Per quel che riguarda Uninomade è un primo tentativo di organizzare un
momento di riflessione e di approfondimento immediatamente a ridosso di
eventi politicamente salienti.
Fino ad oggi Uninomade si è
caratterizzata per l’organizzazione di seminari attorno a grandi temi
teorici: la democrazia, il “comune”, c’è stata una serie di incontri
proprio attorno al tema del comune che fanno riferimento evidentemente a
un percorso di ricerca di medio periodo che ha le sue esigenze e
soprattutto i suoi tempi. Ma fin dall’inizio abbiamo avvertito la
necessità di affiancare a questo percorso di periodo medio lungo momenti
di approfondimento e riflessione a ridosso di eventi su questioni
politicamente urgenti, di attualità.
Discutiamo di migrazioni quest’oggi circa un mese dopo i fatti di Rosarno, la rivolta dei migranti a Rosarno e il tentativo di pogrom che è seguito, e a poco meno di due settimane dal primo marzo, dalla giornata senza di noi che molte e molti dei presenti stanno contribuendo a costruire dentro un percorso di ricerca di nuove forme di azione politica e nell’ultima parte del seminario di oggi vorremmo anche confrontarci sulle idee e sulle proposte che attorno al primo marzo stanno circolando.
Quello delle migrazioni è un tema a cui Uninomade non ha
mai dedicato un momento specifico di approfondimento, e che però, negli
ultimi quindici-vent’anni, è stato al centro sia dell’iniziativa di
movimento sia degli studi critici.
C’è ormai in
Italia una consolidata scuola di riflessione critica sulle migrazioni
che ha attraversato diversi ambiti disciplinari e ha messo in
discussione gli stessi confini che dividono questi ambiti disciplinari:
sociologi ed economisti, giuristi e filosofi, antropologi, si sono
confrontati sul tema della migrazione producendo anche in Italia un
patrimonio estremamente significativo di consocenza intorno a tema delle
migrazioni.
Soprattutto quello che ha caratterizzato gli studi
critici sulle migrazioni nel nostro paese è uno “sguardo”, potremmo
dire, decisamente diverso sul fenomeno migratorio rispetto a quello che è
prevalente non solo nel discorso pubblico sui grandi temi
dell’immigrazione ma anche negli studi mainstream su
questo tema.
Noi abbiamo cercato fin
dall’inizio di porre al centro del nostro lavoro la soggettività dei
migranti con gli elementi di ambivalenza che la caratterizzano,
e attraverso il tema delle migrazioni abbiamo cercato di interpretare,
di leggere le trasformazioni che più in generale hanno investito negli
ultimi anni la cittadinanza, il lavoro, i diritti di tutti coloro che
vivono in questo paese.
L’altro elemento fondamentale del lavoro
critico sule migrazioni che abbiamo fatto in tante e tanti in questi
anni è il fatto che fin dall’inizio questo lavoro
si sia collocato su una dimensione transnazionale.
Io credo
che fin dall’inizio sul tema delle migrazioni siano state fatte alcune
delle più significative esperienze di messa in rete a livello
transnazionale sia per quel che riguarda la ricerca che per quel che
riguarda l’azione politica.
L’Europa è stata
negli ultimi anni riconfigurata dai movimenti migratori, e noi abbiamo
cercato di seguire questo processo di riconfigurazione sia con le nostre
pratiche teoriche che con le nostre pratiche politiche.
Credo sia molto importante la presenza oggi qui con noi di Vassilis
Tsianos, ricercatore e compagno che vive attualmente ad Amburgo e che ha
prodotto insieme ad altri ricerche particolarmente significative sulle
trasformazioni del regime di controllo delle migrazioni in Europa, e che
è stato, insieme ad altri, uno degli organizzatori del campeggio non
border che si è tenuto a Lesbo la scorsa estate.
Penso che in un
momento in cui la politica in Europa è caratterizzata da una tendenza
molto forte alla ri-nazionalizzazione, proprio il tema delle migrazioni
ci parli della necessità di tenere sempre aperto lo spazio del
coordinamento dell’azione sul piano transnazionale.
Oggi discutiamo
dunque di migrazioni sulla base di un patrimonio di conoscenze, di
esperienze, di pratiche, decisamente consolidato anche nel nostro paese,
però lo facciamo in una situazione che è in parte diversa rispetto
soltanto a un paio di anni fa. Ho menzionato Rosarno, ma naturalmente si
potrebbero menzionare i tanti altri episodi di razzismo e aggressioni
contro i migranti che hanno caratterizzato l’ultimo anno e mezzo
dell’Italia dal momento in cui si è insediato il nuovo governo di
Berlusconi, ma soprattutto noi dobbiamo ragionare
oggi sulle migrazioni dentro lo scenario della crisi globale,
di quella crisi globale che per quanto riguarda Uninomade abbiamo
cercato di analizzare nell’ultimo anno e mezzo producendo un libro.
