Nessun gigante buono, ma un figlio sano del patriarcato

10 / 9 / 2019

Il femminicidio, la violenza sulle donne non sono un fenomeno emergenziale, ma strutturale. Nonostante questo in Italia continuiamo ad assistere alla chiusura di case delle donne come “Lucha y Siesta”, alla promulgazione di leggi securitarie e discriminanti come “codice rosso” e alle narrazioni tossiche di testate giornalistiche che definiscono un uomo che uccide consapevolmente una donna come “un gigante buono dall’amore non corrisposto”.

Elisa Pomarelli non era scomparsa il 25 agosto scorso, era morta. Lei e Massimo Sebastiani non si trovavano più: la 28enne era stata nascosta priva di vita nella fitta vegetazione poco fuori un paese del piacentino, mentre lui, si stava nascondendo nella casa del padre di una sua ex fidanzata. «Ero ossessionato da lei, mi ha detto che non ci saremmo più visti. Che sarebbe stata l’ultima volta. Ho perso la testa e l’ho strangolata» . Così Sebastiani, accusato di omicidio e occultamento di cadavere per la morte di Elisa Pomarelli, ha confessato, dicendosi “pentito”.

Nella ormai classica narrazione portata avanti da giornali e televisioni, un titolo ha indignato particolarmente. Il Giornale ha deciso di identificare l'assassino come un “gigante buono” che ha agito perché l'amore non era corrisposto.

I media hanno un ruolo e una responsabilità fondamentale su ciò che diffondono perchè possono essere l’ago della bilancia per alimentare o contrastare la violenza maschile contro le donne. Infatti essi dovrebbero fornire una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità.

Sempre più spesso nel nostro paese assistiamo ad una narrazione che va ad influenzare la percezione collettiva di tale fenomeno in cui le donne che sono sopravvissute alla violenza sono state ri-vittimizzate, violate e screditate dalle narrazioni pubbliche.

Sono diverse le indicazioni che negli ultimi anni sono state consegnate ai media: dalla Convenzione di Istanbul del 2011, passando per Cedaw (il Comitato per l’applicazione della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne,) fino ad arrivare nel 2013 con il Special Rapporteur dell’Onu - Rashida Manjoo.

Nonostante queste direttive, in Italia per l’ennesima volta abbiamo assistito ad una narrazione patriarcale di un uomo che ha ucciso una donna colpevolizzando quest’ultima per non aver corrisposto l’amore. “un gigante buono” che in preda ad un momento di follia ha ucciso chi avrebbe avuto la colpa di non amarlo.

Quante volte abbiamo letto articoli simili? Un raptus, un momento di gelosia folle e la donna “è stata uccisa (mai l’uomo ha ucciso)”, come se la donna se la fosse cercata, come se il soggetto che scatena e subisce tutto fosse sempre la donna.

“Il gigante buono che ha agito per un amore non corrisposto” è solo l’ultimo dei titoli spaventosi sulla questione. Un uomo ha ucciso Elisa a Piacenza, non un eroe da romanzo rosa, non un cavaliere senza macchia in preda alla “tempesta emotiva” come un moderno Orlando Furioso o un Otello che accecato dalla gelosia che uccide Desdemona.

Per Elisa, Desirée, Claudia, Arietta, Pamela, Maryna, Chen, per distruggere il patriarcato e la violenza sulle donne dobbiamo attenerci ad una narrazione che contrasti questa violenza sistemica e strutturale.

Non si può continuare a parlare di violenza scatenata dal “troppo amore”: è necessario smettere di parlare di raptus, gelosia, delitto passionale, tempesta emotiva, va riconosciuta la cultura sessista alla base di tali atti, l’amore non c’entra e nemmeno la situazione della coppia.

La violenza di genere è violenza strutturale, e così va raccontata. Bisogna smettere di narrare i fatti di cronaca come episodi isolati senza legami, riconducibili solo a circostanze peculiari e fattori individuali. È una violenza che nasce dalla disparità di potere legata al tentativo di invisibilizzare le donne e i soggetti non conformi alle norme di genere. È fondamentale la diffusione di un uso consapevole del linguaggio, rispettoso dei generi e che soprattutto restituisca la storia delle donne.

“Abbiamo bisogno di conoscere la storia di altre donne, di cosa hanno fatto, di come si sono organizzate e di come hanno resistito. Solo così è possibile costruire e sostenere il nostro tessuto economico e culturale. Bisogna pensare la riproduzione della vita in solidarietà e mutuo appoggio, per intraprendere pratiche che rivalutino le pratiche delle donne, poiché la svalutazione fa parte del nucleo duro della violenza. Isolate, isolati, nulla avremo. Siamo già sconfitti”.

(Silvia Federici, in un’intervista del 4 agosto 2017 a Redacción La Tinta).

Per quanto riguarda le narrazioni è importante dare spazio a tutte le tipologie di violenza patriarcale/eterosessista, evitando di concentrarsi solo su quelle ritenute più “appetibili” per fare notizia o vendere una copia in più.

Bisogna fare attenzione ai particolari e alla strumentalizzazione che i media continuano a portare avanti sul corpo delle donne, perché se è un uomo italiano, magari in un rapporto di famiglia o prossimità, che ammazza/violenta/picchia, scatterà immediatamente la caratterizzazione dell’“uomo vittima del suo stesso gesto, in un momento di pazzia o disequilibrio” , se invece è uno straniero ad aggredire, stuprare, uccidere la situazione viene ribaltata ed ecco che si può raccontarlo solo sottolineando la “bestialità, la provenienza e la premeditazione” del gesto.

Quella che vediamo e leggiamo è una narrazione a cui è necessario sottrarsi, la violenza di genere è strutturale e ad agire è sempre l’espressione del patriarcato, del disequilibrio di potere tra uomo e donna, il pericolo non viene da fuori, non ha etnia e non è scatenata dalle donne e soprattutto bisogna smettere di raccontarla come un fenomeno emergenziale, non c’è nessuna emergenza, si può dire che sia sistematica e la spettacolarizzazione o la narrazione romantica di tale fenomeno altro non fa che alimentare questo tipo di sistema.