Gomorra e la sua critica sono possibili anche al di là della rappresentazione di eroi di carta e dell' autocompiacimento identitario e minoritario.

Il guaio di Gomorra e dei suoi detrattori.

Opere e critica hanno bisogno di un terreno immanente orizzontale e materiale dove sedimentarsi. Un terreno non minoritario. Generato dai conflitti e dalla vita. Insieme al comune. Ed al suo potere.

11 / 8 / 2010

Saviano santo.

Le polemiche su Gomorra sono sbagliate. Sia quelle in difesa del libro, sia quelle contro. Perché un libro è un libro e resta un libro.

E' la lettura di questo libro, che avviene, volente o nolente, sotto l'influenza del mercato editoriale e della sua valorizzazione, che crea danni.

Un libro se non si apre e si legge è inerte. Ed ognuno quando lo apre e lo legge fa come gli pare. Nel caso di Gomorra è ancora più evidente. Un campano avrà una lettura diversa da un lombardo. Non fosse altro che il primo con queste realtà ci convive da sempre. E a volte, succede in Campania, il sangue e le storie raccontate sono state anche subite, direttamente o indirettamente - anche la Lombardia è investita dalla camorra ma qui è più manageriale, più invisibile, più integrata nel business "normale" del capitale. E poi ci sono le sensibilità individuali ed ideologiche che contribuiscono ad aumentare le differenze in questa lettura. Quando, ancora, il libro si svela in mano ad un rivoluzionario, ad uno che produce o vorrebbe produrre conflitti, specialmente se meridionale, si avranno ancora altre letture. E l'intellettuale di professione ne avrà ancora un'altra. E via di seguito.

 Ma quello che resta di tutto questo è una omologazione senza arte né parte. Una omologazione che rende tutto senza sapori (la cruda vita che in queste vicende si consuma) e saperi. La lettura del libro non sfugge a questo processo di valorizzazione che è ramificato nel libro stesso attraverso il mercato editoriale, culturale e spettacolare.

 Se Gomorra avesse venduto 20 mila copie e non 9 milioni, il giudizio su questo libro sarebbe stato diverso. Perché la sua lettura e la sua valorizzazione avrebbero riguardato una nicchia di lettori e non una moltitudine. Anche Saviano sarebbe stato diverso, avrebbe detto cose altre e si sarebbe collocato biologicamente e politicamente in questa nicchia di mercato. Questo semplicemente perché non si sarebbero aperte o almeno non spalancate le porte dello spettacolo e non si sarebbero chiuse o quantomeno socchiuse le porte della vita (mi riferisco alla gabbia della scorta).

 In queste condizioni il libro di Alessandro Dal Lago sarebbe stato impossibile, non avrebbe avuto spazio sul mercato editoriale. Mentre un bel dibattito, fra i due, alle cinque del mattino, in qualche televisione sarebbe stato possibile. I due avrebbero combattuto linguisticamente la camorra ed il capitale. Attaccandoli da due lati. A quello letterario ci avrebbe pensato Saviano a quello politico Dal Lago.

 Tutto questo senza che Gomorra fosse stato scritto in altro modo. Sarebbe cambiata solo la sua valorizzazione e con essa anche il senso del libro. Ed anche le sue eventuali carenze sarebbero diventate irrilevanti, di poco conto, anche perché il libro è grosso. Così la gestione del libro sarebbe stata in dotazione della nicchia dei 20 mila, tutti di sinistra, con larga egemonia ideologica rivoluzionaria. Ed i conti nel mondo sovrastrutturale delle ideologie sarebbero tornati.

Oggi è il restare minoritario che definisce la perfezione identitaria dell'opera e non l'opera in sé.

 Lo scenario che ho evocato non è inventato del tutto. Qualcosa di simile è avvenuto all'inizio della prima edizione di Gomorra. Saviano, infatti, ad un mese dall'uscita del libro, lo ha presentato al "Laboratorio sociale Millepiani" di Caserta, cercando di mettere in piedi dispositivi di valorizzazione dell'opera molto diversi da quelli di oggi, non sospettando nemmeno lontanamente il successo che l'aspettava. La valorizzazione che Saviano, all'epoca, proponeva aveva più di un punto in comune con le attuali critiche di Dal Lago. Non letteralmente ma di senso.

 Per tutti i libri è così. Ma per Gomorra lo è di più.

 Qui, la struttura del libro, che è la chiave del suo successo, è infatti un innesto, come dire, biopolitico?, tra un saggio ed un romanzo. Un mix intelligente e appassionante fra questi due generi. Il raccontare in prima ed in terza persona ed altri artefici letterari sono lo strumento necessario per far questo, come pure le storie che si incrociano e si completano con le descrizione di particolari estetici, culturali, di costume ed ambientali. Con il tutto che... deve essere "vissuto"!