In che senso la crisi agisce sulla condizione dei
migranti?
Evidentemente anche dal
punto di vista storico la crisi si scarica immediatamente sui migranti e
sul lavoro migrante.
Ricordo sempre che dai primi anni
’30, mentre Roosvelt avviava il New deal, centinaia di migliaia di
lavoratori messicani residenti negli Usa furono deportati insieme ai
loro figli che erano nella grande maggioranza nati negli stati Uniti e
quindi cittadini statunitensi.
Qualcosa di analogo si potrebbe dire a
proposito degli effetti della crisi del 1973 nei paesi del Nord Europa,
che fu segnata, in particolare in Germania, da straordinari momenti di
insorgenza operaia migrante. Uno dei momenti più alti del grande ciclo
transnazionale di lotte operaie tra la fine degli anni ’60 e l’inizio
degli anni ’70 fu lo sciopero alla Ford di Colonia nella tarda estate
del 1973, uno sciopero selvaggio, autonomo, interamente gestito da
lavoratori migranti e in particolare turchi. Quello fu senz’altro uno
dei momenti più alti di quel grande ciclo di lotte operaie, ma ne segnò
in qualche modo anche la fine. Dal punto di vista delle migrazioni la
crisi del ’73 fu accompagnata dal blocco del reclutamento dei cosiddetti
lavoratori ospiti in Germania e in altri paesi dell’Europa
settentrionale.
Quello che però credo debba essere sottolineato è
che né negli anni ’30 negli stati Uniti, né negli
anni ’70 in Germania, e in Europa in generale, la crisi determinò un
blocco dell’immigrazione.
La migrazione continuò a
investire questi paese, e in particolare la Germania: al contrario di
quanto ritenevano che dovesse accadere i pianificatori tedesco-federali,
negli anni successivi al ’73 la presenza migrante crebbe.
Qualcosa di simile sta accadendo
oggi in una situazion che peraltro è molto diversa rispetto a quella dei
primi anni ’30 degli Stati Uniti o dei primi anni ’70 in Germania. È
molto diversa perché è caratterizzata, per dirla in breve, da un’estrema
flessibilità del mercato dle lavoro e dei movimenti, quindi da una
sorta di aleatorietà della stessa relazione tra offerta e domanda.
Quello che stiamo verificando attraverso la raccolta dei dati e le
ricerche che ci sono in giro è che i migranti non
abbandonano maggioritarimanete i territori in cui sono insediati neppure
in caso di livenziamenti di massa.
Semmai quello che si
sta consolidando è un modello circolare di
migrazione, per cui in alcuni territori, ad esempio di questa
regione, stiamo verificando un uso da parte dei migranti della cassa
integrazione per ritornare per periodi più o meno brevi nel paese di
provenienza con la possibilità però di fare ritorno nel paese di
insediamento.
Qualcosa del genere sta avvenendo anche in altri
territori che sono stati investiti in profondità e ridisegnati nelle
loro geografie sociali ed economiche dalla migrazione.
Penso ad
esempio agli Stati del Golfo o alla Cina. Negli stati del Golfo in particolare ci sono
state ondate di licenziamenti di massa di indiani e beganlesi, e il
tipo di risposta di questi migranti è stato quello di costruire le
condizioni per la migrazione circolare.
Migrazione circolare vuol
dire tornare nel paese di provenienza nel momento in cui non ci sono
occasioni immediate di lavoro nel paese di insediamento, ma tenersi
aperta la possibilità di un nuovo spostamento verso quest’ultimo.
Qualcosa
di simile sta accadendo in Cina per quel che riguarda le migrazioni
interne colossali che sono state e sono uno degli assi portanti del
grande sviluppo cinese.
Torneremo su questi temi in particolare con la relazione
di Sandro Chignola questo pomeriggio. Vorrei ancora dire un paio di
cose sul modo in cui è strutturato questo seminario, ma prima credo sia
necessario introdurre qualche considerazione a proposito di quella che è
stata non solo e non tanto la storia della migrazione nel nostro paese,
quanto la storia delle lotte migranti nei
territori in cui viviamo.
Dicevo prima che noi svolgiamo
questo seminario oggi sulla base di un patrimonio ormai consolidato di
conoscenze, esperienze, pratiche sul tema delle migrazioni.
