Proponiamo la riflessione comparsa sul portale di Wired Italia sulle dichiarazioni del governo e la risposta del direttore della Siae, Gino Paoli, in relazione alla necessità di aumetare la tassa su Smartphone e PC in quanto supporti per "consumare contenuti multimediali soggetti a Siae" e usufruiti dai detentori degli stessi come "copia privata".
L'ennesima presa di posizione, un vero e prorio attacco a detta di molti, alle libertà fondamentali e alla libertà di circolazione delle idee della Società Italiana Autori ed Editori che già non tollera l'esistenza di spazi materiali di autoproduzione e indipendenza come teatri e centri sociali occupati e ora mal sopporta quelli telemateci come il web 2.0.
Abbiamo davvero bisogno di Jean Michel Jarre e Gino Paoli per capire cos’è uno smartphone?
È una vecchia questione che periodicamente ritorna di attualità: retribuire gli autori per la “copia privata”. Ogni volta che compriamo un telefonino o un PC paghiamo 1 o 2 euro per il “diritto” di poterlo usare per consumare i nostri contenuti: musica, video, etc. Ora si parla di aumentare questo tassa fino al 500% (per gli Smartphone, dove arriverà a 5 euro) e di estenderla ai tablet e alle TV (es i decoder che salvano i programmi su un hard disk). Il 21 dicembre scorso la SIAE ha comprato mezza pagina sui alcuni quotidiani per spiegare che “non è una tassa”, ma un modo di retribuire gli autori dei contenuti e di “garantire il presupposto di libertà per il sistema cultura”. Un espediente che in altri paesi, diceva l’annuncio, porta a prelevi 20 volte superiori all’Italia, e che comunque dovrebbero essere pagati dalle aziende, non dai consumatori.
Il tutto si concludeva con una frase ad effetto di Jean Michel Jarre. Sì, quello di “Oxygene”, 1976. Ha ristampato, riproposto, rielaborato quel lavoro numerose volte ma non fa un disco rilevante da anni; oggi però presiede la CISAC, la Confederazione Internazionale delle Società degli Autori e Compositori. “L’unica cosa che c’è di smart in un telefono sono i contenuti”, diceva Jarre. Gino Paoli, presidente della SIAE, è tornato a difendere gli aumenti, dichiarando al “Corriere” che l’equo compenso non è una tassa (in realtà lo è: leggi l’analisi di Wired.it): “La definizione è importante (…) Di sicuro non si tratta di una tassa sugli smartphone. E poi cosa vuol dire copia privata? Non l’ho capito. Qui si parla di compenso dell’autore (…) Si tratta di un compenso in cambio della possibilità di effettuare una copia personale di registrazioni, tutelate dal diritto d’autore”.
Non è solo una questione legislativa, ma culturale. Si potrebbe discutere del fatto che si debba pagare nuovamente l’autore per fare una copia personale di qualcosa che ho già. Ma rileggete la frase di Jean Michel Jarre. No, non è vero che l’unica cosa “smart” oggi sono i contenuti. Oggi l’innovazione non è solo nella musica, è negli hardware e nelle interfacce, nei servizi che ci permettono di accedere e consumare canzoni e album in maniera più immediata, sicuramente diversa da un tempo. Oggi si finisce a parlare più della forma in cui ci arriva la musica (streaming, download, la differenza tra questa e quella piattaforma, questo e quel servizio, questo e quell’hardware) che della sua sostanza. L’importanza data al discorso sulla forma della musica è forse eccessiva, vero: spesso va a scapito della musica in sé. Ma è un segno dei tempi, e di certo non da ieri.
“Quando prendiamo un taxi paghiamo la corsa e lo consideriamo il compenso per il servizio ricevuto, non una tassa”, dice Paoli, sempre al “Corriere”. Ma il paragone non regge. Come se chi produce benzina chiedesse un compenso ai produttori delle auto usate dai tassisti. Certo, la musica è altra cosa dalla benzina e certo, gli autori sono l’anello debole della catena di produzione della musica, oggi: tutte le polemiche sulle “briciole” che ricevono dai servizi di streaming musicale lo dimostrano. Ma siamo sicuri che la soluzione per tutelarli sia chiedere 5 euro a chi produce uno smartphone, un tablet o un decoder? E, soprattutto, siamo sicuri che Jean Michel Jarre e Gino Paoli siano le persone giuste per spiegarci cos’è uno smartphone e come lo usiamo per ascoltare la musica?
di Gianni Sibilla
La Siae sbaglia: l’equo compenso è una vera e propria tassa
Dopo le affermazioni del Ministro Bray (‘non è prevista nessuna
tassa su smartphone e tablet e le ipotetiche tariffe pubblicate in
merito agli aumenti di costo sono infondate […] il Ministro Massimo Bray
sta lavorando a una soluzione condivisa, nel rispetto e nella difesa
del valore del diritto d’autore, ascoltando tutte le categorie
interessate per raggiungere una decisione equilibrata nell’interesse
degli autori, dei produttori di smartphone e tablet e, soprattutto, dei
cittadini fruitori degli stessi’), Gino Paoli, presidente SIAE, torna oggi dalle pagine del “Corriere della Sera” a parlare di equo compenso. Nell’intervista,
Paoli afferma di non aver ben compreso il significato di copia privata e
di come l’equo compenso non sia una tassa sugli smartphone, bensì una
mera questione di compenso per il diritto d’autore.
