Superare la "vergogna sociale" attraverso la letteratura

Al Festival di Letteratura Working Class un panel sulla lingua romanza, con Annalisa Romani e Stefano Valenti.

27 / 4 / 2024

Il Panel di Letteratura working class in lingua romanza, intitolato “Letteratura come un'arma", è stato uno dei momenti centrali del Festival di Campi Bisenzio. La sessione è stata coordinata da Alberto Prunetti, direttore del Festival, e ha visto la partecipazione di due figure significative nel panorama della letteratura contemporanea: Annalisa Romani - traduttrice di Françoise Ega, Didier Eribon ed Édouard Louis - e Stefano Valenti, scrittore e autore de La fabbrica del panico. Era attesa anche Layla Martinez, scrittrice spagnola e autrice de Il Tarlo, ma purtroppo non ha potuto partecipare all'evento.

Alberto Prunetti ha aperto il dibattito con una riflessione su un dizionario francese di autori proletari, menzionando Annie Ernaux come un'autrice ancora poco conosciuta in Italia, ma di una enorme importanza nel panorama letterario, al di là del Nobel ricevuto due anni fa. Questo ha gettato le basi per una discussione approfondita sulla letteratura come strumento di espressione e resistenza.

Annalisa Romani ha condiviso la sua gratitudine per essere presente al festival, definendo l'evento come una "eterotopia", secondo il concetto di Michel Foucault. Ha sottolineato l'importanza di ricostruire una costellazione di opere e autori, citando esempi come Didier Eribon ed Edouard Louis. Ha discusso del lavoro di Annie Ernaux, notando che i suoi libri, come Il posto del 1983 o Una donna, sebbene spesso interpretati come “romanzi rosa”, affrontano tematiche profonde legate alla classe sociale.

Romani evidenzia inoltre la volontà di Ernaux di descrivere il reale senza ricorrere a metafore, autocompiacimenti, né fare l’occhiolino a classi superiori. Ernaux definisce la sua scrittura come un'auto socio biografia, un'osservazione che può essere fatta anche per i lavori di Didier Eribon. Romani ha infatti fatto riferimento al libro di Didier Eribon del 2009, intitolato Ritorno a Reims, in cui l'autore fa un “coming-out” sociale, esponendo la vergogna non solo in senso psicologico ma anche sociale. Eribon dichiara di essere figlio di un'operaia e di una donna delle pulizie e racconta di non essere andato al funerale del padre. Questo racconto sembra delineare un percorso ascensionale, ma Romani ha rimarcato che in realtà non è così.

Inoltre, Romani ha discusso delle difficoltà che Eribon ha affrontato nel suo percorso accademico, rivelando che dopo la tesi non ha avuto accesso al dottorato a causa della mancanza di soldi e di conoscenze. Ammette anche come nella società ci siano sacche che ammettono di superare certe difficoltà, esponendo il concetto delle cosiddette "maglie". Questo discorso ha portato alla discussione sull'importanza di de-psicologizzare la vergogna, dandole invece una connotazione politica e sociale. In particolare, si è citato il lavoro di Édouard Louis, che ha utilizzato la vergogna come strumento contro il potere dominante, come dimostrato nel suo racconto di filiazione Chi ha ucciso mio padre?. Questo approccio ha messo in luce la necessità di affrontare le questioni politiche e sociali attraverso la letteratura.

Inoltre, si è ribadita l'importanza dell'inclusività nella letteratura, con i relatori ospiti che hanno evidenziato la necessità di rappresentare le voci della classe lavoratrice e degli emarginati nei testi letterari. Ciò promuove una maggiore consapevolezza e comprensione delle diverse realtà sociali, come sottolineato dalla lettura dei passaggi di Eribon: “quando si è figli di operai si sente sulla propria pelle la coscienza di classe”. Si fa riferimento alla distinzione tra "dominanti" e "dominati", definendo così le persone in base al loro contesto socio-economico. Inoltre, c'è la dichiarazione di Eribon secondo cui: “Accetto di essere definito scrittore proletario solo quando Proust sarà definito scrittore borghese”.

Durante il dibattito, si affronta il contesto sociale e politico della Francia degli anni passati, che organizza una sorta di immigrazione economica, facendo venire persone dalle Antille impiegandole nel porto (uomini) e come domestiche (donne). Si mette in luce il lavoro di Françoise Ega, che comprende l'intento di separazione della società e cerca di convincere uomini e donne a non partire. Si descrive anche la dinamica delle relazioni domestiche tra le donne nere e bianche, che nascondevano l'aspirapolvere per far faticare di più le domestiche.

Successivamente, si sposta l'attenzione sull'Italia, dove Stefano Valenti, un tempo traduttore e ora autore, condivide la sua esperienza. Valenti ricorda il momento in cui i suoi libri, insieme a quelli di Prunetti, sono stati pubblicati nel 2013, e la sensazione di essere visti come "animali strani". Si sottolinea la presenza di una forte letteratura politica del precariato in Italia, spesso legata ad autori di origine borghese. Valenti racconta della sua personale lotta contro la solitudine e la vergogna, e come queste siano tematiche centrali nel suo libro "La fabbrica del panico". Parla del lavoro di suo padre presso la Breda, dove molti operai sono morti a causa dell'amianto, e di come abbia tentato di ricostruire un'eziologia famigliare, dalla morte di malattia del padre alla sua ansia.

Si evidenzia poi il concetto di "essere diventati fabbrica", indicando come le condizioni vissute dai genitori in fabbrica siano ora vissute anche al di fuori (vergogna, solitudine, mancanza di cultura). Valenti fa riferimento all'opera di Mark Fisher, che ha trattato ampiamente la paura della fine del mondo e la pressione di una società che richiede prestazioni. Si pone la domanda a Prunetti: “non hai l’impressione che le cose stiano cambiando?”

Alberto Prunetti interviene, sottolineando il ruolo trasformativo del Festival e il passaggio da un individuale "io" a un collettivo "noi". Si evidenzia il Festival come risultato della mobilitazione della GKN, che ha contribuito a creare un senso di comunità. Si sottolinea l'importanza di uscire dall'isolamento e di comprendere chi vive situazioni simili, riconoscendo la solidarietà come strumento per affrontare le sfide della classe lavoratrice.

Immagine di copertina: foto di Siria Toccafondi.