 Questa è la potenza di Gomorra. Il libro con un bel lavoro di archeologia si potrebbe dividere in due. Un saggio di denuncia sulla camorra ed un romanzo su storie camorristiche. Ma sarebbero stati due libri mediocri o quantomeno non di grosso valore. E' il mix savianiano di questi due aspetti che fa la potenza di Gomorra. Qui è l'arte, qui è la letteratura, dice lo stesso Saviano.

 Questa struttura "mixata" o "biopolitica" tra saggio e racconto, rende più difficile la critica come pure l’apprezzamento “ideologico” del libro.

 E così i detrattori di Gomorra analizzando il libro con spirito razionalista e illuminista, cadono in una trappola identitaria. Diventano succubi della dittatura dell'identitario. A questi sfugge la “poesia” del saggio. E la loro critica non serve.

I suoi fautori restando attaccati alla valenza letteraria e assolutizzando la microfisica del testo non vedono l'omologazione vuota e inutile (giustizialismo, legge e ordine, sottoproletari colpevoli di adesione volontaria alla camorra, Napoli corrotta, gente che non fa il proprio dovere,  ecc. ecc., tutte fesserie inutili, inefficaci e banali oltre che aizzatrici di mentalità reazionaria) che il libro sedimenta. Facilitata e moltiplicata dalla prosa romanzata. E rafforzano gli eroi di carta e virtuali che non servono. Nemmeno loro.

Quello che ho descritto succede perché non riusciamo a metabolizzare che struttura materiale e sovrastruttura immateriale, oggi, non sono più separate ma fuse insieme, che sono tutt'uno con l'oggetto materiale.

 Anche noi siamo talmente limitati che non riusciamo ad assimilare biologicamente e politicamente questo concetto. Nonostante la grande produzione culturale sul superamento delle certezze e dei ghetti identitari e le grosse, belle ed entusiasmanti esperienze di lotte come quelle delle comunità in rivolta, dell'onda, dei centri sociali e di non poco ancora. Figuratevi come sono combinati gli altri.

 La merce, qualsiasi merce, ma sopratutto quella culturale, non esiste più solo come prodotto materiale ma viene prodotta, acquistata, consumata ed anche usata come tutt'uno con la sua valorizzazione immateriale.

 Quando si legge Gomorra si assimila anche la sua valorizzazione che è parte reale ed integrante del libro che lo forma, lo propone e lo omologa per renderlo compatibile a questo presente sedimentando un pubblico impotente e contemplativo.

 Se non si vede questo, la critica è inefficace. Anche questo processo deve essere criticato e superato generando conflitti che attacchino contemporaneamente "struttura" e "sovrastruttura" creando un terreno di immanenza dove la cruda vita esprima anche l'arte della vita e dove farla finita, finalmente, con la produzione di rappresentanze. E questo non può essere fatto in modo minoritario.

 Di Saviamo abbiamo letto un libro. Bello o brutto, capolavoro o no, giusto o ingiusto. Non è questo il problema.

 II problema è quello che resta del libro. Non su un piano personale, qui ognuno conserva quello che vuole.   Interessa quello che resta del libro nel mondo. E nel mondo non si sedimentano i saperi, la lettera del libro il ragionamento illuminista e razionalista, ideologico o identitario ma l'icona di Saviano che diventa un nostro amico (immaginario). Un amico più amico del nostro migliore amico, di quello che, per intenderci, nella vita reale ci ha difeso dalla violenza del capitale, ci ha prestato i soldi in un momento difficile, che ha combattuto e costruito con noi mille battaglie.

 Con Gomorra, collettivamente, si conserva l'icona di Saviano che diventa "più vero" dei nostri rapporti quotidiani e reali. Più vero delle persone, delle cose e delle situazioni che viviamo giorno dopo giorno e dei nostri figli, non solo biologici. Esiste qualcosa di più alienante di ciò?

 Per il capitale Saviano deve diventare un mito, altrimenti i milioni di libri e lo settacolo produttivo che ne deriva non possono essere sfruttati nei meccanismi "ro sistem". L'organizzazione mafiosa e/o capitalistica che si voglia.

 Oltre che sulla lettera è sul superamento di questo meccanismo che devono essere approntate le nostre opere e la nostra critica, necessariamente anche pratica, generando con i conflitti e la vita un mondo “nostro” dove cominciare a vedere, valorizzaresedimenta-re, il comune. E la sua potenza. In modo non minoritario. Invece di riproporre ragioni e giustizie identitarie ed impotenti o cadere nella produzione di rappresentanze, eroi di carta, appunto.

 A Salerno, in agosto 2010, il dott. nessuno.