Nel tempo della crisi, l'economia del controllo

dalla Rete Operatori NordEst

11 / 6 / 2009

Solo pochi anni fa vivevamo nel motore produttivo dell'Italia, il ricco NordEst: era questo un sistema che faceva scuola e veniva richiamato ad esempio anche a livello internazionale; analisti ed economisti ci spiegavano la bontà di questo spaccato territoriale, nel quale anche le forme deviate di uso e abuso di sostanze, da parte di giovani operai e imprenditori, forza lavoro spesso autosfruttata, erano “tollerate” davanti ai ritmi alienanti di produzione e creazione di “ricchezza”. Oggi che questo motore di colpi ne perde fin troppi e la crisi è arrivata anche là dove sembrava impossibile, il NordEst, nelle sue espressioni di governo e rappresentanza di quel modello, tenta di cambiare marcia ed utilizza la volontà di controllo e normazione quale nuova opportunità economica, tentando per l'ennesima volta di riproporsi come modello, attuativo ed esemplificativo della volontà del Governo Berlusconi, per poter poi essere riprodotto in altri territori.



Negli ultimi due mesi, infatti, dopo la Conferenza Nazionale di Trieste a marzo, i governi di centro destra delle regioni del nord est hanno impresso, con una tempestività che ben evidenzia l’adesione anche ideologica alla strategia di Giovanardi e Serpelloni, una accelerazione che ci obbliga ad un approfondimento.



Friuli Venezia Giulia e Veneto hanno realizzato iniziative solo in apparenza diverse: il Friuli Venezia Giulia ha scelto di avviare una procedura inerente la “prevenzione dei problemi di sicurezza sul lavoro legati all’assunzione di alcolici”; il Veneto, invece, ha organizzato un meeting per presentare la proposta di “procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi”.



Ciò che accomuna entrambi i provvedimenti è l’approccio politico di fondo: tutta la partita della sicurezza sul lavoro è giocata sull’asse del comportamento del singolo lavoratore, su cui ricadrebbe in sostanza la responsabilità principale degli infortuni!!!! È cancellato qualsiasi riferimento alla responsabilità dell’organizzazione del lavoro: è opportuno, in realtà, sottolineare come anche a livello nazionale lo stesso passaggio dalla 626 alla 81 (realizzato dal Governo Berlusconi sulla traccia del Decreto predisposto dal Governo Prodi, con una ulteriore riduzione delle sanzioni a carico del datore di lavoro, come richiesto da Confindustria) segna la riduzione a tal proposito dei carichi di responsabilità per i datori di lavoro.



Il programma nazionale “Guadagnare Salute”, in applicazione dell’omonimo programma della UE, offre il sostegno “scientifico” a tale opzione, nel momento in cui, a fronte della prevalenza della malattia cronica nel mutato quadro epidemiologico continentale, enfatizza quali prioritari fattori di rischio, su cui sviluppare le politiche di prevenzione primaria e di promozione della salute, gli stili di vita ed i comportamenti individuali ( tabacco, alcol, nutrizione, sostanze,…).



Nello specifico, la Deliberazione adottata dalla Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia il 7 maggio 2009 promuove, fra le varie cose, la costituzione di una rete sanitaria territoriale, mediante il coinvolgimento del volontariato, dei sindacati, dei datori di lavoro, dei medici di base, delle organizzazioni di categoria, delle strutture di comando e di controllo all’interno dell’impresa; a tale rete è chiesto di svolgere un ruolo attivo nel controllo dei comportamenti alcol- correlati: si realizza così un modello biopolitico di welfare di comunità, sostanzialmente orientato a riconoscere quali determinanti di salute e sicurezza nel lavoro lo stile di vita ed il comportamento individuale del singolo lavoratore; alla “comunità partecipante” si chiede in pratica di normare e controllare i comportamenti individuati quali pericolosi e devianti.



