Corvo nero non avrai il mio scalpo

Alfonso Mandia

10 / 9 / 2009

Il presidio è un esplosione di colore nel bianco onnipresente dei marmi di piazza Venezia.

File di tende hanno trasformato il parchetto a lato dell'altare della patria in un accampamento. Qualcuno, con ammirevole rispetto per il gusto e l'estetica del posto ha arredato una regolare camera da letto con tanto di abat-jour e comodino, i latinos come sempre hanno attrezzato una cucina da campo.

Una casbah in pieno centro storico.

Fantastico.

Oggi c'è l'incontro con il prefetto, brucia a sale lo sgombero del Regina Elena, anzi per dirla tutta fa incazzare, una roba infame in perfetto stile fascista, gli occupanti che hanno accettato sono saliti su autobus che li hanno “accompagnati in “residence” che non hanno neanche l'acqua calda, zero dignità, figuriamoci un pulviscolo di ipotesi sul futuro.

Si scrive “accompagnare”, si pronuncia deportare.

A pelle di leopardo si son formati capannelli di compagni, chi beve vino, chi si fa una canna, chi cerca un mediatore per comunicati in tre diverse astruse lingue, i migranti si stringono intorno a chi parla meglio l'italiano per sapere, capire, avere aggiornamenti.

Comincia a circolare la voce che c'andremo giù duro, niente sconti, un compagno mi dice che se il prefetto non ammette che quei “residence” sono lager ci prendiamo anche la torre dell'orologio di fronte al campidoglio, e dà lì poi si scende solo se si vince. Fa parte di quelli che andranno sù dal capo degli sbirri a trattare, mentre parla si guarda intorno come a cercar qualcosa a cui agganciare lo sguardo e lasciarlo appeso lì ad occhi chiusi giusto il tempo di riprender fiato. Vorrei saper dire o fare qualcosa per cancellare un angolino dell'arabesco di tensioni che gli si leggono sul viso, ma mi vengono in mente solo frasi idiote e gesti insulsi, così taccio e cerco di dirgli con lo sguardo che siamo forti e vinceremo, ma sono miope, e noi miopi abbiamo qualche difficoltà in questo genere di cose.

Sono più o meno le sette e mezza quando esplode il primo applauso, un gruppo di migranti ha saputo che abbiamo vinto su tutta la linea, gli sgomberi sono bloccati, hanno ammesso che i “residence” fanno schifo al cazzo, perdonate il francesismo, Sua Eccellenza il Signor Sindaco ha “concesso” di incontrarci e i politicanti riapriranno il tavolo con tutte le parti sociali, movimenti in prima fila.

E tutti noi in trincea.

Mi piace.

Dài che abbiamo vinto, gli dico, ma l'arabesco è ancora lì, sulla faccia del compagno, è felice, stremato, quasi non ci crede, forse non si fida, di chiacchiere ne ha sentite tante.

Ci riprovo, penso a qualcosa da dire, fare, un gesto, qualcosa, ma che si può dire ad un ragazzo di trent'anni che invece di starsene da qualche parte a rilassarsi e divertirsi ha scelto di spalare via un po' del fango che ci sta soffocando tutti, inebetiti spettatori di culi rifatti, seni che scoppiano in aereo e passioni ed emozioni con la stampigliatura della scadenza come barattoli di yogurt?

E siccome che noi siamo gente perbene che dà un valore alla parola data si va tutti in campidoglio ad accogliere i compagni che si stanno preparando a scendere dal tetto.

La gente come noi non molla mai esplode nei vicoletti che da piazza Venezia si inerpicano verso il campidoglio, e visto che siamo una manica di comunisti irriverenti e rompicoglioni, appena passiamo davanti ai pulotti non possiamo esimerci dallo sfoderare il grande classico nella mia città c'è una malattia che non va più via, è la polizia, chè figurati se ci perdiamo l'occasione noi che siam viziosi e goderecci per dienneà.

I compagni che son su ci accolgono con i fumogeni e il megafono col volume sparato a tavoletta, è un tripudio di cori e abbracci e applausi, li vogliamo giù per poterli abbracciare per potergli finalmente dire guardandoli negli occhi iniettati di sonno e di tensione che abbiamo vinto, un'altra volta, e chi se l'aspettava, sorride anche Marcaurelio che finalmente vede un po' di movimento vero, altro che turisti rimbambiti dalle chiacchiere delle guide e dal sole che picchia duro.

Quando scendono dal tetto e mettono piede sulla piazza par di vedere l'uscita dalla casa dei trombati del grande fratello, ritorno per un istante all'epoca della prima, indecente edizione, e sorridendo mi sorprendo a rivedermi mentre mi nascondo tra le altre comparse, come loro prezzolato per far casino, ad ogni passaggio della telecamera, sperando che nessuno mi veda alla tele per non sputtanarmi definitivamente, poi riprendo contatto con la realtà e con gran sollievo mi ritrovo invece in mezzo ad un'autentica armata Brancaleone, picaresca, rumorosa, temeraria, coraggio quanto ne vuoi, cuore da offrire, che oltretutto siam gente mica stupida, altro che isole dei fardelli e grandi farlocchi.

Mi piacerebbe andare all'incontro con Sua Eccellenza il Signor Sindaco per srotolare un enorme coloratissimo striscione, con su scritto “corvo nero non avrai il mio scalpo”.

Però poi chi glie lo spiega a Gianni Alemanno che Sydney Pollack non era un ornitologo?