Proponiamo la traduzione di un intervento dell'autore de Il Capitale nel XXI secolo all'indomani della proclamazione dello stato d'emergenza in Francia

Thomas Piketty: l'opzione securitaria non basterà

Quale relazione tra aspetti geopolitici e diseguaglianze in Medio Oriente e gli attacchi del 13 novembre 2015?

28 / 1 / 2016

Di fronte al terrorismo, la risposta deve essere in parte securitaria. Bisogna sconfiggere Daesh, arrestare coloro che ne sono coinvolti. Ma bisogna anche interrogarsi sulle condizioni politiche di queste violenze, sulle umiliazioni e le ingiustizie che fanno di questo movimento che suscita oggigiorno vocazioni sanguinarie in Europa il beneficiario di importanti sostegni in Medio Oriente. In fin dei conti, la vera posta in gioco è la costruzione di un modello di sviluppo sociale ed equo, laggiù come qui.

È evidente: il terrorismo si nutre nella polveriera delle diseguaglianze medio-orientali, che noi abbiamo largamente contribuito a creare. Daech, "Stato islamico in Iraq e nel Levante", è generato direttamente dalla dissoluzione del regime iracheno, e più generalmente della fine del sistema delle frontiere stabilito nella regione nel 1920.

In seguito all'annessione del Kuwait da parte dell'Iraq, nel 1990-91, le potenze coalizzate avevano inviato le loro truppe per restituire il petrolio agli emiri, ed alle compagnie petrolifere occidentali. Si inaugurò così un nuovo ciclo di guerre tecnologiche ed asimmetriche - qualche centinaio di morti nella coalizione per "liberare" il Kuwait, contro svariate decine di migliaia di perdite dalla parte irachena. Questa logica è stata spinta al parossismo con la seconda guerra in Iraq, fra il 2003 ed il 2011: circa mezzo milione di morti iracheni per poco più di quattromila soldati americani uccisi; e tutto questo per vendicare i 3000 morti delle Torri Gemelle, che - sia detto per inciso - non avenvano nulla a che fare con l'Iraq. Questa realtà, amplificata dalla asimmetria estrema delle perdite umane e dall'assenza di coinvolgimento politico nel conflitto israelo-palestinese, serve oggi a giustificare tutte le atrocità perpetrate dai Jihaidisti. Speriamo che la Francia e la Russia, all'opera dopo il fiasco americano, facciano meno danni e suscitino meno vocazioni [alla guerra santa, NdT].

Concentrazione delle risorse

Al di là della schermaglia religiosa, è chiaro che l'insieme del sistema politico e sociale della regione è sovradeterminato e reso fragile dalla concentrazione di risorse petrolifere su piccoli territori disabitati. Se si esamina la zona che va dall'Egitto all'Iran passando dalla Siria, l'Iraq e la penisola araba, ovvero circa 300 milioni di abitanti, troviamo che le monarchie petrolifere raggruppano circa il 60-70% del PIL della regione, ma appena il 10% della popolazione: ecco la regione di fatto con più diseguaglianze del pianeta.

Ancora, bisogna precisare che una minoranza di abitanti delle petromonarchie si appropriano di una parte sproporzionata di questa manna, mentre larga parte della società (donne e lavoratori immigrati, tipicamente) sono tenuti in una semi-schivitù. Sono questi regimi ad essere sostenuti militarmente e politicamente dalle potenze occidentali, troppo felici di recuperare qualche briciola dal finanziamento delle loro società calcistiche, o meglio ancora dalla vendita di armi. Non stupisce che l'apporto ai giovani medio-orientali delle nostre lezioni di democrazia e di giustizia sociale sia veramente piccolo.

Per recuperare credibilità, bisognerebbe dimostrare alle popolazioni che ci si preoccupa prima di tutto dello sviluppo sociale e dell'integrazione politica della regione, e solo in seconda battuta dei nostri interessi finanziari e delle nostre relazioni con le famiglie regnanti.

Negazione della democrazia

Concretamente, il danaro derivato dal petrolio deve andare prioritariamente allo sviluppo regionale. Nel 2015 il budget complessivo a disposizione delle autorità egiziane per finanziare l'insieme del sistema educativo di un Paese di 90 milioni di abitanti era inferiore a 10 miliardi di dollari (9,4 miliardi di Euro). Poche centinaia di chilometri più lontano, le rendite petrolifere toccavano i 300 miliardi di dollari per l'Arabia Saudita ed i suoi 30 milioni di abitanti, e sorpassavano i 100 miliardi di dollari per il Qatar, ed i suoi trecentomila cittadini. Un modello di sviluppo così diseguale non può che condurre alla catastrofe. Mettere in discussione questo è criminale.Quanto ai grandi discorsi sulla democrazia e le elezioni, bisognerebbe smettere di farli solo quando i risultati ci aggradano. Nel 2012, in Egitto, Mohammed Morsi era stato eletto presidente in una elezione regolare, cosa non scontata nella storia elettorale dei paesi arabi. Nel 2013 è stato deposto dai militari, che hanno immediatamente giustiziato migliaia di Fratelli Musulmani, la cui azione sociale aveva molto spesso supplito e colmato le mancanze dello Stato egiziano. Pochi mesi più tardi, la Francia getta la spugna allo scopo di vendere le sue fregate e di accaparrarsi una parte delle magre risorse pubbliche del paese. Speriamo che questa negazione della democrazia non abbia le stesse conseguenze dell'interruzione del processo elettorale in Algeria nel 1992.Rimane la questione: come possono dei giovani cresciuti in Francia confondere Baghdad e la banlieue di Parigi, e cercare di importare qui conflitti che si consumano laggiù? Nulla può giustificare questa deriva sanguinaria, machista e patetica. Si può giusto appuntare che non aiutano di certo la disoccupazione e la discriminazione professionale nelle assunzioni (particolarmente pesante per le persone che hanno le carte in regola in termini di qualificazioni ed esperienze come mostrano lavori recenti; e si veda anche qui). L'Europa, che prima della crisi finanziaria arrivava ad accogliere un flusso migratorio netto di un milione di rifugiati l'anno, con la disoccupazione in calo, deve rilanciare il suo modello di integrazione e creazione di lavoro. L'austerità ha condotto al rialzo gli egoismi nazionalistici e le tensioni identitarie.

Solo attraverso lo sviluppo sociale ed equo potremo sconfiggere l'odio.