Non più, quindi, lo Stato Etico ed autoritario che, per il tramite dei propri dispositivi, dall’esterno disciplina i corpi, ma, invece, l’intervento attivo della “società” che si fa carico della regolazione e del controllo dei comportamenti e delle scelte individuali di vita.



In questa direzione, peraltro, si realizza una mutazione strategica anche del ruolo della sorveglianza sanitaria: nata sull’onda delle lotte operaie e sociali del periodo fordista quale strumento a tutela del lavoratore rispetto ai rischi derivanti dall’organizzazione del lavoro in fabbrica, diventa ora uno strumento di controllo sociale delle scelte individuali di vita e dei comportamenti devianti.



Lo stesso ruolo del medico, in particolare di quanti operano all’interno delle strutture pubbliche, risulta notevolmente compresso rispetto ai tradizionali margini di autonomia propri dell’esercizio liberale della professione: oggi a questi medici è imposto di operare seguendo i protocolli e le procedure codificate.



Nella deliberazione del Friuli Venezia Giulia, in particolare, viene sottolineato che la valutazione del rischio alcolico riguarda tutte le lavorazioni effettuate in azienda, non solo quelle che comportano mansioni a rischio; a tal proposito è detto espressamente che “il rischio legato all’assunzione di alcolici si configura peraltro anche nel fatto che il lavoratore possa assumere gli stessi al di fuori dell’ambito lavorativo”. Ciò comporta da una parte l’eliminazione degli alcolici negli ambienti di lavoro in cui si svolgono lavorazioni a rischio; dall’altra la promozione di una cultura focalizzata sugli stili di vita. Conseguentemente i controlli sanitari posti in essere dal medico competente (espressione del datore di lavoro) per gli addetti a mansioni a rischio, si realizzeranno tramite un protocollo concordato con i sindacati ed i risultati saranno riportati nella cartella sanitaria e di rischio del singolo lavoratore. Sono previste, in particolare, oltre la visita medica, la misurazione dell’alcolemia indiretta (aria espirata), oltre ad eventuali ulteriori accertamenti specialistici; a termine, il medico formulerà il giudizio di idoneità/inidoneità alla mansione con comunicazione al datore di lavoro, che adotterà i provvedimenti del caso.



Va sottolineato che in tal caso i lavoratori non potranno rifiutare il controllo alcolimetrico e quelli riconosciuti come “portatori” di problemi alcolcorrelati saranno inviati ai servizi di alcologia.



La Regione Veneto, invece, per il tramite della propria Direzione regionale della Prevenzione ha definito e presentato uno specifico documento che individua le procedure da adottare per il controllo dell’uso di sostanze nel lavoro. Tali procedure distinguono due livelli di accertamento.

Nel primo livello il datore di lavoro, con il supporto del proprio medico aziendale (medico competente), da una parte elabora un documento aziendale dedicato, che definisce, oltre che le procedure di applicazione della normativa nell’azienda, anche azioni preventive, promozionali ed educative; dall’altra, organizza i controlli, assicurando la non prevedibilità degli stessi; tali accertamenti saranno disposti sia per i lavoratori che operano in mansioni “a rischio” sia per quanti il datore di lavoro abbia “ragionevoli dubbi” circa una possibile assunzione di sostanze. A termine di tali accertamenti, se gli stessi risultano positivi, il medico competente formula il giudizio di non idoneità temporanea, inviando il lavoratore al SERT, che è individuato come “struttura sanitaria competente” e che, a questo punto, avvia gli accertamenti di secondo livello, di tipo clinico e tossicologico al fine di diagnosticare un eventuale stato di tossicodipendenza. A conclusione, il Sert rilascia il giudizio finale, anche, eventualmente in caso di positività, dando comunicazione alla Motorizzazione Civile in ordine ai provvedimenti sulle patenti di guida.



È lecito ritenere che il datore di lavoro possa individuare come “soggetto a rischio” da inviare ai controlli tutti quei lavoratori che a vario titolo possono rappresentargli dei “problemi” e quindi, nel caso in cui queste persone abbiano assunto qualche sostanza negli ultimi mesi, possono ritrovarsi inviate al Sert con sospensione dal lavoro e della busta paga.



