Theatre of violence: il documentario sul guerrigliero e criminale di guerra ugandese Dominic Ongwen

L'opera di Emil Langballe e Lukasz Konopa è stata presentata in anteprima nazionale all’ultimo Festival dell’Internazionale di Ferrara.

6 / 10 / 2023

Il 6 maggio 2021 la Corte Penale internazionale condanna a 25 anni di carcere Dominic Ongwen. Dominic è un guerrigliero ugandese di etnia Acholi nonché capitano di una delle quattro brigate del gruppo di ribelli anti governativi Lord Resistance Army (L.R.A). Il comandante ugandese è accusato di 61 capi d’accusa tra cui crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Dal rapimento e inquadramento di bambini soldato alle violenze efferate contro le donne fino alle mutilazioni genitali: la sentenza di Dominic (direttamente reperibile qui) ci porta in una realtà di fanatismo religioso e violenza. 

Il documentario Theatre of Violence presentato in anteprima nazionale all’ultimo Festival dell’Internazionale di Ferrara vuole raccontare la storia del combattente non solo da punto di vista della C.P.I. ma dando voce, riprendendo e immaginando i pensieri e le reazioni del popolo ugandese, prima vittima civile delle violenze del L.R.A. 

Il film, di durata 105’, si presenta come una ricostruzione storica dell’accaduto. Facendo un sapiente uso di filmati e audio d’archivio, il lavoro dei registi Emil Langballe e Lukasz Konopa ci mostra sotto una nuova luce la storia e soprattutto le storie che costernano l’unico processo di un leader del L.R.A fino ad ora mai avvenuto. 

Fermo restando il fine documentaristico del prodotto cinematografico, possiamo ritrovare nel lavoro dei due registi una buona qualità sia delle riprese che della fotografia (lo stesso Konopa ha lavorato proprio come direttore fotografia). In particolare ci sono ottimi campi larghi dai quali possiamo sentire le voci (rigorosamente in lingua Acholi e autoctona) dei protagonisti e delle protagoniste mentre si delineano fuori dal campo, quasi avessero origine in un etere così distane dall’assorto crepitare del fuoco delle capanne bruciate dai miliziani del L.R.A. 

L’immagine nel documentario si configura come una lontana cornice che tiene assieme la narrazione portandoci sui piani fermi dei luoghi dell’Uganda occupata e non.

Di qui la scelta dei registi di non veicolare la violenza attraverso l’immagine, ma di lasciare che siano i racconti e le voci fuori campo a trasportare lo spettatore direttamente dentro una capanna acholi, in un’infinita strada che arriva oltre il campo visivo della retina o in una angusta aula di tribunale. 

Al di là degli aspetti visivi la storia si delinea come un orizzonte spaventosamente vicino. Continua laconica e perentoria a metterci davanti le peggiori atrocità che il mondo possa immaginare.

Dominic, come tanto altri bambini (i numeri variano tra circa 20.000 a 60.000) viene rapito piccolissimo.

Aveva solo 9 anni (altre fonti non citate nel documentario diranno però 14) quando, mentre si recava a scuola, una imboscata del L.R.A lo rapisce mentre percorreva il sentiero in mezzo ai campi. Dominic è un ragazzino sveglio e sa come funzionano le cose in Uganda settentrionale. I genitori gli diranno chiaramente che, in caso di rapimento, avrebbe dovuto usare un’identità fittizia per evitare rappresaglie sulla famiglia. Quello stesso giorno Dominic, aiutato da altri due adulti, tenta la fuga dal campo della milizia. 

La fuga dura poco. Gli L.R.A troveranno lui, un altro bambino e due adulti non lontano dal loro campo base. I due adulti vengono legati a dei pali. Dominic e l’altro bambino saranno costretti ad ucciderli a coltellate e berne il sangue. Non avevano scelta. 

Il non aver scelta sarà il cavallo di battaglia dell’avvocato difensore di Dominic, Krispus Ayena.

Dominic, cresciuto in un contesto di violenza e fanatismo esasperati, non conoscerà alternative al suo modo di comportarsi. Del resto, il modus di Dominic lo porterà in breve termine a scalare i vertici dell’organizzazione. A meno di 20 anni diviene capo brigata e membro del “Control Altar” il direttivo militare della milizia. Iniziata la sua rampante carriera, dal 2001 al 2005 compirà i peggiori reati che si possano contestare a un essere umano: stupri di massa, lapidazioni, esecuzioni sommarie, distruzione di interi villaggi, uso sistematico della tortura.

La difesa lo ribadirà con convinzione durante il processo, arrivando addirittura a chiederne l’assoluzione: Dominic Onwger non aveva però scelta. I fuggiaschi, chi scappava dai campi, venivano inseguiti fino ai villaggi, le loro famiglie sterminate. La domanda non può che sorgerci spontanea: può una persona cresciuta in un contesto come quello del L.R.A risultare responsabile delle proprie azioni?

L’accusa impugna e dice sì. Come sarebbe possibile scagionare un individuo da ogni tipo di ripercussione legale e morale a vita, solo perché cresciuto in un contesto di violenza? Può una persona non avere la minima responsabilità nei confronti di un vero e proprio genocidio? 

