Un tranquillo weekend di Regime

Alfonso Mandia

25 / 2 / 2010

Sono le dieci e mezza di mattina, quando arriva la telefonata, stanno sgomberando, quattro blindati, ho già chiamato i compagni, stanno scendendo tutti.
Cazzo!

La Tommaso Grossi è una scuola media abbandonata, teoricamente destinata ad ospitare un distaccamento ASL a Centocelle, uno dei quartieri più multietnici di Roma, ma in pratica non si sa niente dei finanziamenti necessari alle ristrutturazioni, non si sa quando partiranno i lavori, di gare d'asta per l'assegnazione degli appalti neanche l'ombra.
La solita schifezza della grande abbuffata serenamente condivisa da centrodestra e centro sinistra, tra un Sindaco di Roma che si porta sempre dietro il “corredo buono” di croci celtiche e un presidente del municipio retto esponente dell'Italia dei Valori che talvolta, nel weekend, se ne va “a pescare” .
In mezzo, ottanta “nuclei” .
Single, famiglie, anziani, studenti.
I “senza casa” .
Gente che passa da un'occupazione all'altra, che per unico continuo filo conduttore ha il profilo delle strade che percorre tra uno sgombero e una tendopoli, un picchetto antisfratto e una carica della Polizia di Regime.
L'ultima volta venti feriti e un arrestato.
Un bollettino di guerra tutto metropolitano.

Un gruppo di pulotti in antisommossa mezza smontata mi passa accanto con dei pezzi di pizza in una mano e bottigliette d'acqua nell'altra.
La banalità della routine, gli sgomberi son diventati pic nic, noialtri spazzati via come formiche da una tovaglia.
Davanti al cancello della scuola una fila di dobermann, sguardo truce, un paio mi puntano, io ricambio e me ne fotto, i compagni hanno disegnata sulle facce una gamma di emozioni che vanno dal perplesso semiserio all'incazzato nero.
E' sempre la solita storia, ormai si stanno rosicchiando pure l'osso, li mortacci loro!.
Il quartiere sta dalla nostra.
Uno a zero e palla al centro.
Cominciano ad uscire i primi materassi arrotolati, la fila all'ingresso di chi deve andare dentro a recuperar qualcosa sembra una di quelle per la distribuzione della tessera annonaria o la razione settimale d'acqua.

La brancaleonica armata di profughi e "attivisti" approda a Forte Prenestino ed è subito casbah, si fan gli appelli delle liste, tu c'hai bisogno?, quanti siete?, telefonate a raffica tra compagni per trovare una sistemazione a tutti, è un bel casino, ma si respira aria buona, aria di montagna, pulita, ci mettiamo il cuore, nessuno qui ha la minima intenzione di arrendersi a questa cricca di affaristi d'accatto, strozzini beatificati, mafiosi, piduisti, politicanti riciclati e piccoli squallidi benitimussolini.

I ragazzacci del ristorante del Forte ci mettono il carico da undici con un rigatone al sugo e parmigiano che levati, che in romanesco significa che quel qualcosa di cui parli t'è piaciuto.
È una bella giornata, c'è il sole, ci ritroviamo gli ultimi due gatti seduti a tavola a goderci la giusta ricompensa, abbiam sistemato tutti, deciso le prossime mosse, e la giornata è ben lungi dall'essere finita, e anche oggi abbiam detto a gran voce adessobasta!.

Dieci minuti prima di mettermi a scrivere il pezzo rientra a casa la mia coinquilina e mi dice che siam saliti di nuovo sui tetti, il compagno Torello come sempre a guidare il drappello di rompicoglioni guastatori.
Daje forte!, si dice in questi casi, nella capitale.
Magari domani ci faccio un salto, lassù, con la scusa di portargli un caffè.

Vabbè, s'è fatta na certa, che sarebbe a dire si è fatto tardi, è giunta l'ora della chiusa.

Alle tre e dodici del mattino sono ancora qui a lambiccarmi il cervello ma niente, il pensiero se ne vola a quello che tocca far domani e buonanotte ai suonatori.

Cacchio!, ma perchè ho sempre problemi con la chiusa?

Com'è che avevo scritto l'altra volta?, quella dei tetti dei musei capitolini?
Buonanotte compagni, se ne riparla domani, se la memoria non mi inganna.
Clik.
Buio.