Tutto ciò evidenzia un secondo aspetto di assoluto rilievo: se nei servizi sanitari pubblici in questi ultimi 10-15 anni non si è investito sui servizi territoriali, in particolare nei SERT, per cui tali servizi oggi, a monte dei nuovi compiti, lamentano una diffusa carenza di personale ed attrezzature, come si può pensare che possano assolvere ai nuovi compiti assegnatili?



Non esiste alcuna previsione nella programmazione regionale delle due regioni di investimenti in risorse professionali o strumentali.



Evidentemente, anche considerando il ruolo che i laboratori privati andranno ad assumere nell’esecuzione dei test effettuati dai datori di lavoro, appare evidente che la prospettiva sarà di “far scoppiare” i SERT stessi, per poi passare il testimone alle agenzie private di certificazione, sul modello delle certificazioni di qualità, ecc..



Sostanzialmente inizia a materializzarsi la prospettiva, tante volte dichiarata dal punto di vista dell’analisi politica, per cui la sanità ed il controllo sociale sono concreta fonte di profitto ed accumulazione di capitale: sanità, protezione sociale, sicurezza, controllo non possono più essere individuate come un “fuori” rispetto all’esigenza capitalistica di accumulazione; l’esclusività del servizio pubblico, come forma di erogazione di un servizio corrispondente ad un diritto esigibile e ad un bisogno riconosciuto, appartiene ormai alla fase del patto novecentesco tra capitale e lavoro.



Oggi questo patto non esiste più, perché non più attuali i presupposti che lo avevano determinato: la stessa educazione sanitaria e la promozione della salute, strategie avanzate della fase pubblica fordista, divengono ora consapevoli strumenti di normazione e controllo sociale, con la trasformazione dei soggetti della comunità (volontariato, sindacati, associazionismo,…) in meri esecutori dei programmi di controllo biopolitico. La sanità ed i servizi sociali, inoltre, si trasformano in strategiche opportunità economiche per le diverse agenzie private del controllo e della normazione.



Da questo punto di vista non esiste, neppure nei dettagli, differenza nel quadro istituzionale: infatti, le intese della Conferenza Stato-Regioni, al cui interno a tutt’oggi è prevalente il centro-sinistra, sul tema dell’uso di sostanze rispetto alla sicurezza del lavoro, sono state assunte all’unanimità; l’obiettivo, che accomuna l’intero quadro istituzionale, è di normare i comportamenti individuali, punendo e reprimendo le libertà singolari.



Esiste nella società, lo sappiamo bene, un comportamento di massa che si esprime nell’uso libero di sostanze ed alcol: l’approccio proibizionista da sempre ha registrato assoluti fallimenti.



A livello internazionale vanno diffondendosi esperienze che sottopongono a critica l’approccio repressivo; in particolare in America Latina cominciano a diffondersi provvedimenti anche legislativi fondati sulla riduzione del danno, sulla depenalizzazione dei consumi, sulla liberalizzazione della canapa.



Oggi, nella crisi strutturale che stiamo vivendo, non è accettabile uno scenario che “sospenda” il reddito di lavoratori, in particolare di quanti sono consumatori di sostanze fuori dal luogo di lavoro.



Si apre a questo proposito uno spazio di iniziativa enorme: non esiste organizzazione istituzionale o paraistituzionale che critichi l’approccio del governo né che formuli proposte di fuoriuscita e di risposta a questa svolta nel controllo e nella normazione.



Pensiamo possa essere questo un contributo al ragionamento e alle iniziative da portare avanti all'interno di quella rete di operatori, associazioni e Comunità che nelle giornate di marzo avevano dato vita all'esperienza dell'Altra Trieste e che avevano avuto la capacità di prefigurare, negli incontri e dibattiti al Teatro Miela di Trieste, quello scenario che oggi si sta concretizzando.