Ma questo è un pensare occidentale, diranno gli acholi. Una comunità che, come apprendiamo dal film, crede fermamente nella giustizia riparativa. Molti e molte si chiederanno durante il processo se veramente questa vendetta contro Dominic -vittima anch’esso delle violenze del L.R.A.- abbia o meno senso. Si chiederanno anche se la loro comunità non abbia forse bisogno di pacificazione prima che di desiderio di rappresaglia verso solo uno dei tanti responsabili di crimini e violenze. 

È questa linea che costituisce il filo del racconto. Se è vero che il dilemma della vittima-carnefice ci pone la questione della reale colpa di Dominic, non possiamo dimenticarci dell’opinione di chi quelle violenze le ha subite e continua a subirle: la popolazione Nord Ugandese.

E se è ancora vero che il popolo, i villaggi chiedono -sempre a loro modo- giustizia, risulta altrettanto giusto che la richiesta si estenda anche alle analoghe azioni delle forze del governo autoritario di Museveni.

Yoweri Museveni è l’attuale presidente della Repubblica dell’Uganda in carica dall’86’, quando il suo Movimento di Resistenza Nazionale rovesciò Obote.

Museveni è un personaggio estremamente controverso, considerato in Uganda alla stregua di un dittatore e vicino agli interessi occidentali. Come apprendiamo dal documentario, negli stati settentrionali del Paese (dominati dall’etnia Acholi) le azioni repressive di Museveni non sono state migliori di quelle del L.R.A. I soldati governativi sono considerati al pari dei ribelli in quanto a efferatezza e corruzione. 

Emblematica la scena in cui diversi emissari della C.P.I si recano nei villaggi interessati alle azioni incursive del L.R.A. Dopo il lungo viaggio in jeep, con la telecamera sul cruscotto a regalarci gli scorci delle zone settentrionali del Paese, il gruppo di inviati giunge in uno dei villaggi interessati delle rappresaglie dell’Esercito di Resistenza del Signore dove i diplomatici presentano alla popolazione (con l’ausilio di supporti audio-visivi) i lavori che la Corte sta svolgendo su Dominic.

In un clima disteso e con diverse decine di persone in piedi ad osservare il piccolo schermo, viene prontamente posta la questione del perché le truppe governative non sono state imputate. Uno degli emissari della C.P.I, in maniera forse un po' scherzosa afferma che Museveni è il governo e il governo non può esser processato. 

Altra frattura riguarda la natura mistica dei seguaci del L.R.A. La questione della spiritualità viene sovente affrontata nel documentario tramite la stessa Corte e il dibattito pubblico. L.R.A. è una milizia per le sue caratteristiche decisamente sincretica: il corpus di credenze e di pratiche sostenute affonda le radici sia nel cristianesimo radicale che nelle tradizionali religioni animiste ugandesi. Come avrà l’occasione di raccontarci un miliziano, alle volte sembrava più stregoneria che cristianesimo.

"È una strana religione, quella cui Kony si professa fedele: la domenica prega il Dio dei Cristiani, recitando il rosario e citando la Bibbia, ma osserva anche il venerdì, con la preghiera di Al-Jummah, come i musulmani. Festeggia il Natale, ma rispetta anche il digiuno di 30 giorni durante il Ramadan e proibisce che si consumi carne di maiale." - anonimo miliziano fuggiasco

Il peculiare fanatismo religioso fa dei guerrieri del Signore dei soldati spietati e impavidi. Con un coraggio misto a fanatismo che ci può ricordare la rivolta dei Simba così come l’ISIS o i Khmer Rossi, i combattenti come lo stesso Dominic hanno l’abitudine di cospargersi di oli sacri credendo che ciò rendesse invulnerabili ai proiettili. 

Ce lo dirà lo stesso Dominic. Le credenze religiose erano alla base del fanatismo dell’organizzazione. Da bambino lui stesso assisterà a quello che per lui fu il primo “miracolo”: un sasso speciale che, se raccolto e lanciato, implodeva trasformandosi così in una granata.

L’indottrinamento non si fermava solo al fatto di poter modificare la realtà della battaglia, ma entrava anche nel profondo, fino a incrinarsi direttamente nelle coscienze dei guerrieri che per molti miliziani non venivano disposte direttamente da loro stessi ma dal famigerato leader-profeta Joseph Kony che le controllava attraverso gli spiriti. Kony può tutto ed è ovunque. Qualsiasi torto fatto al progetto del L.R.A sarebbe giunto attraverso gli spiriti ai suoi occhi e lui avrebbe presto provvedimenti terribili. 

Secondo alcuni Ugandesi la C.P.I sottovaluta fortemente la componente mistica del L.R.A. Immaginare l’Esercito del Signore come un gruppo fanatico cristiano recide totalmente il forte legame che la milizia aveva con le pratiche popolari e animistiche della religiosità autoctona. Pratiche che lasciano poco spazio all’interpretazione: chiunque si fosse opposto a Kony ne avrebbe pagato le conseguenze. 

1077 pagine di sentenza, una sola parola termina il processo: colpevole. La giuria lo spiegherà chiaramente: la condanna a 25 anni e non all’ergastolo è stata emessa proprio per evitare che diventi una semplice vendetta di Stato.

Nel frattempo, Museveni fa arrestare i leader dell’opposizione. Vincerà le elezioni del 2021 col 58% dei voti. L’opposizione denuncerà brogli e arresti arbitrari. 

Nel frattempo, il “profeta” Joseph Kony, nonostante un mandato di cattura della stessa C.P.I., è ancora in libertà e probabilmente cerca il momento giusto di rinforzare l’L.R.A., formalmente ancora in attività.