodotto un risultato positivo, sottraendo spazio alla guerra. Siamo soddisfatti? Certamente sì, solo qualche minus habens cultore della sconfitta permanente non potrebbe esserlo. Siamo appagati? Certamente no. Lo abbiamo sempre detto, non esistono compensazioni per lo sfregio imposto dallo Stato con la forza a questa città. Saremo appagati solo quando tutte le servitù militari verranno riconvertite ad usi civili, restituite alla città ed ai suoi abitanti. Saremo appagati quando la guerra scomparirà dai nostri orizzonti, dalle nostre vite. Nel frattempo, continuiamo ad andare avanti per arrivare a questo perché, come abbiamo visto anche con la questione del Parco della Pace, nessuno ci regala nulla, e come diceva qualcuno un po’ di tempo fa, quello che abbiamo è quello che ci siamo presi, e quello che ci siamo presi è solo una piccola parte di ciò di cui abbiamo bisogno. La lotta paga!

Olol Jackson – Presidio No Dal Molin

Intervista Olol Jackson

Intervista Cinzia Bottene