Proviamo a fare chiarezza.
CHE COS’È L’EQUO COMPENSO DA COPIA PRIVATA
Si tratta di un contributo istituito con il fine di indennizzare gli
autori dal pregiudizio (leggi “mancato introito”) causato loro dai
consumatori quando, per scopi meramente personali e senza fini di lucro,
questi effettuino, senza pagare un sovrapprezzo, una copia dell’opera
legalmente acquistata (non stiamo parlando di indennizzi per copie
piratate, bensì di acquisti esclusivamente legali dell’opera originale).
Un meccanismo, quello dell’equo compenso da copia privata, poteva
sicuramente valere quando si duplicavano videocassette o si copiavano cd
musicali dall’originale ad un cd vergine.
Oggi, francamente, considerato che gli utenti fruiscono delle opere
digitali (musica, eBook e film) in larga parte, e sempre più, con
modalità streaming o on-demand (ovvero sistemi che non rendono possibile
una vera e propria copia delle opere), il desueto sistema dell’equo
compenso da copia privata nulla ha a che fare con queste nuove modalità
di fruizione.
PERCHÉ L’EQUO COMPENSO È UNA TASSA
Paoli afferma successivamente come, con riguardo all’equo compenso, non
si tratti ‘di una tassa sugli smartphone. […] qui si parla di compenso
dell’autore’.
In realtà l’equo compenso da copia privata è stato definito nel
linguaggio legalese dei giudici del TAR del Lazio (Febbraio 2012 –
ricorso numero di registro generale 2333 del 2010) come una prestazione
patrimoniale imposta, ovvero un obbligo che lo Stato impone
coattivamente ad un soggetto passivo, al quale non è lasciata la libertà
di decidere se rispettarlo o meno. Nel caso dell’equo compenso
quest’ultima libertà non esiste, in quanto il comma 4° dell’art.
71-septies della nostra legge sul diritto d’autore (633/1941) ci ricorda
come il suo mancato versamento è punito: ‘con la sanzione
amministrativa pecuniaria pari al doppio del compenso dovuto, nonché nei
casi più gravi o di recidiva, con la sospensione della licenza di
autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale o industriale da
quindici giorni a tre mesi ovvero con la revoca della licenza o
autorizzazione stessa’. Quindi più che un compenso, come definito non
correttamente da Paoli, possiamo parlare di una vera e propria tassa
(inoltre Consulta e Cassazione da anni affermano come il nomen juris,
cioè il nome attribuito dalle parti ad un determinato atto, non sia
determinante per la sua qualificazione concreta).
NEGLI ALTRI PAESI
Gino Paoli prosegue infine portando come esempi virtuosi le
determinazioni dell’equo compenso attuate da Francia e Germania: ‘È
previsto anche in Francia e Germania […] in Italia il prelievo è pari
allo 0,12% contro il 5,12% della Germania’. Sostanzialmente d’accordo
con il metodo comparativo, cioè la valutazione dei parametri attuati
dagli altri Paesi europei, non mi limiterei però a valutare solo quei
Paesi che hanno attualmente prelievi più alti dei nostri, ma amplierei
tale analisi ad una valutazione e una media globali a livello europeo (e
non solo).
Andando oltre alle questioni tecniche con le quali si stanno rivedendo
questi parametri, criticabile è sicuramente la millantata necessità di
un tale corposo adeguamento, e soprattutto la mancanza di un serio
tavolo pubblico di confronto con tutti i soggetti del settore coinvolti.
Il Ministro Bray ha ovviato a quest’ultima mancanza, annunciando l’avvio di una ricerca interna con l’obiettivo di misurare, a livello scientifico, quanti e quali dispositivi e supporti elettronici vengano realmente utilizzati dai consumatori italiani per realizzare copie private delle opere. Obiettivo questo che pare andare finalmente contro i classici proclami a fini populistici ai quali troppo spesso ci siamo abituati. È assolutamente sacrosanto che gli autori siano ricompensati in modo equo, corretto e tempestivo per l’utilizzo delle loro opere, ma questo non può voler significare che la tassa sull’equo compenso (e le relative ‘commissioni’ alla SIAE) sia definita in modi non troppo trasparenti e che debba essere scaricata sui soliti consumatori.
Checché ne dica Paoli (‘questo compenso, però, non deve essere a carico di chi acquista lo smartphone ma del produttore, che riceve un beneficio dal poter contenere sul proprio supporto un prodotto autorale come una canzone o un film’) questa tassa porterà ad un’inevitabile (e non risibile) aumento del prezzo finale di pc, smartphone e tablet. Giusta una comparazione sui prelievi attuati dagli altri Paesi, ma che sia una comparazione e un aggiornamento anche sulle modalità tecniche di distribuzione e sulle innovative modalità di fruizione delle opere digitali, non solo una comparazione ad hoc per portare giustificazioni agli aumenti voluti. La rivoluzione portata dalle nuove modalità tecniche e sociali di sfruttamento delle opere digitali, necessita di un adeguamento cosciente e lungimirante degli incentivi per gli autori e per la nuova creatività, con la comprensione, una volta e per tutte, che le possibilità fornite dalle tecnologie digitali non sono un pericolo e uno svantaggio, ma un plus da sfruttare e da incentivare.