Michela Murgia: una stanza tutta per noi

11 / 8 / 2023

Mi chiedevo: di quale Michela potrei raccontare?

Forse ce lo domandiamo spesso. Un guizzo di pensiero senziente ha virato la rotta sull’immagine di un prisma di cristallo, porto di transito, che filtra la luce e la veicola in una moltitudine di arcobaleni. Scintillanti e bellissimi. Michela Murgia sarebbe stata capace di spiegare il femminismo a mia nonna, perché incapace di prepotenza ma ricolma di assertività, e perché dotata della capacità di estrarre il semplice dal complesso.

Mia nonna non avrebbe capito la nuova terminologia che rumorosa -e menomale- sta facendo il nido nei nostri pensieri collettivi, avrebbe tentennato nel pronunciare la parola schwa, forse questo l’avrebbe fatta addirittura arrabbiare, perché dopotutto ciò che non capiamo inizialmente ci indispone. Però mia nonna avrebbe colto un alone familiare nelle parole di Murgia, che coraggiosa (di questi tempi dire la verità è sinonimo di coraggio, c’è poco da fare) spiegava: «Come gli occhi della civetta, ci sono pensieri che non sopportano la luce piena. Non possono nascere che di notte, dove la loro funzione è la stessa della luna, necessaria a smuovere maree di senso in qualche invisibile altrove dell’anima» (Accabbadora, Enaudi, 2009). Perché la cattiveria -nel suo apice di imporsi e reprimere- è ahimè ciclica, basta sfogliare un libro per rendersene conto. Noi civette dagli occhi delicati siamo eterne testimoni della durezza che viene e della durezza che va, lo è stata mia nonna e lo saranno le nuove civette, ancora in fasce, e il filo che ci lega è sottile, ma altresì cocciuto e indistruttibile.

Michela Murgia ci ha fatto un regalo prezioso, perché nella morte -che è un tutt’uno con la vita- ha trovato delle risposte, e quel che è abbagliante, le ha condivise. La luce delle domande spigolose l’ha attraversata, come quel prisma di cui parlavo poc’anzi, e ne sono scaturiti arcobaleni di ogni tipo. E sono entrati nelle case, nelle conversazioni, hanno diviso ma anche suggellato unioni. Le sue parole formidabili hanno attecchito nei cuori di chi non masticava così bene la materia. Hanno instillato il più prezioso dei meccanismi umani, l’unico così potente da far progredire le società: il dubbio.

Ora abbiamo un dubbio. La realtà, così come ce l’hanno raccontata, con le sue strutture rigide e impositive, è davvero così? È davvero un mondo binario, di matrimoni binari, di persone binarie? O possiamo cominciare a scordarci -finalmente- questo dannato numero due, che soffoca la libertà come un cumulo di macerie antiquate? Lasciamo perdere il dibattito, in questo giorno triste. Monitoriamo invece le nostre personalissime maree. E come ci ha consigliato Murgia, non aspettiamo di avere un cancro per fare ciò che vogliamo. Inglobiamo quei meravigliosi arcobaleni, riflettiamo tutta la luce che ci pare, abitiamo con chi ci va, amiamo il prossimo senza tenerlo al guinzaglio, salutiamo allegramente il concetto di possesso, arrendiamoci, dobbiamo finalmente scomodarci, questo giaciglio non è più accogliente. Nel buio, come le civette di Michela Murgia, tessiamo legami, che sono gli unici futuri lasciti di un mondo incantevolmente incerto.

Grazie, Michela.