Evidentemente il seminario si svolge anche in una situazione in cui la
presenza migrante è ormai un dato strutturale nel nostro paese, una
situazione in cui la migrazione è ormai assolutamente matura. Non siamo
più in una fase, che è durata molto a lungo in Italia, di transizione da
paese di emigrazione a paese di immigrazione. Oggi
la migrazione è un dato strutturale da ogni punto di vista: economico,
sociale, culturale, demografico.
A questa natura
strutturale della migrazione corrisponde una storia ormai lunga di lotte
e movimenti dei migranti e delle migranti.
In qualche modo possiamo
anche datare l’inizio delle mobilitazioni su questo tema nel nostro
paese riandando con la memoria, per chi ha più di trent’anni, all’omicidio di Jerry Maslo nel 1989: nell’agosto
del 1989 in Campania, viene ucciso Jerry Maslo, un rifugiato sudafricano
che si era battuto in Sudafrica contro l’apartheid e per questo era
stato costretto, dopo che suo padre era stato assassinato, a lasciare il
suo paese.
Lavorava a Villa Literno nell’agricoltura, in condizioni
non diverse da quelle con cui tutti siamo diventati familiari
attraverso le immagini che sono arrivate da Rosarno nella scorsa
settimana. Dopo il suo omicidio ci fu una straordinaria manifestazione a
Roma nell’ottobre del 1989 che fu davvero l’inizio
della storia del movimento antirazzista in questo paese.
Tuttavia,
già nei primi anni ’90 abbiamo assistito a qualcosa di diverso rispetto
al semplice sviluppo di un movimento antirazzista e cioè a una
straordinaria diffusione di lotte sociali dei migranti in Campania, a
Genova, a Brescia e in molti altri territori dove sin dagli anni ’90 i
migranti e le migranti sono diventati protagonisti di lotte, e tutti noi
sappiamo quanto i nostri spazi, i nostri linguaggi, le nostre
esperienze siano state attraversate e trasformate dal protagonismo dei
migranti.
Dal punto di vista della composizione
sociale delle lotte e dei movimenti credo che il protagonismo dei
migranti sia stato uno degli elementi più significativi della storia
delle lotte degli ultimi vent’anni in Italia.
Le lotte dei
migranti sono state lotte che hanno investito una pluralità di terreni:
lotte contro il razzismo quotidiano, lotte per la casa, sul lavoro,
lotte molto spesso per imporre la legittimità di una presenza, il che ha
voluto dire prima di tutto rivendicare un permesso di soggiorno, ma ha
voluto dire molto di più: ha voluto dire imporre una nuova immagine di
quello che è il territorio delle nostre città; una nuova immagine dei
quella che è la cittadinanza intesa in senso lato.
Quindi diritti, certamente – il tema del permesso di
soggiorno - il “diritto ad avere diritti”, figura arendtiana che molti
di noi hanno sviluppato appunto sotto la spinta delle lotte dei
migranti. Diritti, cittadinanza, lavoro, razzismo:
sono un po’ le quattro parole chiave che abbiamo cercato di riprendere
dalle lotte di questi vent’anni per articolare la struttura del
seminario di quest’oggi.
Le quattro relazioni che
ascolteremo corrispondono grosso modo a questi quattro concetti.
Ancora due cose molto rapide e poi concludo questa
introduzione: diritti, cittadinanza, lavoro, razzismo: io credo che dal
punto di vista politico noi dobbiamo continuare ad articolare questi
quattro terreni nella nostra azione quotidiana sul terreno delle
migrazioni.
L’intervento politico sulle
migrazioni non può a mio parere che muoversi dall’uno all’altro di
questi quattro terreni tenendoli continuamente assieme. Articolandoli.
Dal punto di vista teorico invece, sono
convinto che un’analisi delle migrazioni, delle politiche di controllo
delle migrazioni, delle lotte dei migranti, non possa prescindere
dall’assunzione, come punto di vista fondamentale, del tema del lavoro.
Per la semplice ragione, intanto, che la condizione dei migranti in
Europa continua ad essere profondamente segnata dal loro status in
riferimento al lavoro: il permesso di soggiorno in tutta Europa si
ottiene sulla base dell’esistenza di un determinato status lavorativo. E
ciò significa che in tutta Europa le politiche migratorie continuano ad
essere politiche in primo luogo del lavoro, e penso che sia un punto
essenziale da tenere presente nell’analisi dei movimenti migratori,
delle politiche migratorie, delle lotte dei migranti.
Da un punto di
vsita politico, invece, credo che sia sbagliato, come alcuni fanno,
insistere sulla primazie del lavoro, dei diritti, della cittadinanza o
dell’antirazzismo. È soltanto combinando costantemente, in costellazioni
mutevoli che noi dobbiamo produrre, questi quattro elementi, che
possiamo costruire un intervento politico innovativo sul tema delle
migrazioni.