Mentre guardate il pelo nell’occhio la trave vi acceca

7 / 7 / 2009

Purtroppo, ce lo aspettavamo; che voi, sigle sindacali e organizzazioni che vi dite contro il Dal Molin - di cui però vediamo la vostra opposizione solo nei comunicati stampa - ci sareste cascati. Che voi, consiglieri comunali che avete votato la solidarietà a chi a occupato il territorio vicentino, accettaste senza battere ciglio che Vicenza fosse trasformata in un territorio governato dalla Questura e non dalla sua amministrazione comunale.

Eppure, pur avendo qualche dubbio, vogliamo credere, ancora per un po’, che questo avvenga in buona fede. E, per questo, nonostante tutto, vi scriviamo, pubblicamente, dalle pagine del nostro sito. Viso a viso, anche se virtualmente.

Perché potete anche dirci che, nella vostra visione del mondo, non è previsto che le donne e gli uomini possano difendersi dalle imposizioni e dalla violenza che le accompagna; che coloro che si mobilitano civilmente contro una nuova base militare – ma può essere per qualunque altra cosa – debbano accettare, sempre e comunque, l’ordine dell’autorità costituita. Possiamo comprendere che, nella vostra visione della democrazia, ci siano soltanto delega e ordine; e che, al di là di questi confini, i cittadini non possano spingersi.

Vorremmo, però, farvi notare alcune grossolane contraddizioni. Perché, se siamo d’accordo sul carattere impositivo della nuova base statunitense, qualche conclusione bisogna pur trarla. A partire dal fatto che gli strumenti della democrazia delegata, tutti, sono stati utilizzati per costruire l’imposizione; e le umilianti sentenze del Tar e del Consiglio di Stato che, invece di tutelare i cittadini, si sono piegate al desiderio dello Stato legittimandone l’imposizione, dovrebbero averci insegnato qualcosa.

Diceva il Sindaco di Vicenza, quando ancora alzava la testa e non le mani in segno di resa, che esistono la ragion di Stato e quella della comunità; e che, in alcuni casi, queste possono confliggere, come avviene a Vicenza. Ma come è possibile che, in questo conflitto, voi vi schierate con la ragion di Stato a priori? Come è possibile che non siate in grado di vedere oltre la presa di posizione strumentale e campanilistica che la ragion di Stato ha messo in campo tutti i suoi strumenti, incluso l’uso monopolistico della forza, per estirpare alla radice il dissenso locale?

Sabato Vicenza è stata messa sotto controllo militare; e non perché bisognava difendere un recinto che, a oggi, circonda un prato verde e poco più. Ma perché si voleva parlare ai vicentini; dicendogli una cosa chiara, quanto inaccettabile: che la mobilitazione di una comunità non potrà mai mettere in discussione la scelta dello Stato di imporre un’opera in un territorio. Che le donne e gli uomini che manifestano lo possono fare soltanto se accettano questa volontà impositiva e si limitano a testimoniare la propria opinione contraria.

Sabato ci hanno spiegato, con i blindati e gli agenti in assetto antisommossa, che la nostra mobilitazione non deve avere un’efficacia. Ma se questo vale per il Dal Molin vale per tutto e per tutti; vale per gli studenti, per i lavoratori, per chi si oppone a un piano urbanistico o a una linea ferroviaria ad alta velocità; per chi rivendica una ricostruzione trasparente e partecipata e per chi difende i diritti dei più deboli. Chi decide chiude gli spazi di democrazia e partecipazione, annulla la conflittualità, cancella la nostra diversità e pretende l’omologazione di tutte e tutti.

Voi, che vi allineate al coro di quanti vogliono criminalizzare la mobilitazione vicentina, avete deciso di stare dalla parte di chi – il questore – a Vicenza è stato mandato con un incarico chiaro e scritto nero su bianco dal commissario Costa: mettere fine all’opposizione al progetto statunitense. Ma – e questo è il peggio – chiudete gli occhi di fronte alla degradazione del nostro voler essere cittadini: sabato ci hanno vietato l’opposizione, ci hanno detto che qualunque decisione del governo è insindacabile e da accettare, piaccia o no, anche con la forza.

Continuate a guardare il pelo nell’occhio e a scandalizzarvi perché altri – tanti o pochi, non ha importanza – hanno deciso di non accettare questo stato delle cose; nel frattempo la trave vi acceca e il cerchio si chiude: accettare un ruolo nel grande gioco dell’imposizione o ribellarsi? Questo è il problema.